Luogo: Parigi, 1975, il Café de Flore, nel cuore pulsante del Quartiere Latino. È una sera d’autunno, il crepuscolo parigino avvolge le strade in una luce dorata, mentre l’aria del caffè è densa di fumo, conversazioni animate e il profumo di caffè. Jacques Lacan, settantaquattrenne, siede a un tavolo d’angolo, il volto segnato dal tempo ma lo sguardo acuto e magnetico, un sigaro tra le dita e un’aura di teatralità che lo rende inconfondibile. Di fronte a lui, Erich Fromm, anch’egli settantaquattrenne, con un’espressione calma ma penetrante, sorseggia un tè, il suo portamento sobrio in netto contrasto con l’esuberanza di Lacan. Entrambi sono al culmine delle loro carriere: Lacan ha sviluppato la sua rivoluzionaria rilettura strutturalista della psicoanalisi, culminata nei suoi seminari e nella teoria dei tre registri (Immaginario, Simbolico, Reale); Fromm, esponente di spicco della psicoanalisi umanistica, ha pubblicato opere seminali come L’arte di amare (1956), The Sane Society (1955) e Anatomia della distruttività umana (1973), integrando psicoanalisi, marxismo, filosofia esistenziale e spiritualità. Questo incontro immaginario, ambientato in un momento in cui le loro idee sono pienamente mature, è un’occasione per un confronto appassionato e approfondito tra due visioni opposte della psicoanalisi, con un focus sul loro rapporto con l’eredità di Sigmund Freud. Il dialogo che segue esplora le convergenze e le divergenze tra Lacan e Fromm, offrendo al lettore un’immersione dettagliata nelle loro teorie e un’analisi delle loro implicazioni per la comprensione dell’uomo.

Il contesto storico e intellettuale
Parigi, 1975. La città è un epicentro culturale, dove il strutturalismo, il post-strutturalismo e l’eredità dell’esistenzialismo di Sartre si intrecciano con le correnti psicoanalitiche. La psicoanalisi, dopo la morte di Freud nel 1939, si è frammentata in molteplici scuole: da un lato, i neo-freudiani come Fromm, che hanno ampliato la teoria freudiana per includere fattori sociali e culturali; dall’altro, figure come Lacan, che hanno riformulato la psicoanalisi attraverso la linguistica, la filosofia hegeliana e l’antropologia strutturale di Lévi-Strauss. Il 1975 è un anno cruciale: Lacan sta tenendo il suo Seminario XXII (“RSI”), in cui sviluppa la teoria dei nodi borromei per articolare il rapporto tra Immaginario, Simbolico e Reale; Fromm, stabilitosi a Locarno, in Svizzera, dopo anni negli Stati Uniti e in Messico, continua a esplorare l’alienazione umana e la possibilità di una società più umana, come in To Have or to Be? (pubblicato nel 1976).Nonostante non ci siano prove storiche di un incontro reale tra Lacan e Fromm, sappiamo che Lacan conosceva il lavoro di Fromm, avendolo criticato nel Seminario VII (1959-1960) per il suo libro Sigmund Freud’s Mission (1959), che definì “insidioso” e “quasi diffamatorio” per il suo approccio revisionista a Freud. Fromm, invece, non sembra aver mai menzionato Lacan nei suoi scritti, suggerendo una conoscenza limitata o un disinteresse per la sua opera strutturalista. Questo dialogo immaginario, ambientato in un’epoca in cui entrambi hanno pienamente sviluppato le loro teorie, permette di immaginare un confronto diretto tra due visioni radicalmente diverse della psicoanalisi: quella di Lacan, che vede l’inconscio come un sistema linguistico e il soggetto come intrinsecamente diviso, e quella di Fromm, che enfatizza il potenziale umano di crescita, amore e connessione in un contesto sociale.Il Café de Flore, con la sua storia di incontri intellettuali, è il luogo ideale per questo dialogo. È un momento di crisi culturale: il mondo occidentale è segnato dalla Guerra Fredda, dal consumismo capitalista e da un senso di alienazione crescente. Lacan e Fromm, pur opposti, condividono un interesse per la sofferenza umana e il desiderio di liberare l’uomo dalle sue catene, psicologiche o sociali. Il loro confronto, ricco di tensione e profondità, offre al lettore un’occasione per comprendere le loro posizioni e il loro rapporto con Freud in modo chiaro e appassionante.
Lacan: Accende il sigaro con un gesto deliberato, il fumo che si alza in volute eleganti, e fissa Fromm con un sorriso enigmatico. Dottor Fromm, è un piacere incontrarla in questo tempio dell’intelletto parigino. Ho letto il suo L’arte di amare e Anatomia della distruttività umana, e devo dire che il suo ottimismo umanistico è… intrigante, ma forse naïf. Lei sembra voler salvare l’umanità con una psicoanalisi che parla di amore e libertà, ma abbandona la rigorosità del testo freudiano. L’inconscio, per me, è strutturato come un linguaggio, un sistema di significanti che precede l’individuo. Come può la sua visione, così impregnata di ideali sociali, cogliere la complessità del desiderio, che è sempre mediato dall’Altro?
Fromm: Sorseggia il tè, con un’espressione calma ma decisa. Dottor Lacan, apprezzo la sua provocazione, ma trovo la sua rilettura di Freud eccessivamente astratta, quasi esoterica. La sua insistenza sul linguaggio, con concetti come lo “stadio dello specchio” o il “desiderio dell’Altro”, rischia di alienare la psicoanalisi dalla realtà concreta dell’uomo, che vive in un contesto sociale e culturale. In The Sane Society, ho sostenuto che la società moderna – il capitalismo, il consumismo – reprime i bisogni fondamentali dell’uomo: relazione, creatività, trascendenza. Freud ha aperto la strada con l’inconscio, ma il suo focus sulle pulsioni biologiche era limitato. Lei, invece, trasforma l’inconscio in un gioco di significanti, distaccandolo dalla sofferenza reale delle persone. Non è forse una fuga dalla concretezza dell’esistenza?
Lacan: Con un gesto teatrale della mano, come a scacciare un’obiezione. La concretezza, dottor Fromm, è un’illusione se non si comprende che l’uomo è un essere simbolico. L’inconscio non è un serbatoio di pulsioni, come pensava Freud, né un riflesso delle condizioni sociali, come lei sembra credere. È strutturato come un linguaggio, come ho mostrato nel mio Seminario III. Il soggetto è diviso, attraversato dal desiderio dell’Altro – la madre, la società, la legge simbolica. Nel mio lavoro sullo stadio dello specchio, spiego come l’Io si formi attraverso un’alienazione primaria: il bambino si riconosce in un’immagine esterna, ma questa immagine non è mai pienamente “lui”. Il desiderio, quindi, è sempre una mancanza, un manque-à-être. La sua psicoanalisi umanistica, con i suoi “bisogni fondamentali”, ignora questa divisione strutturale. Come può sperare di “curare” l’uomo senza riconoscere che è intrinsecamente incompleto?
Fromm: Con un tono riflessivo, ma fermo. Non nego la divisione dell’uomo, dottor Lacan, ma la interpreto in modo diverso. La sua “mancanza” è un concetto affascinante, ma resta teorica, lontana dalla realtà vissuta. In Escape from Freedom, ho mostrato come la libertà moderna, pur desiderata, generi angoscia e alienazione, spingendo l’uomo verso il conformismo o l’autoritarismo. La divisione che lei descrive – il soggetto alienato dal linguaggio – è solo una parte del problema. L’uomo è alienato anche dalle strutture sociali oppressive, come il capitalismo, che lo riduce a un consumatore. La psicoanalisi, per me, deve aiutare l’individuo a riconnettersi con i suoi bisogni fondamentali: amore, creatività, senso di appartenenza. Lei, con il suo focus sui significanti, sembra perdere di vista l’uomo concreto, che soffre non solo per una mancanza simbolica, ma per un mondo che lo disumanizza.
Lacan: Con un sorriso sardonico. Ma il mondo, dottor Fromm, è già un sistema simbolico! La sua idea di un uomo che può soddisfare i suoi “bisogni” attraverso una società migliore è utopica. Nel mio Seminario XX, ho introdotto il concetto di jouissance, il piacere-dolore che il soggetto cerca nel desiderio, ma che lo lascia sempre insoddisfatto. La società, capitalista o meno, non può colmare questa mancanza, perché è intrinseca alla struttura del soggetto. Prendiamo il complesso di Edipo, che lei critica come un prodotto patriarcale. Per Freud, era un conflitto biologico; per me, è un dramma simbolico, mediato dal Nome-del-Padre, il significante che introduce la legge e la castrazione simbolica. Come può la sua psicoanalisi, con il suo ottimismo, affrontare la realtà di un soggetto che è sempre diviso?
Fromm: Con un’espressione seria. Il complesso di Edipo, dottor Lacan, non è universale, come lei e Freud sembrate credere. In The Sane Society, ho sostenuto che è un costrutto culturale, il prodotto di una società patriarcale che struttura le relazioni familiari in modo rigido. Il desiderio umano non è solo una mancanza simbolica, ma un bisogno di connessione, di amore, di trascendenza. In L’arte di amare, ho descritto l’amore come un’arte, una pratica attiva che richiede consapevolezza e impegno. L’uomo non è condannato alla divisione, come lei sembra suggerire; può crescere, creare, costruire relazioni autentiche. La psicoanalisi deve essere un ponte verso una vita più piena, non un’analisi infinita di un soggetto mancante.
Lacan: Con un tono provocatorio. E come può l’uomo “crescere” senza confrontarsi con il Reale? Nel mio Seminario XI, ho mostrato che il transfert, il rapporto tra analista e paziente, è il luogo dove il desiderio dell’Altro si manifesta. Il paziente proietta sull’analista i suoi desideri, ma questo non porta a una “cura” nel senso medico, bensì a un riconoscimento della sua divisione. La sua psicoanalisi, dottor Fromm, con il suo focus sull’amore e la società, rischia di ignorare questa dinamica fondamentale. Come può il suo “uomo autentico” sfuggire alla struttura del desiderio, che è sempre mediata dall’Altro?
Fromm: Con calma, ma con decisione. Il transfert, per me, non è solo un gioco di significanti, ma un’opportunità per costruire una relazione umana autentica. Nella mia pratica, l’analista deve essere un compagno, non un interprete di simboli. La psicoanalisi deve aiutare il paziente a scoprire il suo potenziale creativo, a superare l’alienazione sociale e personale. In To Have or to Be?, ho sostenuto che l’uomo moderno è intrappolato nel modo dell’“avere” – possesso, consumo – ma può passare al modo dell’“essere” – creatività, connessione, autenticità. La sua enfasi sul linguaggio, dottor Lacan, è potente, ma distoglie l’attenzione dalla concretezza della sofferenza umana. Freud ci ha insegnato a guardare nell’inconscio, ma non ci ha detto di perderci in esso.
Lacan: Con un gesto teatrale. Perdersi nell’inconscio? Al contrario, dottor Fromm, io lo illumino! L’inconscio è strutturato come un linguaggio, e il compito dell’analista è aiutare il paziente a decifrare i suoi significanti, non a sognare un’utopia di autenticità. Nel mio Seminario VII, ho esplorato l’etica della psicoanalisi: non si tratta di “curare” il paziente, ma di portarlo a confrontarsi con il suo desiderio, anche se questo significa accettare la mancanza. La sua visione, con il suo ottimismo umanistico, rischia di cadere nella trappola della psicologia dell’Io americana, che cerca di adattare l’individuo alla società invece di interrogarne le strutture profonde.
Fromm: Con un sorriso ironico. La psicologia dell’Io, dottor Lacan, è proprio ciò che combatto! In Psychoanalysis and Religion, ho criticato le versioni superficiali della psicoanalisi che promuovono l’adattamento sociale. Ma la sua psicoanalisi, con i suoi nodi borromei e il suo Reale, sembra più un esercizio filosofico che una pratica terapeutica. I miei pazienti non hanno bisogno di decifrare significanti; hanno bisogno di ritrovare un senso di appartenenza, di amore, di scopo in un mondo che li aliena. La psicoanalisi deve essere un’arte di vivere, non un rompicapo intellettuale.
Lacan: Con un tono più conciliante. Forse, dottor Fromm, condividiamo più di quanto sembri. Entrambi vogliamo liberare l’uomo, ma io lo faccio accettando la sua incompletezza, mentre lei sogna un’umanità riconciliata. Freud ci ha dato l’inconscio; tocca a noi deciderne il destino. La mia psicoanalisi è un ritorno al suo rigore, ma attraverso il linguaggio; la sua è un’espansione verso la società, ma rischia di perdere la profondità dell’inconscio.
Fromm: Annuendo, con un tono riflessivo. E io dico, dottor Lacan, che l’inconscio è solo l’inizio. La psicoanalisi deve andare oltre, verso una visione dell’uomo che integri psiche, società e spiritualità. Freud ci ha mostrato il buio; tocca a noi accendere la luce.Lacan: Con un ultimo sorriso enigmatico. La luce, dottor Fromm, è sempre velata dal Reale. Ma il suo ottimismo è… ammirevole.
Questo dialogo immaginario mette in luce le profonde differenze tra le visioni psicoanalitiche di Jacques Lacan ed Erich Fromm, ma anche i punti di contatto che emergono dal loro comune interesse per l’eredità di Freud e per la sofferenza umana. Per comprendere appieno il loro confronto, analizziamo le loro posizioni in modo dettagliato, chiarendo le loro convergenze e divergenze per il lettore.Lacan: l’inconscio come linguaggio e il soggetto divisoLacan, nel suo “ritorno a Freud”, riformula la psicoanalisi attraverso la linguistica strutturalista, l’antropologia di Lévi-Strauss e la dialettica hegeliana. Per Lacan, l’inconscio non è un serbatoio di pulsioni biologiche, come in Freud, ma un sistema strutturato come un linguaggio, composto da significanti che precedono il soggetto. Nel suo Seminario III (1955-1956), Lacan introduce l’idea che il soggetto sia diviso, alienato dalla sua stessa formazione: nello stadio dello specchio, il bambino si riconosce in un’immagine esterna, ma questa identificazione è alienante, perché l’Io è sempre altro-da-sé. Il desiderio, per Lacan, è sempre il desiderio dell’Altro – la madre, la società, la legge simbolica – e non può mai essere pienamente soddisfatto, poiché è radicato in una mancanza strutturale (manque-à-être).Il complesso di Edipo, per Lacan, non è un conflitto biologico, come in Freud, ma un dramma simbolico: il Nome-del-Padre, il significante della legge, introduce la castrazione simbolica, costringendo il bambino a rinunciare al desiderio fusionale con la madre e ad entrare nel mondo del linguaggio e della società. L’angoscia, nel Seminario X (1962-1963), è il risultato dell’incontro con il Reale, ciò che resiste alla simbolizzazione, mentre la jouissance (Seminario XX, 1972-1973) è il piacere-dolore che il soggetto cerca nel desiderio, ma che lo lascia sempre insoddisfatto.La psicoanalisi di Lacan non ha come obiettivo la “cura” nel senso medico, ma il riconoscimento della divisione del soggetto. Nel transfert, il paziente proietta sull’analista il desiderio dell’Altro, e l’analista deve guidarlo a decifrare i suoi significanti, non a colmare la sua mancanza. La visione di Lacan è profondamente anti-utopica: l’uomo è strutturalmente incompleto, e la psicoanalisi deve aiutarlo ad accettare questa condizione, non a superarla.Fromm: la psicoanalisi umanistica e l’uomo concretoFromm, esponente della psicoanalisi umanistica e influenzato dal marxismo, dall’esistenzialismo e dalla spiritualità ebraica, critica l’ortodossia freudiana per il suo focus sulle pulsioni biologiche e propone un approccio che integra psicologia individuale e dinamiche sociali. Per Fromm, l’inconscio non è solo individuale, ma anche sociale: le strutture culturali – il capitalismo, il patriarcato, il consumismo – plasmano la psiche, creando un “inconscio sociale” che aliena l’individuo dai suoi bisogni fondamentali. In Escape from Freedom (1941), Fromm sostiene che la libertà moderna, pur desiderata, genera angoscia, spingendo l’uomo verso il conformismo o l’autoritarismo. In The Sane Society (1955), descrive una società ideale che promuova la creatività, la relazione e la trascendenza, opponendosi all’alienazione capitalista.Fromm rifiuta il complesso di Edipo come universale, vedendolo come un prodotto di strutture patriarcali, e critica la teoria freudiana della libido per il suo riduzionismo biologico. In L’arte di amare (1956), propone l’amore come un’arte attiva, che richiede consapevolezza e impegno, e non come una pulsione passiva. In To Have or to Be? (1976), distingue tra il modo dell’“avere” (possesso, consumo) e il modo dell’“essere” (creatività, connessione autentica), suggerendo che la psicoanalisi debba aiutare l’individuo a passare dal primo al secondo.L’angoscia, per Fromm, è un sintomo dell’alienazione sociale: l’uomo soffre perché si sente scollegato dai suoi bisogni fondamentali e dalla comunità. La psicoanalisi, nella sua visione, è un processo di crescita personale e sociale, che mira a liberare l’individuo dall’alienazione e a promuovere una società più umana. Nel transfert, l’analista deve essere un compagno empatico, non solo un interprete, per aiutare il paziente a ritrovare la sua autenticità.Convergenze e divergenzeConvergenze: Entrambi Lacan e Fromm riconoscono l’importanza dell’inconscio freudiano come chiave per comprendere l’uomo, ma lo reinterpretano in modi diversi. Entrambi criticano la società moderna: Lacan per la sua dipendenza dai significanti vuoti del consumismo, Fromm per la sua disumanizzazione e alienazione. L’angoscia è un tema centrale per entrambi: per Lacan, è un incontro con il Reale; per Fromm, è il risultato della perdita di connessione umana. Entrambi vedono la psicoanalisi come un mezzo per liberare l’uomo, anche se con obiettivi diversi: Lacan punta all’accettazione della mancanza, Fromm alla crescita personale e sociale.Divergenze: Le loro visioni sono radicalmente opposte. Lacan considera l’inconscio un sistema linguistico e il soggetto intrinsecamente diviso, rifiutando ogni possibilità di “cura” nel senso tradizionale. Fromm, invece, crede nel potenziale umano di crescita e autenticità, vedendo la psicoanalisi come un’arte di vivere. Il complesso di Edipo, per Lacan, è un dramma simbolico universale; per Fromm, è un costrutto culturale contingente. Lacan enfatizza il linguaggio e la struttura simbolica, mentre Fromm si concentra sulla concretezza della sofferenza sociale e personale. La jouissance di Lacan è un concetto estraneo alla visione umanistica di Fromm, che preferisce parlare di amore e creatività.Il rapporto con Freud: Entrambi si definiscono eredi di Freud, ma in modi opposti. Lacan propone un “ritorno a Freud”, rileggendo l’inconscio attraverso il linguaggio e la dialettica, mantenendo la radicalità della scoperta freudiana ma rifiutando il suo biologismo. Fromm, invece, si allontana da Freud, criticando la teoria della libido e il complesso di Edipo, e ampliando la psicoanalisi verso una prospettiva umanistica e sociale. Per Lacan, Freud è un punto di partenza da riformulare; per Fromm, è un precursore da superare.
Questo dialogo immaginario tra Jacques Lacan ed Erich Fromm, ambientato nel vibrante contesto del Café de Flore nel 1975, offre una panoramica appassionante delle loro visioni opposte della psicoanalisi. Lacan, con il suo approccio strutturalista, ci invita a vedere l’uomo come un soggetto diviso, intrappolato in un sistema simbolico che lo aliena ma lo definisce. Fromm, con la sua prospettiva umanistica, ci spinge a immaginare un uomo capace di superare l’alienazione attraverso l’amore, la creatività e una società più giusta.Per il lettore, questo confronto chiarisce le complessità della psicoanalisi post-freudiana. Lacan ci sfida con la profondità teorica del suo linguaggio, costringendoci a confrontarci con la natura inafferrabile del desiderio e della mancanza. Fromm, con il suo calore umanistico, ci offre una visione più accessibile, radicata nella speranza di un cambiamento personale e sociale. Entrambi, pur opposti, condividono l’obiettivo di liberare l’uomo dalle sue catene, psicologiche o sociali, rendendo questo dialogo un’esplorazione viva e appassionante della condizione umana.Un possibile dialogo tra Lacan e Fromm potrebbe arricchire entrambe le prospettive. Lacan potrebbe trarre dalla visione di Fromm un’attenzione maggiore alla concretezza della sofferenza sociale; Fromm potrebbe beneficiare della profondità strutturale di Lacan, che illumina la complessità del desiderio e dell’inconscio. In un’epoca di crisi culturale come il 1975, segnata dal consumismo e dall’alienazione, questo confronto immaginario ci ricorda che la psicoanalisi rimane un campo dinamico, capace di intrecciare teoria e pratica, linguaggio e umanità.L’immagine di Lacan e Fromm che si salutano, lasciando il Café de Flore sotto le luci di Parigi, è un simbolo di un dialogo mai avvenuto, ma che continua a ispirare chi cerca di comprendere la psiche umana e il suo posto nel mondo.
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