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RECENSIONE Ruptures in the American Psyche: Containing Destructive Populism in Perilous Times

22 Mag 24

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Cosa sta accadendo in America, in Nordamerica, segnatamente negli Stati Uniti? Possibile che Donald Trump sia ancora in ascesa e realisticamente possa nuovamente contendere agli avversari la carica di presidente degli USA?

Uno psicoanalista, esperto di psicoanalisi applicata al mondo delle istituzioni e delle organizzazioni, tenta di dare una risposta a un’ampia serie di interrogativi che non riguardano soltanto Trump e il Trumpismo, ma molte nazioni occidentali che sono state raggiunte ed infettate dal populismo, da stili di leadership autocratici se non dittatoriali, da mentalità diffusamente autoritarie.

Michael Diamond è persona nota nel campo, analista di training e supervisore al Los Angeles Institute and Society for Psychoanalytic Studies, membro dell’IPA e dell’APA (l’associazione americana di psicoanalisi) e della American Academy of Clinical Psychology. Ha pubblicato estesamente, soprattutto articoli e capitoli in libri, ed è da ricordare il lavoro svolto, insieme a Christopher Christian, di cura del testo The Second Century of Psychoanalysis: Evolving Perspectives on Therapeutic Action (Karnac, London, 2011).

Si sbaglierebbe a pensare a Ruptures in the American Psyche come a un testo che tratti soltanto del quasi settantottenne Donald Trump, della sua personalità e della sua psicopatologia. Certo, vi è anche questo, ma dal Trumpismo si amplia la visione ai numerosi, tristi e pericolosi orizzonti ove gente simil-Trump sta prendendo, o ha preso, il sopravvento. Non a caso, a suo tempo, vi furono alcuni psichiatri e analisti nordamericani che chiesero all’allora presidente Barak Obama di sottoporre il candidato Trump a esame psichico. La richiesta non fu accolta, ma ciò non ha impedito la pubblicazione di opere di grande impatto, come è stato il lavoro di Bandy X. Lee, The Dangerous Case of Donald Trump: 27 Psychiatrists and Mental Health Experts Assess a President (Thomas Dunne Book – St. Martin’s Press, New York, 2017) che ho recensito per Psicoterapia e Scienze Umane (vol. 52, n. 2, pp. 324-327, 2018) – di questo testo è poi uscita una seconda edizione ed anche una sorta di continuazione nel 2020 dal titolo Profile of a Nation: Trump’s Mind, America’s Soul, a firma della medesima autrice.

Lo scopo centrale del lavoro di Diamond è indagare su una serie di tematiche tra loro strettamente intrecciate che sono, tra le altre: le dinamiche regressive nei gruppi, il culto della personalità, il populismo distruttivo, l’autoritarismo, e lo stile di leadership caratterizzato dal narcisismo distruttivo e dalla paranoia – diversi di questi argomenti sono stati indagati da Otto F. Kernberg al quale, infatti, l’autore fa numerosi riferimenti. Ma il testo di Diamond si appoggia a importanti contributi di altri autori, alcuni classici, come Erich Fromm e la Scuola di Francoforte, e altri recuperati sia dal passato, come un saggio del 1965 di Richard Hofstadter (il quale ha trattato l’arena politica come un ideale palcoscenico di proiezioni di pulsioni, sentimenti e desideri del tutto irrazionali e incontrollabili), sia da tempi più recenti (è anche citata la recensione di un famoso testo di Umberto Eco: Ur-fascism (eternal fascism), in New York Review of Books, 42, 11, 1995) – libro ripubblicato nel 2018 da La Nave di Teseo. Naturalmente sullo sfondo vi è il Freud del 1921 ma anche gli importanti contributi della scuola kleiniana, di Wilfred Bion e, non meno significativa, l’opera di Elliott Jaques sulle strutture organizzative viste come difese dalle angosce persecutorie e depressive.

Dunque, un lavoro molto ricco di spunti, sicuramente molto pensato dall’autore, ma anche molto sentito emotivamente. Un lavoro che si inserisce in un filone poco noto in cui emergono figure di primissimo piano della psicoanalisi internazionale: basti pensare al Leo Rangell de The Mind of Watergate: An Explanation of the Compromise of Integrity (W. W. Nortion, New York, 1980).

Una delle domande centrali del libro non poteva non ruotare intorno ai motivi che spingono tante persone, alcune persino tendenzialmente democratiche, a rimanere affascinate da Trump e dal messaggio che porta avanti, il famoso MAGA – Make America Great Again. Come in tutti i populismi, i messaggi sono semplici, immediati, spesso banali, concreti, e si rivolgono alle paure della gente al fine di dare una risposta (una e una sola!), indicando naturalmente il nemico da abbattere, scindendo il mondo in buoni e cattivi. Ecco, dunque, la necessità di capire i fenomeni di regressione nei gruppi e nelle comunità, l’emergere del culto del leader forte e della malignant leadership, la presa degli appelli reiterati (e spesso urlati) a combattere cospirazioni, poteri forti e nascosti, genie che tentano di sovvertire il mondo e che vanno fermate a tutti i costi – con i muri di cemento armato dove si può, o con i muri della mente che, forse, son persino più semplici da costruire…

Leggere queste pagine aiuta a comprendere molto del mondo in cui viviamo e delle situazioni sociopolitiche diffuse in Europa (peccato che su Vladimir Putin vi sia soltanto un rapido riferimento, dato che la sua leadership, se si vuole denominare così, è senza dubbio di interesse dal punto di vista clinico). Naturalmente – e l’autore lo sottolinea almeno due volte nel corso delle pagine – eventi così complessi come il culto della personalità di Donald Trump e il fascino che la sua politica promana non possono essere spiegati e decifrati soltanto con la lente della psicoanalisi, chiamando in causa diverse altre discipline, compresa la linguistica (anni fa uscì un interessante saggio sulla lingua di Trump a firma di una autrice francese).

Il testo si chiude con un glossario di termini che è senza dubbio utile per coloro che non frequentano l’ampio tema della psicoanalisi applicata alla leadership e alle organizzazioni.

L’auspico è che un libro come questo possa trovare una sua versione in italiano perché leggere queste pagine insegna molto, e fa pensare ai numerosi collegamenti che ci sono tra ciò che accade negli USA e la specifica realtà italiana. Non condivido l’opinione critica espressa da Henry J. Friedman nella sua recensione al libro di Diamond (in The Psychoanlytic Quarterly, 92, 2, pp. 342-348, 2023) a cui pare che il testo non dia delle vere e proprie risposte al tema posto, né strade se non di soluzione, almeno di maggiore comprensione. Non si può chiedere alla psicoanalisi applicata alla leadership, alle istituzioni e alla politica di offrire un risposta totalizzante a fenomeni così complessi che, giustamente, vanno appunto indagati da diversi punti di vista. E Michael Diamond, dal suo punto di vista, colto, sofisticato e molto articolato, elaborato in oltre sei anni di riflessioni sul tema specifico, dà la sua risposta!

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