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Free Speech: La “macchina” e la falsa liberazione

20 Lug 20

A cura di Sarantis Thanopulos

Diaologo tra Sarantis Thanopulos e Monica Ferrando 

 

Monica Ferrando:2 dicembre 1964. Gli studenti che occupano Berkeley qualche dubbio sulla tecnologia informatica già ce l’hanno. Che l’università sia un manipolo di impiegati guidati da dirigenti comandati da un manager, Mario Savio, uno dei leader del movimento Free Speech, non ha paura di gridarlo. E quanto a se stessi: “siamo un mucchio di materiale grezzo che non ha intenzione di diventare prodotto per essere venduto a qualche cliente dell’università…noi siamo esseri umani….C’è un momento in cui quel che fa la macchina diventa così odioso, ti fa sentire così male che tu non puoi proprio farne parte. Devi gettarti a corpo morto sugli ingranaggi, sulle ruote, sulle leve, su tutto l’apparato per fermarlo. E devi dire alla gente che lo guida e lo possiede che la macchina potrà riprendere a lavorare solo a patto che tu diventi libero.” Parole profetiche: pur di riprendere a lavorare, è stata la macchina a creare quella libertà che lì, in modo troppo poco filosofico, si rivendicava. Vent’anni dopo, dalla Silicon Valley, si levano voci entusiaste sulla libertà offerta dalla società informatica globale che permette di perseguire, in un’ubiquità che vince finalmente le limitazioni spazio-temporali del corpo fisico, il sogno collettivo di un interesse individuale illuminato. Se l’idea di libertà era solo questa, non c’è da stupirsi che fosse la macchina a esaudirla. Ancora in fase di incubazione nel ’64 (dalla WWII alla successiva Guerra Fredda), la macchina diverrà quel personal computer con cui si scriveranno best sellers e si gestirà la new economy. A partire dall’edonismo degli ’80 in cui interessi democratici e repubblicani trovano una superiore armonia, essa promette, col sogno di onnipotenza, una nuova frontiera di uguaglianza e comunione che fa dimenticare il suo imprinting militare legittimandolo. Prezzo della nuova vita olistica? Il grande obiettivo gnostico della disincarnazione.
 


Sarantis Thanopulos:Monica le tue parole, che fanno nascere in chi le ascolta un senso di amara tristezza, chiamano in causa l’illusione, molto presente nella nostra società, di poter mettere al servizio della giustizia e della libertà ciò che più ferocemente le contraddice. Di poter usare una visuale oggettiva, prodotto di definizioni della realtà astratte dall’esperienza soggettiva, per creare una vita olistica, priva di differenze, variazioni e contraddizioni. Il potere di condizionamento che il computer ha, neanche tanto invisibilmente, sul nostro modo di vivere, trae vantaggio dalla  convinzione che il confronto politico è uno scontro tra comportamenti progressisti e conservatori. Che basta definire i comportamenti appropriati, insieme alle apparenze/immagini in cui essi si riflettono, e usarli bene, per creare un mondo libero e giusto.  

Computazione e comportamentismo sono omogenei l’uno all’altra, il loro incastro abolisce lo spazio politico, fa della “macchina” il principio regolatore della nostra esistenza. L’oggetto della manipolazione  è la psiche il lavoro dei desideri, emozioni e pensieri con  cui rappresentiamo e configuriamo la realtà che dissociata dai sensi/sensazioni e dall’eros, si disincarna. Sedotta dalla mente (Winnicott) diventa il dispositivo di un agire prevedibile e riproducibile in modo automatico, la cui manutenzione richiede un corpo biologico efficiente.  

Lo strapotere psicologico/ideologico della rete su di noi (da quando la domanda di liberazione è rimasta impigliata nella tela di ragno computazionale) deve molto alla confusione  tra facilitazione e libertà. All’interpretazione della libertà come liberazione dai bisogni. Per misurare l’infondatezza di questa convinzione basterebbe un solo esempio: la straordinaria riduzione dei tempi di comunicazione ha accelerato i nostri ritmi di vita e ridotto drammaticamente il nostro tempo libero.

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