Questo articolo ricorda il ruolo attivo dei medici nella uccisione di migliaia di pazienti psichiatrici durante l’olocausto e dei meccanismi mentali nello svolgimento di tale ruolo.
Nello scritto “La questione della colpa” Karl Jaspers afferma: “Non posso dimenticare una conversazione avuta a casa mia, nel maggio 1933, con un amico che doveva più tardi emigrare e che oggi vive in America. Allora noi considerammo, con animo agitato, la possibilità di un pronto intervento da parte delle potenze occidentali. Egli disse: “se ritardiamo ancora un anno Hitler ha vinto la Germania è perduta e forse anche l’Europa” (1).
Considerazioni non dissimili per drammaticità hanno portato, già a fine gennaio 2021, ma anche recentemente, “The Lancet” a pubblicare “Announcing the Lancet Commission on Medicine and Holocaust: historical evidence, implications for today, teaching for tomorrow” (2, 3, 4); temi ripresi nell’articolo della stessa rivista pubblicato in data di ieri col titolo “Auschwitz” (5), nel quale si sottolinea come parlare della medicina durante il periodo nazista e la Shoah non sia una questione inerente a un lontano passato, ma “quel periodo è cruciale per riconoscere e modificare tendenze simili oggi e guidare e informare la pratica etica della medicina. Questa storia illustra anche le condizioni e la portata della resilienza e resistenza dei professionisti medici in situazioni difficili”.
L’annuncio della Commissione peraltro fa seguito all’editoriale “Holocaust education – a medical imperative” di Richard Horton, caporedattore del Lancet, del novembre 2020, in cui è scritto: “i medici sono stati complici centrali dell'Olocausto. La loro collusione fu una perversione così estrema dell'etica professionale di un medico che proprio questo fatto deve far parte del repertorio di conoscenze di ogni futuro medico. La medicina ha guidato l'avanzamento progressivo verso il genocidio. L'idea della vita indegna della vita. La sterilizzazione obbligatoria. Il programma di eutanasia. E alla fine il genocidio stesso” (3).
Nel numero della stessa rivista del 12/09/2020, nell’articolo “The crisis of political language” (4), lo stesso caporedattore analizza criticamente il modo di comunicare di potenti capi di stato, che utilizzano non solo lo screditamento e la diffamazione “come strumento per combattere gli avversari” ed autoesaltarsi, ma tendono a manipolare l’informazione e la ricerca scientifica sulla malattia, ad esempio sul vaccino del coronavirus, "con l'intento di ingannare" nei "sordidi processi della politica internazionale", come già sostenuto da Orwell.
Si pensi ai dati pubblicati quotidianamente dal Johns Hopkins nel periodo del Covid (8) per notare quanto questi siano stati minimizzati se provenienti, non solo da nazioni povere con sistemi sanitari disorganizzati, ma anche da quelle governate da regimi illiberali che esercitano oltretutto una forte influenza politica sul WHO.
Argomenti, sui quali The Lancet torna ormai da mesi, (2,3,4,6,7,8), anche nel numero di ieri col titolo “A cultural history of fear” (9), che nascono dal bisogno di rinforzare i principi fondanti delle società scientifiche mediche, compresa la WHO, soprattutto in una fase storica contrassegnata da gravi conflitti bellici, dalla ricomparsa di ideologie suprematiste, da leadership politiche e regimi che, oggi ancor più che in passato, possono manipolare, censurare, propagandare, intimorire, con lo scopo di piegare a proprio favore la verità ogni regola, comprese quelle della pratica etica in medicina.
Leadership sviluppate sulla base di visioni e concezioni fondate sul culto del super-uomo, della prepotenza, del controllo persecutorio della dissidenza, dell’obbedienza al partito unico e al suo capo, per le quali “il potere equivale al diritto” (11), capaci di condurre a dinamiche catastrofiche e di distruzione simili a quelle verificatesi durante il periodo drammatico della Shoah.
A partire dunque dalla consapevolezza che la presenza di aspetti valoriali, sociali e culturali quali il potere, la gerarchia e l’obbedienza costituiscano un fattore di rischio per l'abuso di potere in medicina, questo scritto propone inizialmente una lettura critica della nascita delle teorie pseudo-scientifiche della razza e della conseguente adesione di un numero molto elevato di medici e scienziati alle teorie di “Igiene Razziale” durante le fasi più buie del ventesimo secolo (12). In seguito viene elaborata una riflessione sulla resilienza morale come possibile antidoto all’asservimento passivo alla prepotenza e alle ingerenze perverse del potere politico e ai potenziali abusi da parte dei rappresentanti del potere scientifico e su alcuni aspetti psicologici della professione medica che possono contribuire ad un ripensamento nel processo di costruzione dell’identità professionale del medico.
Brevi cenni storici: dal positivismo allo sterminio
Per quanto le prime teorie di origine differente di popoli e razze siano presenti sin dall’antichità (13), come sostenuto da George Mosse “il razzismo ebbe le sue fondamenta nell’Illuminismo”…“esso fu il prodotto del profondo interesse per un universo razionale, per la natura e per l’estetica” (14, pag.7).
Certamente la svolta positivista Darwiniana e quindi la ricerca delle leggi che regolano il mondo fenomenico, fondate sul metodo scientifico e sulla relazioni di tipo causa effetto, determina a metà del ‘800 lo sviluppo di studi indirizzati anche e cercare misure obiettive delle differenze fisiognomiche tra popolazioni.
Per Charles Darwin le specie umane si sono evolute positivamente e indefinitamente nel tempo, a prezzo però di una lotta feroce che gli individui e i gruppi combattono per la sopravvivenza a discapito dei più deboli.
Nel suo libro “L'origine dell'uomo e la selezione sessuale (1871)” Darwin esamina la questione sugli "argomenti a favore e contro alla classificazione delle cosiddette razze dell'uomo come specie distinte" ed afferma conclusivamente, con un senso storico che ha del profetico, "in un futuro non molto lontano, se misurato con i secoli, le razze civili dell'uomo quasi certamente stermineranno e sostituiranno in tutto il mondo le razze selvagge” (15).
Tra i primi tentativi di classificazione di razzismo scientifico ci fu quella proposta dal francese Georges Vacher de Lapouge (1854-1936), teorico dell'eugenetica. Rifacendosi a osservazioni di craniometria, dimostratesi poi false, del medico, antropologo fisico e poligenista statunitense Samuel George Morton (1799-1851), che raccolse teschi umani provenienti da tutto il mondo tentando uno schema logico di classificazione, Vacher de Lapouge fece pubblicare nel 1899 il suo “L'Aryen et son rôle social” (L'Ariano e il suo ruolo sociale). In questo libro l'autore classificò l'umanità in varie razze gerarchiche, che vanno dalla "razza bianca dolicocefalica", alla "razza brachicefala", mediocre ed inerte, al meglio rappresentata dall'ebreo. Tra queste suddivisioni identificò l'"Homo europaeus" ("razza nordica"; teutonico, protestante ecc.), l'"Homo alpinus"("razza alpina"; Auvergnat-alvernese del centro della Francia, Turchi ecc.) e, infine, l'"Homo mediterraneus" ("razza mediterranea"; napoletano, andaluso, ecc.). Vacher De Lapouge divenne una delle principali fonte d'ispirazione per l'antisemitismo nazista e per le basi ideologiche del nazismo.
La classificazione di Vacher de Lapouge venne ripresa anche nell'opera "The Races of Europe" (1899) dell'economista statunitense William Z. Ripley, che costruì anche una mappa del continente europeo secondo il presunto indice cefalico dei suoi abitanti (16).
Degli stessi anni è "la scienza dei pregiudizi anti-ebraici", che condanna gli ebrei poiché soggetti a presunte mestruazioni maschili, affetti da isteria patologica e da ninfomania.
Ma è del medico, psichiatra, criminologo italiano Cesare Lombroso (1835-1909) la ricerca delle prove per un inquadramento di fisognomica e craniometria di tipologie umane quali i geni, i folli, i delinquenti, gli epilettici. Egli sostiene quanto: ”Nelle galere è comune trovare il tipo mongolo con gli occhi obliqui, lo zigomo sporgente, la scarsezza della barba, il fronte suggente, gli enormi seni frontali, il colorito giallo o terreo dei mongoli… molti alienati si fanno, all’insorgere od all’aggravarsi della triste loro infermità, più oscuri e perfino bronzini alla pelle; ed io vidi nelle nostre vallate cretini che alla lunghezza del cranio, alla sporgenza del muso, alla grossezza delle labbra e perfino all’oscuramento della pelle parevano negri malamente imbiancati” (17).
Tra i delinquenti, gli alienati e i cretini la regressione è dunque un fenomeno «spontaneo» che può addirittura «aggravarsi», una anomalia fisica, che avvicina l’uomo al selvaggio e al primitivo. Lo stesso Lombroso sosteneva la predominanza tra i geni di caratteristiche quali il pallore, la magrezza o l'obesità, l'essere rachitici, sterili o celibi, di cervelli per la maggior parte di volume superiore alla media e con deformità.
Un ruolo determinante nel passaggio tra gli studi di fisognomica, le teorie eugenetiche e sulle specie umane, di darwinismo sociale e l’ideologia della selezione raziale lo ebbe il fisico e biologo tedesco Alfred Ploetz (1860-1940). Si deve infatti a lui la paternità del termine “Igiene Razziale” (Rassenhygiene), comparso per la prima volta nel suo libro intitolato “Racial Hygiene Basics” (1895). Egli nel 1905 fondò anche la Società Tedesca per l'Igiene Razziale ("Gesellschaft für Rassenhygiene"). Il movimento sostenne l'allevamento selettivo dell'umanità, la sterilizzazione obbligatoria e un allineamento stretto della salute pubblica con l'eugenetica (18).
Sulla base dunque di una cultura medico-scientifica considerata come portatrice di verità, basata sulla lotta feroce per la selezione naturale della specie, di metodologia delle differenze raziali e intellettive misurabili oggettivamente, nel 1932 lo psichiatra tedesco Berthold Kuhn, in un articolo intitolato “Estirpare la vita meno degna di valore dalla società”, stimò che i malati mentali costavano alla Germania 150 milioni di marchi all’anno. Hitler mostrò subito interesse per questo programma: “È giusto che le vite prive di valore di queste creature debbano essere terminate; ciò permetterà di diminuire le spese mediche”. Nel luglio 1933, sei mesi dopo il suo avvento al potere, venne approvata la “Legge per la prevenzione della progenie con difetti ereditari”, cui primo obiettivo fu la sterilizzazione di persone affette da ritardo mentale, schizofrenia, disturbo maniaco-depressivo, epilessia, malattia di Huntington, cecità e sordità ereditaria, alcolismo ereditario e “gravi malformazioni del corpo”.
Dapprima tale legge “era un provvedimento eugenetico in base al quale la sterilizzazione era volontaria, eccettuati alcuni casi previsti con grande precisione. Ma prima ancora che fosse passato un anno, le sterilizzazioni erano diventate obbligatorie”…”Furono fissati i tipi di malattia” …”seguendo il criterio della capacità dell'individuo in questione di far fronte con successo alle necessità della vita e della sua prevedibile capacità di affrontare i pericoli della guerra”…e della “razza superiore”…”sempre definita come produttiva, mentre quelle inferiori”…”coloro che hanno perduto la volontà di lavorare dovrebbero essere soppressi perché la comunità deve essere sollevata dall'onere di prendersi cura dei suoi membri inutili” (14, pag. 230-231).
Nel 1937 venne promulgata la legge che prevede la sterilizzazione di tutti i bambini tedeschi di colore.
Infine, nell’ottobre 1939, un mese dopo l’invasione della Polonia, con una lettera retrodatata, redatta sulla sua carta intestata personale, lo stesso Hitler scrisse:
«Il Reichsleiter (Capo della Cancelleria) Bouhler e il Dr. med. Brandt sono incaricati, sotto la propria responsabilità, di estendere le competenze di alcuni medici da Loro nominati, autorizzandoli a concedere la morte per grazia ai malati considerati incurabili secondo l’umano giudizio, previa valutazione critica del loro stato di malattia».
Questa comunicazione del fuhrer, pur non essendo né un ordine né una norma di legge, ma un semplice e informale “si autorizza”, costituì il fondamento amministrativo degli omicidi per «eutanasia».
Cosa accade delle due regole del giuramento di Ippocrate “Regolerò il tenore di vita per il bene dei malati secondo le mie forze e il mio giudizio” e “Non somministrerò ad alcuno, neppure se richiesto, un farmaco mortale, ne’ suggerirò tale consiglio”?
Il 95% dei medici “nominati” accettò l’incarico, ritenendolo evidentemente non incompatibile con il giuramento di Ippocrate: almeno 42 medici, la maggior parte dei quali psichiatri e neurologi, tra cui alcuni professori universitari, collaborarono spontaneamente agli omicidi in qualità di periti.
La loro valutazione di migliaia di pazienti, considerati come elementi estranei sub-umani avveniva tramite compilazione di moduli di protocollo burocratici e fu per loro fonte di reddito aggiuntivo in quanto svolgevano questa attività parallelamente alla loro regolare professione. Venivano pagati in base al numero di moduli di compilati. Nei primi questionari, circa su 283.000 compilati, 78.000 contengono una croce: verdetto di morte.
Appare anche significativo l’atteggiamento formale dei medici coinvolti nelle selezioni iniziali. Argomento ben documentato nella mostra organizzata dalla Società Tedesca di Psichiatria (e diffusa in Italia dalla SIP), “Schedati, perseguitati, sterminati. Malati psichici e disabili durante il nazionalsocialismo” (20), che, dopo una prima esposizione a Berlino, ha fatto il giro di città di tutto il mondo. Tra le foto della mostra è riportata una immagine, in posa in un momento di riposo, di alcuni tra gli psichiatri nominati per quel lavoro: sono ben vestiti, sorridenti, con un comportamento composto ed elegante.
La psichiatria e la medicina, (non solo durante il nazismo ma anche nel regime comunista sovietico e non unicamente quello), supportata e protetta da semplici moduli burocratici, s’è dimostrata pertanto capace di schedatura, repressione e annientamento, condividendo o comunque accettando servilmente i comandi del potere costituito.
Così come progettato da Hitler e riferito dal Dr. Brandt al Processo di Norimberga: “in caso di guerra risolveremo radicalmente il problema degli istituti psichiatrici”, nei campi di sterminio, dove le “diagnosi” mediche hanno contribuito in modo rilevante alla selezione dei deportati idonei al lavoro e quelli, la grande maggioranza, da mandare alle camere a gas, si ritiene che la conta dei pazienti psichiatrici uccisi sia stata compresa tra 220.000 e 270.000; molti di essi, come migliaia di altri prigionieri perlopiù ebrei, giunsero alla morte a seguito di agghiaccianti e meticolosi esperimenti, quali quelli sugli effetti delle mutilazioni fisiche o altre irripetibili torture, o al tentativo di cambiamento del colore degli occhi, o all’utilizzo di sostanze sperimentali provenienti dalle industrie chimiche tedesche, quali quelle ustionanti o gas nervini ecc. (18,19).
Il ruolo dei medici, non solo psichiatri, nell’olocausto è stato oggetto di numerosissime pubblicazioni e The Lancet ne ha selezionato alcune, consigliandone la lettura nel suo “Announcing” (3).
La coscienza medica in condizioni difficili
Ma allora quale deve essere la risposta dei Medici e delle loro delle Istituzioni Scientifiche, davanti a dottrine discriminanti e violente e regimi autocratici o capipopolo esaltati e faziosi, anche scelti in elezioni democratiche, o leader catartici, talora religiosi o manovrati o conniventi con governi dittatoriali, capaci di controllo occulto e minuzioso di individui, di diffusione di notizie false, di ostacolo, interdizione e modifica delle informazioni reali finalizzata alla creazione di una percezione distorta della realtà?
Mentre per gli errori medici di natura “tecnica”, quali una terapia o un intervento errato, esistono sia precisi meccanismi di analisi e correzione, quali l’audit o l’educazione al risk management, sia procedure di indennizzo assicurativo, sia strumenti giuridici atti a dirimere controversie civili o penali, più complessi appaiono i meccanismi di comprensione e aggiustamento degli errori psicologici.
Questi, se individuali, comportano una articolata analisi di sé, dei propri istinti, dei sentimenti distruttivi, delle ambizioni o bramosie e conducono ad un giudizio assai difficile sia da ammettere che da misurare obiettivamente.
Ancor più sottili e dal difficile giudizio critico, appaiono i meccanismi psicologici di resilienza o di accondiscendenza al potere, vissuti in un ambiente scientifico, condizionato da pressioni da parte di figure politiche superiori che utilizzano, per la propria affermazione, l’aggressione, il condizionamento o la sottomissione di massa, lo screditamento, la trama nascosta o la contraffazione dei dati della ricerca scientifica (20).
Come riconoscere e non diventare complici delle tendenze perverse del potere di oggi non così dissimili da quelle del passato e non meno preoccupanti?
Come affrontare le minacce future insieme ai nostri simili?
Quale repertorio di conoscenze storiche dovrebbe essere insegnate a ogni futuro medico?
“L’olocausto non avrebbe potuto essere realizzato senza fare uso della tecnologia moderna, senza un moderno stato centralizzato con i suoi schedari e sistemi comunicazione e senza la brutalizzazione delle coscienze”. (14, pag. 248).
La coscienza storica (e di sé) può contribuire a limitare il ripetersi di errori ed aberrazioni e contribuire alla formazione della consapevolezza necessaria per affrontare le diverse sfide di un futuro che s’è fatto presente?
Biibliografia
-
Karl Jaspers. La questione della colpa, pag.99 -Raffaello Cortina Ed.
-
Volker Roelcke, Sabine Hildebrandt, Shmuel Reis. Announcing the Lancet Commission on Medicine and Holocaust: historical evidence, implications for today, teaching for tomorrow, The Lancet, January 26 2021
-
Richard Horton, Holocaust education-a medical imperative, The Lancet, Vol. 396, Issue10263, P1619, NOVEMBER 21,2020;
-
The Lancet Commission on medicine, Nazism, and the Holocaust: historical evidence, implications for today, teaching for tomorrow, Novembrer 2023
-
Hedy S Wald, Auschwitz
January 27, 2024
-
Richard Horton, The crisis of political language.The Lancet, vol.396, Issue 10253, p746, SEPTEMBER 12,2020
htts://doi.org/10.1016/S0140-6736(20)31904-8
-
Lucas Engelmann, A cultural history of fear
January 27, 2024
https://doi.org/10.1016/S0140-6736(24)00097-7
-
CoVID-19 Map- Johns Hopkins Coronavirus Resource Center
-
The Lancet, Editorial: No more normal, vol. 396, Issue 10245, P143, July 18,2020
https://doi.org/10.1016/S0140-6736(20)31591-9
-
Marie-Paule Kieny,Lelio Marmora, Michel Kazatchkine. The WHO we want,
The Lancet, Vol. 395, Issue 10240, P1818-1820, JUNE 13,2020
HYPERLINK "https://www.thelancet.com/journals/lancet/article/PIIS0140-6736(20)30973-9/fulltext"https://www.thelancet.com/journals/lancet/article/PIIS0140-6736(20)31298-8/fulltext
-
Isaac B. Singer – La Fortezza, pag. 9 – Longanesi 1993
-
Aktion T4: lo sterminio nazista dei disabili: prima degli ebrei ci furono loro
-
Benjamin Isaac, The Invention of Racism in Classical Antiquity, (2006). Princeton University Press, 2006
-
George L. Mosse , Il razzismo in Europa, Editori Laterza.
-
Charles Darwin, L’origine dell’uomo. 2014 ebook
-
– Jason E. Lewis, David DeGusta, Marc R. Meyer, Janet M. Monge, Alan E. Mann, Ralph L. Holloway, The Mismeasure of Science: Stephen Jay Gould versus Samuel George Morton on Skulls and Bias. Plos Biology, June 7, 2011
-
Cesare Lombroso, L’uomo delinquente, ebook –Epub
18- Racial Hygiene, World Heritage Encyclopedia Edition, ebook,
Projct Guttenberg Self-Publishing Press
-
Vittore Bocchetta, L’aspirina per Hitler, Tamellini ed.
-
Schedati, perseguitati, sterminati. Malati psichici e disabili durante il nazionalsocialismo, Azienda Ospedaliero-Universitaria di Cagliari, 2 Novembre 2018
-
Moral injury: the effect on mental health and implications for treatment,
The Lancet Psychiatry: March 17, 2021
0 commenti