Se sparando mi appiatto entro il profondo
bosco, o sfuggo di corsa ove il sentiero
s’apre, è un gioco bellissimo che invero
la superficie m’innova del mondo.
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E vedono il terreno oggi i miei occhi
come artista non mai, credo, lo scorse.
Così le bestie lo vedono forse.
Le bestie per cui esso è casa, è letto,
è talamo, è podere, è mensa, è tutto.
Vi godono la vita, ogni suo frutto,
vi danno e vi ricevono la morte.
Or, come vuole la mia bella sorte,
non la sola bellezza al paesaggio
chiedo, quanto una siepe od un selvaggio
tronco, che mi nasconda il capo e il petto.
Saba, qui, c’illustra come egli vive una situazione in cui l’esigenza di salvare la vita, benché simulata, è in primo piano, . Ciò comporta, paradossalmente, un’esperienza della Natura priva di nostalgia che, tuttavia, suscita nostalgia. Si tratta del ritorno all’epoca della vita in cui tale sentimento non aveva motivo d’esistere: l’epoca in cui l’ambiente circostante era una “environmental mother” (Winnicott, Ogden) pronta a soddisfare ogni necessità (a offrire “casa”, “letto”, “talamo”, “podere”, “mensa”); una madre-ambiente non ancora riconosciuta come persona separata, sempre presente e, quindi, pressoché invisibile. Tale è l’esperienza della Natura che vivono i bambini molto piccoli e, probabilmente, le bestie; un’esperienza estranea agli Artisti: essa è immune da sentimenti di perdita e di nostalgia; non può, quindi, animare quelle istanze riparative che portano a creare Poesia. Eppure, il recupero di questa dimensione da parte di Saba è nostalgico, e lo porta a creare versi molto belli. ![]()







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