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Il cervello ha una mente propria UNA RECENSIONE

6 Lug 22

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Non è un libro facile questo di Jeremy Holmes e l’interessante Prefazione di Alessandro Zennaro – interpolata da una serie di frasi come “ammesso che mi abbiate seguito fin qui…” (p. XII), “se siete sopravvissuti fino a ora siete stati eroici…” (p. XIII) – non aiuta particolarmente a semplificare il quadro del discorso.

In effetti, il tentativo dell’autore riveste di certo i caratteri del pensiero complesso non fosse altro che per il grande sforzo di prendere spunti, idee e concetti dalle neuroscienze, dalla neurobiologia, dalla teoria dell’attaccamento – a cui Holmes ha dedicato un importante lavoro: La teoria dell’attaccamento. John Bowlby e la sua scuola (tradotto nel 2017 da Raffaello Cortina) – e da diverse altre aree dello scibile umano, e in tale ottica è molto utile avere la possibilità di consultare il Glossario a fine testo.


 

Nel paragrafo dedicato ai sogni (quinto capitolo) Holmes narra come gli sia venuta in mente l’idea del titolo del libro: essa “deriva da una frase, pronta all’uso, affiorata alla mia mente dopo essermi risvegliato dal sogno di un cibo delizioso e di fronte alla prospettiva di una giornata di ‘digiuno’ a basso contenuto calorico… Per quanto la mia mente avesse buone intenzioni, il mio cervello affamato di calorie insisteva che quello di cui avevo bisogno era un lauto pasto!” (p. 50). Su questo dialogo tra mente e cervello si snoda in pratica l’intero testo.

Un concetto su cui torna e ritorna la riflessione di Holmes è quello di FEPfree energy principle, il Principio di Energia Libera a cui egli fa iniziale e specifico riferimento, dopo averne in sintesi indicato origini e sviluppi collocati nella psicologia accademica e nelle neuroscienze (primo capitolo). Da questo punto di vista l’energia è molto di più di un semplice fenomeno fisico, divenendo una categoria esplicativa ad ampio spettro che si manifesta in ogni angolo della vita quotidiana e anche nell’area della clinica: “i pianeti ruotano intorno al sole, e le mele cadono dagli alberi senza chiedere il permesso alla legge gravitazionale di Newton. Le menti continuano a amare e odiare, si uniscono e si separano in modo più o meno felice, ignare dei meccanismi cerebrali che plasmano i loro moti. In altre parole, il FEP ha davvero importanza” (p. 83) e la sua rilevanza si coniuga nei capitoli successivi con i molteplici riferimenti a Bowlby e alla sua scuola, considerando anche le forme di attaccamento tra terapeuta e cliente – ma vedi anche la costruzione della sintonia biocomportamentale a cui fa cenno l’autore nel terzo capitolo, insieme ad altri spunti interessanti sulla relazione terapeutica – i fenomeni di mentalizzazione, e quella particolare forma di mentalizzazione che avviene tra genitori e figli nel momento in cui, in modo implicito, i genitori entrano in risonanza con lo stato emotivo del figlio.

L’altro aspetto che rappresenta un fil rouge del testo ruota intorno ai processi cognitivi che si riferiscono al cervello come ad un apparato previsionale, naturalmente inferenziale, supportato da schemi – che spesso corrono il rischio di diventare pre-giudizi e stereotipi – e che essenzialmente opera al fine della conservazione dell’individuo. In che modo è svolto questo importante compito vitale? Fondamentalmente cercando di essere quanto più affidabile possibile nel leggere il mondo. Il che si traduce nel fare pre-visioni corrette, anticipando gli eventi, pur cercando di operare con il minimo sforzo. Osservazioni, queste, che provengono da lontano, dalla fisica e dall’etologia, dalle neuroscienze e dallo studio dei sistemi complessi, ma che risuonano credo assai familiari ad ogni clinico con una certa esperienza. Fin troppo spesso ci si scontra con queste modalità di percezione-pensiero super-consolidate che fanno da scudo verso il mondo affettivo!

Tornando al testo di Holmes, se uno degli scopi di questo lavoro è quello di scrutare alcune delle più significative scoperte delle neuroscienze per la psicoterapia, sono pure da notare alcune incursioni dell’autore nel mondo sociale e nella contemporaneità, come ad esempio nel seguente passo: “l’omeostasi psicologica essenziale per una vita libera è per sua natura vulnerabile alle forze dell’entropia. Apprendere dall’esperienza, tollerare l’errore di previsione e risolverlo dipende in larga misura dalle possibilità generative delle relazioni intime. Le società che suscitano ansia, passività, disuguaglianza, isolamento e insicurezza compromettono lo sviluppo delle capacità di legare questa energia libera nel bambino in via di sviluppo” (p. 95).

Anche se sono frequenti i riferimenti alla psicoanalisi ed alle psicoterapie si rimarrebbe delusi se si cercassero numerose e precise indicazioni tecniche in queste pagine; certamente, alcune indicazioni o spunti possono essere estratti qui e là, tradotti nell’ambito della propria pratica clinica e considerati con attenzione al fine di migliorare se stessi come terapeuti, forse proprio seguendo ciò che l’autore afferma quando scrive “l’obiettivo della terapia è quello di generare, tollerare, legare e metabolizzare novità e sorpresa” (p. 90). Come si sarà intuito, sono molte le sorprese che prendono forma scorrendo queste pagine, ed il compito principale del lettore sarà, probabilmente, proprio quello di tollerare le incertezze, legare e collegare idee che provengono da campi diversissimi e con i quali, in genere, non si ha grande familiarità, fino a metabolizzare i contenuti di un testo che è sicuramente affascinante e denso. Un testo, peraltro, assai differente da quelli a cui ci aveva abituato Jeremy Holmes, in particolare con la pubblicazione di Psicoterapia per una base sicura (2001), e La psicoanalisi contemporanea. Teoria, pratica e ricerca, scritto con Anthony Bateman (e pubblicato nel 1995), due volumi tradotti da Raffaello Cortina rispettivamente nel 2004 e nel 1998.

 

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