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ATTRAVERSARE L’INCUBO. Una lettura sotterranea della “Trilogia della libertà” di George Orwell

22 Feb 21

Di michele.ancona69
In un anime orientale di matrice surrealista che segue una certa tradizione shinto, i mononoke (da cui l’omonimo titolo), sono spiriti di morti che abitano e controllano i corpi di alcune persone legandosi alle emozioni umane negative. Un misterioso farmacista, protagonista dell’intera opera, viene rappresentato intento a respingere i mononoke utilizzando le sue conoscenze, finchè, in essi, non avrà rintracciato la forma dello spirito dietro la maschera, la verità dal quale ha origine il male e la ragione a monte di determinate malefatte. Una volta in possesso di questi tre elementi, il misterioso farmacista potrebbe scacciare il mononoke. Quello che descritto così può evocare delle dinamiche da film d’azione, si svolge su un piano i cui confini tra sogno e realtà paiono sgretolarsi. Quest’opera non solo si emancipa da certe rappresentazioni occidentali mainstrem di culture orientali antichissime ma si immerge in esse, mostrando come colpa, lussuria, repressione, avidità, rimorsi siano proprietà contingenti di vita e potenzialmente fantasmi alla base di una qualunque forma di società o ideologia.

Non si sa se Eric Arthur Blair, in arte George Orwell, avesse una conoscenza delle culture orientali ma Omaggio alla Catalogna, La fattoria degli animali e 1984 evocano a tratti l’immaginario surreale dell’anime di Kenji Nakamura. Da Omaggio alla Catalogna, in cui l’autore toglie letteralmente la maschera alle ideologie propagandistiche di una Catalogna antifascista, alla rappresentazione onirica de La fattoria degli animali, fino all’incubo di 1984, tale trilogia è stata raccolta dalla casa editrice Garzanti sotto il nome di Trilogia della libertà1. Ma che significa oggi leggere Orwell? A 70 anni circa dalla sua morte, alla luce dei fatti attuali, si è riusciti a prendere coscienza del messaggio che Orwell voleva lasciare?

 


 

Omaggio alla Catalogna

In Omaggio alla Catalogna, Orwell narra le personali esperienze della lotta al fascismo in una terra che per un anno circa aveva vissuto un barlume di anarchia e di collettivismo operaio; per fare degli esempi pratici, l’uso della mancia era proibito, espressioni servili come Senor o Don non erano più usate e tutte le attività commerciali erano state collettivizzate. Se il collettivismo e la cooperatività dei catalani erano alla base del sistema libero ed egualitario per cui stavano lottando, a diventare grottesco era il loro modo di affrontare il conflitto antifascista, descritto da Orwell come completamente privo di quella disciplina e armamentario necessario ad affrontare una qualunque guerra. In quel periodo gran parte degli spagnoli erano impegnati nella guerra contro un ritorno dell’ideologia fascista di Francisco Franco, motivo per cui Orwell, come molti altri, lasciarono la propria patria per arruolarsi con le milizie del POUM. Ma se l’unione contro il fascismo di Franco era qualcosa su cui tutte le forze interne parevano concordare, sulla rivoluzione interna queste forze erano tutt’altro che coese. PSUC, CNT, POUM, FAI, UGT, erano solo alcuni dei partiti che componevano quella forza apparentemente unita e intenta a respingere il regime franchista. Sul versante comunista (PSUC e PCS su tutti) si pensava che un certo tipo di compromesso con il capitalismo fosse necessario e che la guerra al regime franchista fosse da scindere dalla rivoluzione (prima la guerra, poi la rivoluzione!); sul versante filoanarchico (POUM, gli Amici di Durruti) si pensava, invece, che fosse proprio tale compromesso a generare la nascita di forze fasciste e che quindi guerra e rivoluzione fossero per natura inscindibili. Non si dovette attendere molto finchè la frammentarietà ideologica interna non sfociò definitivamente negli scontri di Barcellona del maggio 1937; questi, in particolare, esplosero quando il Partito Comunista di Spagna e il PSUC presero il controllo della centrale telefonica di Barcellona fino ad allora amministrata dagli anarchici.

Nell’appendice II di tale libro, Orwell racconterà come tali scontri non si svolsero solo per le strade di Barcellona, secondo un modello tradizionale di fare guerra, ma furono magistralmente pilotati dalla stampa di stato attraverso soprattutto quelle che oggi verrebbero definite fake news. Per esempio, il numero esagerato di vittime che i giornalisti dichiaravano di tali scontri, il fatto che il POUM e gli anarchici furono accusati di essere al servizio del fascismo nonché gli artefici degli scontri di maggio erano le principali ma solo alcune delle accuse della stampa rivolte agli anarchici. Questo accadde soprattutto perchè il partito comunista spagnolo era tacitamente in accordo con l’Unione Sovietica stalinista, il quale riforniva loro tutto l’armamentario bellico allo scopo di soffocare le forze rivoluzionarie. In sostanza, alla luce di tali fatti, dopo gli scontri di maggio, cominciarono le incarcerazioni di massa, il POUM fu dichiarato fuori legge e giornali come La Batalla sottoposti a censura più di quanto già non lo fossero. Fortunatamente Orwell riuscì a tornare in Inghilterra, ma molti dei suoi amici con cui aveva combattuto i fascisti al fronte furono rinchiusi senza processo in prigioni lugubri e malfamate, torturati, fucilati e molti addirittura scomparsi. Insomma, quella che si svolse fu una vera e propria carneficina del comunismo sotto lo stendardo della repubblica democratica. Per quanto Orwell metta in guardia dallo schierarsi, il suo atteggiamento e la sua descrizione dei fatti vissuti in prima persona durante quegli anni, lascia il lettore non senza domande e in una posizione di conflitto. Non era il fascismo che rinchiudeva nei lager i diversi e i dissidenti? Come è possibile che un partito comunista che lottava per difendere la repubblica e la democrazia abbia potuto compiere qualcosa che ricorda a tutti gli effetti le spregiudicate pratiche naziste? Eppure, le domande dell’autore, che, seguendo l’ipotesi di questo articolo, lo spinsero a scrivere tale trilogia, erano ancora più atroci. Cosa potevano, indisciplinati e mal armati com’erano, le milizie del POUM e gli anarchici contro la propaganda di stato filosovietica? Che colpe avevano tutti quei prigionieri che fino a poco tempo prima avevano combattuto la stessa guerra contro un nemico comune e che adesso venivano brutalmente rinchiusi nelle fogne di stato con le proprie mogli, i propri figli, colpevoli solo di aver creduto in un sogno trasformatosi in un incubo senza possibilità di risveglio?

 

La fattoria degli animali e 1984

È questo il terreno su cui nascono i suoi due più celebri romanzi. Se La fattoria degli animali denuncia una rivoluzione tradita in cui l’utopia di una emancipazione dal sistema disciplinare schiavistico degli umani nei confronti degli animali si dimostrerà essere una ideologia che perpetrerà l’ennesimo sistema di controllo dei ricchi sui poveri, 1984 è già quel futuro2 in cui qualunque forma di alternativa al sistema è abolita per sempre. Per quanto con questi due romanzi si entri in un mondo onirico in cui la tentazione di trovare analogie con la realtà cosciente è un’incombenza alla mercè di tutti, è necessario comprenderne le ragioni logiche e cronologiche a partire dalle sensazioni che evocano nel lettore. Innanzitutto, queste due opere sono il prodotto delle esperienze e della vita di Orwell e hanno un filo conduttore: l’angoscia. Ne La fattoria degli animali c’è un momento in cui la rivoluzione e la realizzazione di un futuro libero dalle catene sta per realizzarsi finchè il sogno non si incepperà, trasformandosi in un incubo3. In 1984 l’incubo è gia lì, non si sa quando sia cominciato e non se ne intravede nemmeno la fine: non si sa niente del passato che viene cambiato continuamente4, psicopolizia e neolingua contribuiscono a mantenere una omeostasi sociale psicofisica, e, l’unica Verità è rappresentata dal Grande Fratello. Con quest’ultimo romanzo si compie la discesa di Orwell negli inferi dell’umanità. Il potere su mente e corpo è letteralmente assoluto come quando O Brein spiegherà a Winston che il Socing non uccide direttamente il dissidente ma prima lo tortura con pratiche che lo faranno tornare ad amare il sistema, e, solo in seguito giustiziato, cosicchè dell’umanità non potrebbe rimanere nemmeno il suo fantasma. Non c’è risalita. Non c’è lieto fine. È il folle e angosciante desiderio del potere.

L’angoscia: un punto di vista antropologico

Da un punto di vista antropologico, Ernesto De Martino racchiudeva grosso modo l’angoscia, la follia e l’impotenza in sentimenti di fine del mondo. Egli non si limitò a descriverne le caratteristiche fenomeniche ma ne individuò le proprietà. In particolare, nei vissuti di fine del mondo è come se la presenza a un certo punto si smarrisse in stati di coscienza che ricordano quegli stati di trance descritti dall’antropologo ed etnologo francese Georges Lapassade. Secondo quest’ultimo, la transe è uno stato simil-onirico in cui si incontra un luogo profondo e intenso di desideri, un luogo abitualmente sconosciuto che pullula di attività in cui si può incontrare di tutto, anche un indicibile terrore. Nel suo Saggio sulla transe l’autore ripercorre i significati e le funzioni che questa ha avuto nelle varie culture: per quanto sia quasi impossibile dare una definizione di transe, il termine ha subito e continua a subire un’evoluzione. “Nell’XI secolo significa la morte: il trapasso. Nel XV secolo ha il senso moderno di un sostantivo formato a partire dal verbo transire, sempre con significato di passaggio. Ciò introduce un’osservazione più generale: lo “stato di transe” è il contrario della stabilità che si collega generalmente alla nozione di “stato” poiché la parola, nella sua etimologia e nel suo senso originario, indica appunto un cambiamento di stato: la transizione, il trapasso da uno stato all’altro, la morte, e, con la nascita, il passaggio essenziale nel corso della vita umana (pag.25).”5 Se, dunque, si comprendono i vissuti di fine del mondo nel contesto della transe, tali esperienze ricorderebbero quelli di sospensione o dissoluzione dell’Io. Sono molte le dichiarazioni di persone che a seguito dell’utilizzo, per esempio, di sostanze psichedeliche o a seguito di determinati eventi riferivano tale sospensione dell’ego. Da un punto di vista nosologico clinico, la schizofrenia è la fine del mondo per eccellenza, una fine del mondo assoluta, senza possibilità di riscatto. A questo punto, però, è necessario distinguere una fine del mondo positiva in cui opera il riscatto e una negativa in cui non c’è possibilità di riscatto. Se le positive hanno un significato di rinascita, basti pensare alle terapie condotte con gli psichedelici in cui spesso si riferiscono dei cambiamenti della personalità o in tutte quelle pratiche mistiche appartenenti a religioni o culti antichissimi6, in quelle negative, come la schizofrenia, non opera nessun tipo di riscatto. Insomma, quello a cui si vuole giungere è che gli stati di transe e i vissuti di fine del mondo sono una questione che riguarda tutte le civiltà di tutte le epoche e hanno qualcosa da dire sulla cultura di appartenenza. Queste hanno l’angoscia come sentimento primordiale. Seguendo questo ragionamento, quello che fa Orwell con Omaggio alla Catalogna, La fattoria degli animali e 1984 rappresenterebbe una forma di riscatto personale dopo essere sceso in prima persona negli abissi di un mondo in cui lui stesso si è reso conto a posteriori di essere stato, non solo il partecipe, ma anche il complice. Perché se da un lato egli partecipò al conflitto credendosi un comunista antifascista convinto di combattere il male fascista in nome della repubblica democratica, quest’ultima, dopo l’esperienza catalana, si disvelerà a lui come un feticcio ed un ennesimo inganno perpetrato da un nemico molto più grande e meno visibile.

 

Che significa leggere oggi tale trilogia?

Come riportato da un articolo uscito nel febbraio 2021 su Jacobin7, 1984 ha avuto un incremento delle vendite con l’ascesa e con la fine del mandato di Donald Trump a presidente degli Stati Uniti. Se nel primo caso 1984 è stato utilizzato per attaccare il concetto di post-verità tanto caro a Trump, nel secondo caso è utilizzato paradossalmente dai sostenitori del tycoon americano come mezzo per accusare i suoi avversari di aver pilotato le elezioni. Perché è avvenuto un simile cortocircuito logico? Come si è visto, il pericolo è quello di leggere 1984 senza inserirlo in un percorso logico e cronologico che ne eluda le ragioni per cui Orwell l’abbia effettivamente partorito. In Perché scrivo, Orwell spiegava come La fattoria degli animali sia stato il tentativo di fondere scopo politico e scopo artistico in un tutt'uno. Se lo scopo della politica è governare secondo un’idea cosciente che si ha di società, lo scopo artistico è quello di mostrarne i lati oscuri. L’una produce l’altra. Infatti, leggendo la trilogia di Orwell, il lettore non ha via di scampo, ha la sensazione di sprofondare in un mondo completamente altro, vive l’impotenza e l’angoscia ma allo stesso tempo gode di qualcosa a cui sente visceralmente di appartenere. Ed è proprio in questo godimento perverso che la fusione tra scopo politico e scopo artistico si compie. Orwell non esclude il lettore ma lo responsabilizza, facendosi specchio dell’umanità a cui appartiene, lo sfinisce, lo costringe a reprimersi una volta chiuse quelle pagine. Dunque, se ne deduce, che il messaggio più profondo che l’autore inglese voleva lasciare ai posteri non era tanto quello di essere considerato come uno sciamano dell’era moderna quanto piuttosto generare una coscienza di questo perturbante godimento, di questa radicale alterità presente nel lettore stesso, quando inconsapevolmente, e, spesso anche un po' ingenuamente, decide di appartenere o agire in virtù di certi feticci ideologici.

Concludendo, oggi riconoscere che il capitalismo si è innalzato a sistema dominante e che fa godere significa riconoscere le contraddizioni che esso genera sia fuori che dentro quando si decide di aderire a qualunque tipo di attivismo alla mercè di ideologie imperanti e nascenti. Detto ciò, la posizione che sembra trasparire dalle pagine della trilogia non è tanto quella di non aderire, essendo l’ideologia anche un mezzo per leggere e appartenere a un mondo, quanto piuttosto quella di attraversare le convinzioni, di farsi gabbare, di farsi sedurre senza essere completamente risucchiati in un vortice delirante e senza possibilità di riscatto. In poche parole, di non perdere la libertà di dire che 2+2 fa 4.

 

1 G.Orwell, Trilogia della libertà, 2021, Garzanti, Milano.

2 Orwell cambia le due cifre finali di 1984 proprio per dare l’idea di un futuro che è già presente.

3 Tale futuro incarnato da Palladineve che viene spazzato via dall’ombra del potere di Napoleone che finirà per instaurare l’ennesima dittatura sotto mentite spoglie e ancora più subdola della precedente.

4 Attraverso un meccanismo chiamato da Orwell, bipensiero.

5 G. Lapassade, Saggio sulla transe, 1976, LaFeltrinelli, Milano, p.25.

6 Per un approfondimento della questione si veda G. Samorini e A. D’Arienzo, Terapie Psichedeliche. Aspetti generali e storici, 2019, ShaKe Edizioni, Milano.

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