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Netanyahu. Tanto tuonò che piovvero missili da Gaza.

14 Ott 23

Di FRANCESCO BOLLORINO

La giustificazione peggiore che un capo di governo molto aggressivo, oltranzista e fanaticamente religioso può dare alla stampa del suo paese e a quella internazionale, è la risposta “inattesa”, “non preventivata”, “ci ha colti di sorpresa”, se il paese confinante, com’è il caso dei Palestinesi, reagisce improvvisamente lanciando una grandinata di missili, fucilieri su parapendii, scatenando brigate al-Qassam e armati di ogni genere, per strada e piazze che bruciano carri armati e altri – tutti partiti e organizzati dalla striscia di Gaza – che assaltano kibbutzin sequestrando civili, dopo un paio d’anni di provocazioni. Così ha fatto il governo Israeliano di Netanyahu e Ben-Gvir. Era contestato da tempo, la maggioranza non accettava le loro riforme, lo scontro era radicale, sull’orlo della guerra civile, ma loro tiravano diritto sicuri e tracotanti. Premesso che l’apocalisse di fuoco iniziata alle sei di mattina del 7 ottobre 2023 con lancio di migliaia di missili da Gaza, con assalto di orde di terroristi Hamas in jeans e maglietta, per strade e case private fin dentro i kibbutzin per uccidere brutalmente civili bambini, donne, uomini, vecchi, e prendere vigliaccamente in ostaggio, con ferocia inusitata, chiunque potesse essere scambiato come merce, va condannato senza esitazione, c’è da chiedersi, possibile che il leggendario Mossad non si sia accorto di nulla? Ma quello che appare ancor più incredibile sono le stupefatte dichiarazioni di tutti i servizi, più o meno segreti, anglo-american-occidental-atlantici «non abbiamo potuto capire come sia potuto accadere». Dissero così anche ai tempi dell’attentato terroristico di “Al Qaida” alle «Twin Towers», le torri gemelle di New York (11 settembre 2001). Ancora si combatte nel sud di Israele, dopo sette giorni e prende corpo la reazione di Gerusalemme, via terra, su Gaza; ancora razzi su Ascalona, ma quello che impressiona è la precisione dei terroristi, preparati alla perfezione da Mohammad Deif, l’ombra mutilata, sopravvissuta a diversi attentati, capo dell’ala militare di Hamas a Gaza, anch’esso da condannare senza appello per la carneficina al festival per il rave party di musica elettronica, nel deserto vicino al kibbutz Re’im, non distante dalla Striscia di Gaza, in cui un centinaio di giovani, su più di tremila ragazzi israeliani sono stati giustiziati, “sparando a chiunque”. Deif  ci ha messo la firma, annunciando l’inizio della operazione “Alluvione al-Aqsa“. Almeno 700 vittime israeliane, oltre 2000 feriti, più di 100 rapiti. Nella rappresaglia almeno 413 palestinesi morti e 2300 feriti.  

 

Anche noi come tutti, leggiamo i giornali, e sapere che dietro questo massacro ci potrebbe essere l’Iran, teocratico, chiunque potrebbe sospettarlo, anche un bambino, perché il Mossad no? Sulle questioni della pace e della guerra in zone sensibili dal secondo dopoguerra mondiale, non ci si può assolutamente distrarre, specialmente ora che, dopo 75 anni si è capito finalmente che sono assolutamente perniciose le funzioni di “gendarmi del mondo”. Per quanto riguarda la complessa e tormentata storia di Israele, è dal 1948 che il leader militare sionista polacco Ben Gurion, durante la guerra arabo-israeliana, ha creato le Forze di difesa israeliane, divenendo “il padre fondatore d’Israele”. Tornare indietro sarebbe una aberrazione storica, tenendo conto che in tutti questi anni ci sono stati conflitti come la guerra con l’Egitto di Nasser del 1956 per la crisi di Suez, la “Guerra dei sei giorni” del 1967, e poi la guerra del Kippur del 1973, le varie intifada, ma anche il processo di pace di Oslo (1993 – 2000) e infine gli “accordi di Abramo”, una dichiarazione congiunta tra Israele, Emirati Arabi Uniti e Stati Uniti d’America, raggiunta il 13 agosto 2020. Tutto lasciava ben sperare anche perché, dopotutto, Israele è una potenza nucleare. Non a caso è stato scelto, per l’accordo, il nome di Abramo, condiviso come patriarca tanto dalla religione ebraica, quanto da quella islamica e dai rispettivi popoli intrecciati, com’è scritto nella Genesi dai fratellastri Ismaele e Isacco, il figlio del sorriso, nato 13 anni dopo.  

L’incauta, per non dire peggio, operazione militare d’inizio luglio scorso a Jenin, etichettata dal governo d’Israele come “antiterroristica”, era stata una aggressione pura e semplice al campo profughi palestinesi della Cisgiordania, con morti, feriti e almeno 3mila palestinesi cacciati dalle loro case e dispersi per il territorio, in fuga da una nuova guerra. Quella di sempre, che da un po’ di tempo in qua sembra riaccendersi. Bibi Netanyahu, che pure non è uno sprovveduto, né un novellino (governa da circa un quarto di secolo) e ha qualche guaio con la giustizia. Origini ashkenazite per parte di padre, ma totalmente privo dello spirito degli yiddish, gli ebrei del nordeuropa, un caso clinico, ormai. Dal 1996 ad oggi, anche se ci sono stati pause e scandali si può dire che Benjamin Netanyahu non sia stato mai completamente estraneo al governo per 24 anni. Persona astutissima, ma purtroppo assolutista e priva di scrupoli sta trascinando il paese che governa in una tragedia peggiore di tutte le precedenti. Forse  che i guai giudiziari di Netanyahu (e della moglie), sempre recisamente negati, sembrano affrettare certe decisioni? La politica suprematista che ha deciso di praticare col suo governo di destra con insediamenti in Cisgiordania, crea violente reazioni tra i palestinesi e, la feroce e inusitata reazione attuale che nessuno prevedeva ne è la testimonianza più evidente. C’è solo un precedente che viene in mente, la “beffa dello Yom Kippur”, esattamente 50 anni fa, il 7 ottobre 1973, quando le forze armate israeliane e Shin bet – Mossad – Aman, furono colti alla sprovvista da una coalizione di Siro-egiziana. Gli egiziani attaccarono dalla penisola del Sinai, d’accordo con i siriani che invece da nord invasero le alture del Golan. Forse anche per eccessiva presunzione, avendo chiuso il conflitto precedente con una vittoria lampo (“Guerra dei sei giorni”), Israele si trovò in grande affanno nei primi giorni, prima di passare al contrattacco nei successivi e risultare vittorioso su entrambi i fronti. La guerra finì dopo una ventina di giorni con la proclamazione di un cessate-il-fuoco tra le due parti in lotta, ma bisogna calcolare che dietro c’erano due colossi Usa e URSS, mentre ora ci si distrae anche troppo inseguendo le paranoie sanguinarie di Zelensky. Dopo però ci fu una specie di regolamento di conti come avviene in ogni sana democrazia: la primo ministro Golda Meir, il ministro della difesa Moshe Dayan e il capo di stato maggiore David Elazar, diedero le dimissioni. 

  

La grande virata nella salute politica di Israele è avvenuta quando, malgrado le proteste generali, gli scioperi e le disobbedienze plateali, quasi da guerra civile, si è insediato il Netanyahu IV il 29 dicembre 2022, il più reazionario dei governi che Israele abbia mai avuto. Dentro ci sono, oltre al “Likud”, lo “Shas” (nato come partito etnico prima ancora, che ultraortodosso, dunque esponente di una certa etnia, prima che di un certo orientamento religioso) [01]; il “Potere Ebraico” (partito di estrema destra, fondato nel 2012), il “Giudaismo Unito nella Torah” (alleanza di due partiti rappresentanti gli interessi degli ebrei haredim ashkenazita, Agudat Yisrael e Degel HaTorah, alla Knesset), il “Partito Sionista Religioso” (o Unione Nazionale-Tkuma, partito di estrema destra fondato nel 1998), il “Noam” di Avi Maoz, e altre formazioni influenti. Anche questo è un bel problema, Sessantacinque anni dopo la sua fondazione, Israele deve ancora affrontare alcune questioni fondamentali riguardo alla sua esistenza e al suo futuro. Un universo complesso. Ci sono politici ebrei, che sono nati in Nordafrica e non hanno mai conosciuto la tragedia della Shoah, lo sterminio del popolo ebraico durante il Secondo conflitto mondiale da parte della Germania nazista e dei loro alleati, ossia il sacrificio inevitabile. Aryeh Deri, o Arie Deri, di origini marocchine, è un influente leader del Shas, partito politico israeliano, fondato nel 1984, che rappresenta principalmente gli ebrei ultra ortodossi sefarditi e mizrahì, in gran parte immigrati dai paesi arabi nei primi dieci anni dopo l’indipendenza d’Israele. Su Itamar Ben Gvir, altro leader oltranzista della destra estrema, può essere utile riportare un articolo del luglio scorso tratto dal Il Fatto Quotidiano. 

 

«… il ministro della sicurezza nazionale israeliano Itamar Ben Gvir – capo dell’ala più oltranzista della destra attualmente al governo – ha fatto giovedì scorso la sua terza “passeggiata”, sulla Spianata delle Moschee di Gerusalemme facendo irruzione anche nella Moschea al Aqsa, terzo luogo santo dell’Islam. Ben-Gvir – e un migliaio di suoi sostenitori erano scortati da un impressionante dispositivo di sicurezza. La Spianata delle Moschee o Monte del Tempio per gli ebrei è il cuore del conflitto israelo-palestinese. “Passeggiate del genere hanno scatenato rabbia e violenze da parte dei palestinesi, quella dell’allora premier Ariel Sharon nel 2005 fu il detonatore della Seconda Intifada. La Moschea al Aqsa, che si estende su 14 ettari e comprende la  Cupola della Roccia e la sala di preghiera al Qibli dalla cupola d’argento, è un sito islamico dove visite, preghiere e rituali non richiesti da parte di non musulmani sono vietati da decenni. Nonostante l’occupazione di Gerusalemme nel 1967, la sovranità e la custodia di questi luoghi è in carico alla Giordania, un ente religioso patrocinato dal re hashemita che si occupa della sua manutenzione. Dell’intesa – che è parte dell’accordo di pace fra Israele e Giordania del 1994 – sono garanti anche USA e UE. La collina su cui si trova la moschea – nota agli ebrei come il Monte del Tempio – si ritiene che sia il sito dove un tempo sorgevano due antichi templi ebraici, il Muro occidentale di uno di questi templi ai piedi della collina è il luogo dove pregano gli ebrei. Su questa base gli ultranazionalisti come Ben-Gvir vogliono estendere tutto il controllo dell’area sotto il governo israeliano, così come teorizzano l’annessione totale della Cisgiordania. Misure e dichiarazioni che hanno allarmato Washington come Bruxelles. Incuranti delle reazioni della popolazione che da 30 settimane (quasi 7 mesi) scende in piazza contro il “golpe giudiziario” del governo di Benjamin Netanyahu, i leader dell’ultradestra nazionalista vogliono aprire un altro fronte, nella convinzione che una reazione palestinese, il “pericolo arabo”, possa incollare una società civile al momento profondamente lacerata di fronte al “nemico”» www.ilfattoquotidiano.it › Israele nel caos. La destra in crisi ritenta la carta “pericolo arabo” di Fabio Scuto. 31 Luglio 2023. 

 

Israele è profondamente cambiata da almeno 20 anni a questa parte, ma forse anche da prima, perché Askenaziti, i primi ad arrivare, e Sefarditi hanno tradizioni e provenienza differente, ma sono anche di costituzione diversa. Molta parte della tragedia ebraica di un passato ancora recente come l’olocausto, la Shoah, la «tempesta devastante», della  Bibbia (Isaia 47, 11), perché l’orrendo misfatto rimanga impresso nella memoria, giacché ci sono ancora molti sopravvissuti, sembra allontanarsi tra le inevitabili nebbie del tempo. Da diversi anni i partiti che rappresentano gli interessi della comunità ebrea ultraortodossa in Israele sono diventati sempre più centrali nella politica del paese. Da tempo ormai, una legge elettorale premiale favorisce i partiti più piccoli e alcune evidenti tendenze demografiche hanno reso questi partiti sempre più influenti all’interno della coalizione di centrodestra. Basterebbe dire che una famiglia ultraortodossa ha in media sette figli, che spesso tendono a votare come i genitori. Nel parlamento eletto a novembre quasi un parlamentare su sei è stato espresso da partiti che rappresentano le comunità ultraortodosse, vale a dire comunità che seguono regole molto rigide di dottrina religiosa. Questi gruppi politici, al momento di formare il governo, hanno ottenuto dal primo ministro Benjamin Netanyahu diverse concessioni e dunque sono ostaggio l’una dell’altra. Molti si sono domandati se un popolo antico di grandi tradizioni e di grande storia, sparso in tutto il mondo, possa convivere senza sussulti in un Grande Tempio protostorico, in fondo una Piccola Patria. Il grande “Boolie“- Abraham Yehoshua (1936-2022), sublime autore de “Il signor Mani”, traduzione di Gaio Sciloni, Einaudi 2018 – aveva capito benissimo, con la saga dei “Mani”, che «Non c’è un solo Dio» e «non c’è un popolo eletto al quale è stata assegnata una unica terra». Aveva cercato di spiegarlo con la metafora del giovane soldato israeliano Efraim in servizio nel Libano, primi anni Ottanta del secolo passato. In pratica, il futuro d’Israele che, parlando col patriarca Abraham attraverso cinque dialoghi diversi, s’interroga a ritroso nel tempo per sette generazioni e ascolta le voci del tempo di un’antica famiglia ebraica, di un popolo intero sorretto dall’utopia della pace. Portroppo non è riuscito a convincere Bibi e il suo gruppo di forsennati che vuole riprendere la storia dove si era fermata dopo la guerra dei sei giorni. Poiché a dicembre il “Netanyahu IV” compirà un anno di disgrazie ci sono già molti a pensare che l’incubo peggiore, appena finita questa orribile guerra gratuita, sarà trovarsi ancora Netnyahu al governo! 

 

Note. 

01. Gal Gabai, giornalista, ha scritto nel libro La mia terra promessa dell’intellettuale israeliano Ari Shavit: «Noi ebrei orientali non siamo morti nell’Olocausto, non ci siamo fatti uccidere nella Guerra di Indipendenza, non abbiamo partecipato alla costruzione della memoria dell’Olocausto, siamo stati portati qui e siamo stati portati dopo tutto questo […] Abbiamo dovuto provare ogni giorno che non eravamo degli arabi». 

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