di Maria Teresa Ferla, Chiara Guglielmetti
Servizio di Psichiatria dell'Azienda Ospedaliera "Maggiore della Carità", Novara
(Il lavoro si deve ai due autori in parti uguali)
Premessa psicopatologica
Le depressioni che sono chiamate clinicamente endogene, o psicotiche, si distinguono in depressioni unipolari e in depressioni bipolari, secondo la classificazione di Leonhard: le prime si manifestano con episodi depressivi, che possono ripetersi a distanza variabile di tempo, mentre le seconde agli episodi depressivi alternano episodi maniacali.
Alla oscurità e alla pesantezza della malinconia si contrappongono la leggerezza e la volubilità della mania; ma numerose contraddizioni solcano l'esistenza maniacale, solo apparentemente segnata dalla luce leggiadra e improblematica della felicità.
La Stimmung maniacale contrassegna la fenomenologia clinica della mania nella quale si trasformano le articolazioni strutturali del pensiero e i modi di essere nel mondo, nel tempo e nello spazio.
Il flusso della vita che nella malinconia si rallenta e si arresta, si slancia vorticosamente nella mania, nella quale la disinibizione, la spinta frenetica e febbrile al movimento, si costituisce come sua struttura portante.
Nella mania non c'è coscienza di malattia almeno fino a quando essa non incomincia a declinare; nella malinconia invece, la coscienza di malattia scompare solo nelle forme tematizzate dalla presenza di esperienze deliranti primarie.
Chiamiamo, dunque, sindrome maniacale quella costellazione di sintomi tradizionalmente (secondo Weitbrecht e Kielholz) articolata nella seguente triade, in base ai disturbi presentati.
1. Disturbo della vita timica (affettiva).
2. Disturbo della vita noetica (idetica).
3. Disturbo della psicomotricità (funzioni centrifughe).
Per la psicopatologia tradizionale la struttura portante della vita maniacale è costituita dalla trasformazione, dalla metamorfosi della vita affettiva, dello stato d'animo (Stimmung), mentre sia il disturbo del pensiero come quello della psicomotricità vengono considerati subalterni.
La psicopatologia che chiamiamo antropologica o fenomenologica (Binswanger) considera invece il disturbo cardine dell'esperienza maniacale quello del pensiero (L'uomo della fuga delle idee): il pensiero nella vita maniacale non si articola, non si snoda secondo quelle che sono le articolazioni della sintassi di cui noi ci serviamo, soggetto, verbo, complemento; è un articolazione del pensiero che tende infatti mano a mano che il disturbo si fa più profondo, alla "fuga delle idee" che da ordinata, cioè ancora in qualche modo comprensibile, si fa invece incoerente e poi confusionale cioè dilacerata fino a eliminare e stralciare il verbo.
Quando il verbo ancora sopravvive è un verbo che è bloccato sul presente o al massimo sul passato; scompare il futuro.
L'analisi formale del linguaggio del maniacale rivela l'assenza di una struttura formale del pensiero; esiste una catena vertiginosa di parole in cui il pensiero però si frantuma perché salta: Cargnello ha parlato del modo della saltuarietà come di questa esperienza di radicale discontinuità, di ideazione saltatoria nel contesto del corso del pensiero del maniacale.
Nella mania la comunicazione si inaridisce e si frantuma dinanzi a ostacoli anche insignificanti. La frattura della comunicazione è in essa ancor più verticale che non nella malinconia e nella schizofrenia.
Il maniacale si disperde nel mondo, vive in frammenti di mondo nei quali non riesce a soffermarsi; è un linguaggio, è un parlare che non dice, che non comunica, che rivela la "vacuità intima del mondo maniacale" (Cargnello).
Per questo parliamo di autismo maniacale, nel senso di Glatzel, per l'impossibilità a un contatto con il paziente maniacale: è uno pseudocontatto che non acquista mai il significato di una autentica e valida comunicazione inter umana e rivela l'impossibilità per chi vive immerso in questa esperienza a sostare, a fermare la realtà che gli scivola fra le dita.
Così per il paziente maniacale, tutto è bruciato nell'istante; non c'è storia.
Egli inoltre non tollera la limitazione della libertà e ha l'esigenza di avere a sua disposizione spazi infiniti: da qui origina il disturbo della psicomotricità e della conseguente aggressività legata alle reazioni che l'ambiente intorno gli genera.
Il mondo in cui vive immerso il maniacale è un mondo in cui sono escluse le contraddizioni, un mondo in cui i colori dominanti, come diceva Binswanger, sono quello azzurro e quello rosa: tutto è a portata di mano, non ci sono ostacoli, il vicino e il lontano non sono più categorie psicologiche angoscianti come possono essere per uno schizofrenico o per un depresso.
Manca la categoria della profondità ma siamo su un piano della esteriorità estrema: tutto è plastico, mobile, friabilissimo, svuotato di interiorità.
Il mondo maniacale è un mondo governato da uno sfrenato ottimismo, in cui manca la possibilità di uno scacco o di un fallimento: come ha scritto Minkowski, non c'è più il dispiegarsi del vissuto nel tempo: si è bloccati in un presente del futuro; il maniacale agisce, si muove e pensa nell'hic et nunc ogni istante, nella momentaneizzazione di ogni esperienza vissuta.
Non esiste più un passato che si costituisca come bagaglio esperienziale così come non esiste un futuro entro cui progettarsi.
Il mondo del maniacale è governato da uno sfrenato ottimismo o euforia, gioia panica. Tutto assume tinte rosee, gaie, luminose, è tutto luce e quindi è tutto appiattito, superficiale, livellato.
Il delirio del maniacale non è altro che l'espressione di questo ottimismo della conoscenza (Binswanger): l'onniscienza, il delirio di grandezza è una emanazione di questa metamorfosi del mondo che ha perso ogni limite, ogni relatività.
La spinta all'attività e all'azione trascina con sé un'insonnia feroce che non è vissuta come disturbo ma come condizione felice e inebriante; se dunque, nella depressione non si può dormire, nella mania non si ha bisogno di dormire.
Il maniacale ha una estrema capacità di cogliere, nel contatto interpersonale, ogni frangia esteriore, ogni aspetto "superficiale" che un certo comportamento può rivelare. Quindi può cogliere l'angoscia, la diffidenza e anche l'insicurezza che si genera in un interlocutore e viverla come aggressione nei suoi confronti. Può allora ingenerarsi una risposta a corto circuito in cui all'insicurezza (aggressione) del medico o dell'infermiere il paziente risponde con una contro aggressività.
Allora il nostro atteggiamento deve essere improntato alla "indifferenza", alla partecipazione indifferente nel senso di Jaspers. Certo si tratta di una esigenza psicologica del paziente che non tollera di percepire né troppa vicinanza né troppa distanza da parte dell'interlocutore.
Nell'incontro con i pazienti sommersi dalla mania si ha inizialmente la sensazione che il contatto interpersonale non sia difficile. Non si fa fatica, a entrare in relazione con loro: rispondono volentieri e rapidamente chiedono notizie di noi, lodano la nostra gentilezza e la nostra intelligenza.
Ma questa accelerazione comunicazionale è solo apparente: rimane alla superficie. Secondo quanto scritto da von Hofmannsthal: La profondità va nascosta. Dove? Alla superficie.
Retroscena
Cosa ci sia dietro questo caso di ordinaria e classica storia maniacale che ora andiamo a descrivere ci è sembrato essere la modalità di vivere lo spazio e quindi la realtà del maniacale stesso: uno spazio, una realtà, dai confini assolutamente mobili e dilatati verso infinite prospettive in cui il mondo della fantasia, del sogno e del gioco prevaricano sul mondo reale. Ma in questo spazio "virtuale", in cui l'esperienza maniacale fa precipitare la paziente di cui narreremo la storia, l'unica condizione in cui è possibile continuare a vivere è quella della recitazione, della continua entrata e uscita da un personaggio all'altro. È il mondo dell'apparenza, intesa nella sua superficialità, come mondo in cui ciò che conta è lo sfolgorio dei colori, l'invadenza dei profumi, la clamorosità dei suoni, le vibrazioni della pelle: proprio come sul palcoscenico ove bisogna "apparire" per vivere.
Eppure questa esperienza della "superficialità" intesa come captazione sottile ed estrema dell'apparenza, dell'aspetto apparente e appariscente del reale, rivela anche l'esigenza di vivere e gustare l'aspetto "formale" del reale come dotato anch'esso di fascino e di rimandi che troppo spesso restano sepolti dalla superficialità (questa si negativa) del nostro sguardo routinario e quotidiano.
Quando l'esperienza maniacale si è inaridita e si e spenta, alcuni pazienti la rivivono nostalgicamente come una esperienza positiva e altri, invece, come un'esperienza negativa, dolorosa; ma già durante la sequenza maniacale, ci sono pazienti che definiscono la loro condizione come autentica, angosciante ed estranea alla loro personalità.
Come ha mirabilmente documentato Weitbrecht, citando una sua paziente che, uscita dall'episodio maniacale diceva: Ora so cosa possono significare i colori, gli odori, le sensazioni tattili, e quali sensazioni inebrianti possa dare la musica. L'esperienza quotidiana le risultava estremamente noiosa e di una desertica ottusità: tutto sembra allora ricoperto di uno strato di opaco grigiore. Chi non è mai stato immerso in una condizione maniacale è povero e può solo consolarsi pensando che non sa quali, e quante esperienze potrebbero fare quando la malattia cancellasse quella specie di velo grigio.
In particolare questa storia si è ben prestata all'analisi della struttura portante dell'esperienza maniacale proprio perché la paziente in questione è un'attrice; appare quindi meno artificioso e inautentico per lei "restare in scena" anche quando la recita è finita e i riflettori si spengono. Lei sa meglio di altri cosa rappresenti questa realtà, essendone frequentemente immersa e, per questo, con più difficoltà può cogliere il deragliamento dal mondo reale a quello della mania.
La storia
Conosciamo la nostra paziente che chiameremo Eleonora, nell'agosto del 1997 quando effettua il suo primo ricovero presso il nostro reparto per una condizione così descritta dalla collega che la ricovera quella domenica notte: Si ricovera per agitazione psicomotoria: al colloquio la paziente è orientata nello spazio e nel tempo, disforica, mantiene con molta difficoltà i nessi associativi passando rapidamente da un argomento all'altro, in una condizione di irrequietezza e agitazione psicomotoria. Fornisce con difficoltà notizie di ordine anamnestico.
Si pratica terapia neurolettica.
Il giorno dopo la incontriamo e così viene descritta: Appare perplessa e a tratti come disturbata da dispercezioni acustiche e visive, anche se riesce a costruire quanto successo nella giornata di ieri con una certa linearità e a fornire i principali dati anamnestici.
Eleonora è nata nel 1959 in una cittadina della nostra zona ove vive la madre: dopo il diploma di magistrale, superato l'anno integrativo, si è iscritta a un Corso universitario di discipline arte, musica e spettacolo che ha interrotto al secondo anno, iniziando a insegnare educazione musicale nella scuola media come supplente dal 1979.
Da allora fino al presente ha sempre insegnato, e sempre la stessa materia, cambiando molte scuole, ed è di ruolo dal 1989.
Ha sempre vissuto con la madre fino al 1992 quando ha deciso di andare a vivere nell'appartamento che il fidanzato (che conosceva da almeno cinque anni) aveva affittato in città per motivi di lavoro, tornando spesso però a casa dalla madre.
La sua famiglia
Eleonora è figlia unica; la madre è nata nel 1930.
Descritta da lei come: Una donna dolce però un po' noiosa, tendente a vittimizzarsi… Lavorava come sarta nel paese d'origine… È molto pudica però ha la curiosità morbosa dei cattolici spinti. Non mi ha mai spiegato niente rispetto al sesso… C'era però una zia più giovane che mi ha fatto scuola su questo…
Mai madre parla un po' per enigmi come una sfinge: a esempio non dice niente di chiaro rispetto alia mia attuale situazione: io convivo da anni e lei non mi ha ancora fatto capire cosa realmente pensa, forse accetta questa situazione perché se mi sposassi potrebbe rischiare di vedermi di meno perché il mio fidanzato (ingegnere) lavora in una città lontana…
Questa vita va bene così anche a me: quando voglio tornare da mia madre vado, quando voglio stare qui in città mi fermo… non vado in ansia… al massimo mi arrabbio quando mi dimentico le cose in un posto invece che in un altro… mi piace anche stare sola anche se non rimango quasi mai sola, ho molti amici.
Il padre nato nel 1924 faceva il panettiere ed è morto nel 1989 due mesi dopo che era stato diagnosticato un tumore al cervello: Mio padre era simile a me anche se meno estroverso per la diversa educazione e storia che aveva avuto… era molto sincero, diretto in ciò che doveva dire, a volte un po' irruente.
Suonava il clarinetto nella banda anche se a lui sarebbe piaciuto suonare il pianoforte e per questo ha voluto che io imparassi fin dalle medie a suonarlo, però ho interrotto al 5° anno lo studio.
Temperamento e personalità premorbosa
Eleonora si descrive come estroversa e socievole, molto attirata dalla musica e dalle arti espressive, in particolare dal teatro che la impegna, come attrice di una Compagnia teatrale, ormai da diversi anni, con ritmi di lavoro abbastanza sostenuti e regolari: una volta alla settimana ha le prove di recitazione nella sua compagnia teatrale e spesso frequenta corsi speciali di ballo e di recitazione in giro per l'Italia.
Notevole è la sua cultura in questo e altri campi, così come notevoli sono le sue doti nella recitazione: non si coglie però in lei il benché minimo vanto anzi, molto semplicemente, quasi sottovalutandosi, trasmette un'immagine di sé modesta e molto consapevole dei propri difetti quali l'essere terribilmente disordinata, cosa che le fa perdere copioni o dimenticare in giro gli strumenti della recitazione, oppure l'essere di umili origini, cosa che le fa guardare e trattare i personaggi nobili o aristocratici nei quali si imbatte, sia sulla scena che fuori, così come una popolana si rapporta a un mondo che non è il suo e che spesso riesce a smascherare e deridere nelle sue falsità.
Eleonora sa trasmettere molta simpatia sia nelle fasi di scompenso ipertimico sia nelle fasi di benessere per l'estrosità del carattere, la bizzarria del suo vestire, elegante ma che risente nell'utilizzo dei colori e degli stili del momento che sta attraversando: il rosso è il colore dominante delle fasi maniacali seguito puntualmente e scalarmente dal lilla o viola, quindi dal giallo, dal verde, dal blu e dal bordot.
Ai controlli ambulatoriali annotavamo il colore dominante che rifletteva, in maniera precisa, le oscillazioni dello stato d'animo, anche se non sapremmo correlare i colori delle fasi depressive perché in quei periodi Eleonora allenta il ritmo delle visite di controllo. Un altro motivo per cui sa suscitare simpatia è la sua capacità di critica e autocritica: riconosce benissimo quando sta "salendo "o quando è "un po' sopra le righe" oppure quando l'eccitamento "mi prende tutta e la realtà parte"; anche il suo linguaggio e la descrizione che lei fornisce del proprio vissuto nelle fasi di eccitamento è molto ricco e appropriato.
La storia clinica
Dal diario clinico del 1° ricovero. (Le note dell'ingresso sono già state riportate all'inizio). Dopo solo due giorni dal ricovero, effettuato in TSO, per la condizione ipertimica e di agitazione, così già è capace di descriversi e raccontarsi: L'altra sera tutto mi sembrava gioioso e in parte ostile; stavo partecipando a un corso di ballo sul tango: il nostro maestro era invitato a uno spettacolo nella piazza della città. Io ho incominciato a sentire tutto amplificato, i colori, le emozioni…
Non mi sono resa conto della crescita di tali fenomeni… è vero io sono un tipo esuberante, estroverso ma non era mai arrivata a tali livelli: anzi ho vissuto periodi di depressione anche se non ho mai lasciato il mio lavoro, né i miei impegni.
È dal 1988, dopo la morte di mio padre e che mi vengono questi momenti.
La gaiezza lascia il posto a una sfumatura di tristezza mentre la paziente racconta tali fatti. Qui in Reparto ha legato con altri degenti con i quali trascorre buona parte della giornata senza esagerazioni nei modi o nelle dinamiche relazionali; è spesso impegnata in lunghe conversazioni telefoniche con il fidanzato che lavora lontano e che comunque le è molto vicino essendosi prontamente informato di lei più volte con noi.
La madre invece non è venuta anche se la paziente è in contatto anche con lei.
Inizia, un trattamento con aloperidolo 6mg/die insieme a una terapia marziale per il riscontro di una grave anemia sideropenica (di cui la paziente afferma peraltro di essere a conoscenza, a causa di meno-metrorragie datate ormai da molti anni e mai trattate).
Nell'arco di pochi giorni si ricompone sia sul piano comportamentale che idetico presentando una critica e consapevolezza del disturbo psichico che riesce anche a inscrivere nel contesto della propria storia: i primi disturbi con una certa rilevanza clinica vengono fatti risalire al 1989 dopo la morte del padre: Ho iniziato ad avere delle fasi di tristezza, in cui il mio umore, così normalmente allegro, si faceva più cupo e triste, ma non mi sono mai fatta curare, mi arrangiavo da sola… Veramente il mio medico di famiglia mi aveva consigliato qualcosa per la depressione, ma io non ho voluto prendere nulla…
Ho passato anche dei brutti momenti in cui era un'impresa alzarsi e andare a scuola, cosa che mi è sempre, ma che in quelle fasi, mi costava molto fare.. Ho tenuto duro e poi i periodi peggiori passavano.. sopra le righe non sono mai andata però…
Viene dimessa in condizioni di discreto benessere.
La rivediamo per alcune volte nell'arco di un mese ma lei lascia intendere che non vuole più venire e che avrebbe deciso di iniziare un lavoro psicoterapeutico da un privato. Questa ci pare, in realtà, più una fuga che un desiderio di approfondimento e di cura: già durante i controlli ambulatoriali si era evidenziato, a fianco di una certa consapevolezza di malattia, il timore di affrontare e di parlare di "certi problemi" o semplicemente di guardare in faccia la malattia psichica.
Una certa superficialità nell'affronto delle problematiche della sua vita era emersa come struttura "difensiva" che, pur non risolvendole i problemi, le ha sempre permesso di distanziarsi dall'angoscia che ancora le provocava il pensiero dell'essere malata psichicamente.
Anche i tentativi di affrontare insieme il problema e di rassicurarla con il sostegno psicoterapeutico non erano valsi a mantenere una relazione stabile.
Soprattutto l'andamento fasico della malattia giocava come motivo vincente perché la ripresa, fuori dalle fasi di scompensazione, è sempre avvenuta con piena "restitutio ad integrum". Si tratta di saper aspettare quando la malattia passa": questa è sempre stata la sua filosofia.
Atto secondo
Passa il tempo e dopo un anno ritroviamo Eleonora ricoverata di nuovo nel nostro Reparto, anche questa volta in stato di eccitamento maniacale.
Anche questo è un ricovero avvenuto nella notte di una domenica che non è sfociato questa volta in TSO solo perché giunta in Pronto Soccorso, accompagnata dai vigili intervenuti per le sue bizzarie comportamentali, ha riconosciuto il collega che lavora in Reparto e ha accettato ben volentieri di tornare a salutare "il suo Reparto".
Il giorno dopo la incontriamo e ci stupisce per la capacità di descrizione del suo disturbo ipertimico; così scriviamo: "Nettamente più ricomposta rispetto a ieri; ci racconta che dopo le ultime dimissioni è stata bene fino allo scorso gennaio (ora siamo a ottobre): In quel periodo è morta mia nonna e ho avuto una bella caduta dell'umore durata fino alla fine di febbraio… poi mi sono ripresa… Sono stata bene poi: non ho mai perso un giorno di scuola… È da 15, 20 giorni che ho incominciato ad essere un po' sopra le righe; lo stato d'animo è salito, si è eccitato. Sabato ho fatto una prova di teatro e poi sono andata a cena con il mio fidanzato.
Tornata a casa mi sono accorta di aver perso il portafoglio; abbiamo telefonato al ristorante ed era la, ma già mi ero inquietata, ero andata in ansia…
Anche l'altra volta tutto era cominciato perché avevo perso le chiavi della macchina, si ricorda? Domenica poi è stato un crescendo: quando il mio fidanzato è partito per andare al lavoro, pensando alle prove di recitazione, ho cominciato ad aprire l'armadio e a provare tutti i vestiti, a mettermi le cose più strane, a provare un po' di travestimenti teatrali… e poi la musica: avevo la radio accesa e ho cominciato come a essere guidata dalla radio.
Tutto ha incominciato a trasformarsi: la realtà era sempre la stessa ma, dagli impulsi che sentivo dentro di me e dagli impulsi che mi venivano dalla radio, mi sembrava di diventare diversa: erano i miei pensieri sulla realtà che cambiavano.
Le cose si riempivano di significati: ogni cosa aveva un significato. Seguendo la radio mi sono sentita come in un vortice, come Alice nel paese della meraviglie: seguivo le indicazioni come se ci fosse una caccia al tesoro dettata dalla radio per me.
La realtà è diventata un grande gioco: poi sono arrivati i Vigili perché facevo delle stranezze, del tipo suonare i campanelli delle abitazioni (erano le 3 di notte), parlavo a voce alta … Sono stati molto gentili i vigili… arrivata al Pronto Soccorso ho riconosciuto il suo collega e sono arrivata qui…
Le chiediamo se si sia mai fatta seguire da qualcuno e risponde di aver iniziato una psicoterapia di sostegno dalla quale però non si sente molto aiutata.
Trattandosi di una recidiva di episodio ipertimico, essendosi presentata anche una fase depressiva non trattata, e ritrovandosi di nuovo ricoverata, sembra ora più disposta ad affrontare seriamente il suo disturbo.
Ritentiamo di spiegarle e di convincerla che è possibile fare un trattamento anche preventivo se accetta di essere curata con regolarità e attenzione.
La proposta della terapia con sali di Litio è certo impegnativa, sia per il tempo richiesto di almeno due anni, sia perché una come Eleonora non offre molta affidabilità nell'assunzione regolare dei farmaci e nella continuità dei controlli ma, visto l'approfondimento del legame e della fiducia reciproca, la proposta ci pare fattibile.
Eleonora pare anche rassicurata da un trattamento preventivoe non solo sintomatico come è quello con i sali di Litio ai quali spieghiamo che va aggiunto nelle fasi di oscillazione timica a volte (in fase ipertimica) un sedativo o ansiolitico, a volte (in fase depressiva), se necessario, un antidepressivo. Anche l'effettuazione di tutti gli esami necessari per la terapia stabilizzatrice dell'umore può aiutarla nella crescita della sensibilità alla cura di sé e del proprio corpo in maniera adeguata: potrebbe così controllare e affrontare la causa della sua anemia, regolarizzare i suoi ritmi di vita e cercare forse anche un ordine e un equilibrio che tanto le paiono impossibili.
Gil esami ematochimici, la funzionalità renale, tiroidea, cardiaca sono nella norma: non ci sono controindicazioni alla terapia, che iniziamo con 600mg/die.
Dopo la prima litiemia (dopo 1 settimana), risultata (0,2) al di sotto del range terapeutico (0,4-0,6mEq/l), aggiungiamo altri 300mg, ai quali associamo 3mg di aloperidolo e 2,5mg di lorazepam la sera.
Viene dimessa dopo 15 giorni in discrete condizioni.
Nei mesi successivi il quadro si stabilizza: Eleonora ora viene con regolarità ai controlli e presenta una buona ripresa sia sul piano clinico che su quello sociale godendo della stima sia dei colleghi di scuola che del suo contesto affettivo per il quale Eleonora si è un po' bizzarra ma forse questa è la sua ricchezza e originalità.
Discussione
Eleonora si pone di fronte a chi desidera ascoltare la sua storia con una ricchezza di sintomi e di sfaccettature che affascinano irrimediabilmente: non si può non cogliere la leggerezza dei suoi passi, la gioia nelle parole che scorrono veloci dalle sue labbra, l'eccitazione che ne pervade il corpo e i pensieri. Intorno a lei si crea una simpatia immediata, come se il nucleo vitale acceso dalla malattia illuminasse tutto intorno di una luce iridescente che può coinvolgere chiunque.
Questo aspetto della personalità di Eleonora non si perde del tutto fuori dal periodo di scompenso maniacale, anzi ne residua una predisposizione ai rapporti umani, una facilità estrema nel cogliere i pensieri di chi incontra, che ci permette di stabilire un rapporto autentico e saldo, attraverso cui giungere alla gestione di una terapia in primo luogo preventiva del disturbo maniacale.
In un caso come questo, infatti, a fronte di una diagnosi che balza agli occhi attraverso la specificità e la ricchezza dei sintomi presentati, si configura la difficoltà di istituire una terapia che possa evitare gli scompensi e la sofferenza, senza frantumare l'originalità e la creatività dell'animo di Eleonora.
Ci siamo chiesti se sia necessario che il teatro nel quale la vita di Eleonora si trasforma quando la coglie la malattia venga del tutto distrutto, spazzato via con la violenza del farmaco: forse una parte dei paramenti colorati, dei suoni, degli odori che vengono messi in scena nel teatro di Eleonora sono la sua ricchezza, il suo modo di creare una esistenza.
D'altra parte trasformare la vita in un "grande gioco", dilatando lo spazio e il tempo fino a cristallizzarsi, sorvolare l'esistenza senza compenetrarla in pieno, restare alla superficie, sono modalità che trascinano con sé il fantasma di una solitudine agghiacciante e temibile, che una donna come Eleonora non può sopportare.
Se infatti l'essenza della Lebenswelt maniacale si esprime in questa gioia smisurata e dionisiaca, si intravedono nondimeno in essa i segni di una esperienza antitetica a questa: di una esperienza di dolore e di morte.
Dalla comune conoscenza delle cose quotidiane noi sappiamo come alla vertigine della esistenza, alla frenesia del gioco, del canto e della danza, si accompagni un elemento "demoniaco"; e questo significa che, quando la vita celebra i suoi trionfi, le sue feste inebrianti ed effimere, la morte è vicina: "Nella misura in cui la vita ascendente si fa selvaggia e febbricitante essa è lambita dalla morte e dal presagio della morte" (Borgna).
La terapia che abbiamo attuato, frutto del legame intimo e autentico con la paziente, sembra avere permesso allora di riprendere i legami con la propria esistenza che la malattia aveva tanto indebolito, senza però dissolvere del tutto il palcoscenico infinito e nascosto delle sue possibilità umane.
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