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IL CEMENTO DENTRO DI NOI

20 Feb 17

A cura di Sarantis Thanopulos

Mentre Susanna Camusso denunciava la crescente diseguaglianza in cui sprofondiamo, è diventata palese la posta in gioco a Roma: la colata di cemento che sta per abbattersi sulla sua periferia. Gli speculatori parlano di politica industriale. Sostenuti dal fatto che per i nostri governanti non è affatto chiaro il rapporto tra industria e speculazione edilizia (a Roma come a Messina).
L’industria ha, storicamente, una natura ambigua, svolgendo contemporaneamente due funzioni opposte: produrre oggetti d’uso; riprodurre se stessa come sistema di profitto e di potere.
La produzione di oggetti d’uso per la soddisfazione di bisogni (eliminare tensioni psicofisiche sgradevoli) e di desideri (appagare esigenze culturali e estetiche, espressione dell’eros per la vita) è tanto più appropriata quanto più è in accordo con il principio di uguaglianza. L’uso degli oggetti richiede il rispetto per chi li ha prodotti e per coloro con cui ci mettono in relazione quando li usiamo. Richiede, inoltre, la cura degli oggetti, un’attenzione curiosa e sensibile verso le loro caratteristiche e le loro potenzialità d’uso, come pure la cura nei confronti di se stessi attraverso la personalizzazione del rapporto con essi. Non si può prendere cura di sé senza un’attenzione nei confronti delle cose usate e non si riesce a coltivare questa attenzione senza curare le proprie relazioni con gli altri.
Più il rapporto con gli altri e con gli oggetti diventa consumo senza uso reale, più si producono cose in funzione della riduzione dei desideri in bisogni e si creano esigenze artificiali e gli strumenti perché siano appagate. La produzione di beni è sovradeterminata dalla speculazione finanziaria in modo consequenziale alla manipolazione dei bisogni e agli spostamenti senza regole degli investimenti dove più  conviene agli speculatori. L’industria, in queste condizioni, non solo crea maggior diseguaglianza tra l’imprenditore e i lavoratori, ma anche impoverimento progressivo tra gli acquirenti dei suoi prodotti.
La speculazione edilizia ha anticipato questa tendenza -nella cui affermazione le ha dato, in seguito,  man forte la tecnologia speculativa- e ne rappresenta, ancor oggi, la colonna vertebrale. Essendo da tempo uscita dai binari dei bisogni reali -costruire case per tutti- fabbrica abitazioni per nessuno, bolle di sapone dette “immobiliari”. Più avanza velocemente, più lascia un vuoto indietro e, a meno che non si proietti nello spazio, ci farà inabissare miseramente.
Dal vuoto sotto i nostri piedi ci difendiamo svuotando il nostro modo interno. Non è un vuoto fatto d’aria, ma di cemento. La cementificazione psichica sostituisce la materia viva della soggettività e annulla la percezione dello sprofondamento. Invece di usare materiali resistenti per abitare solidamente la realtà, incorporiamo la loro inerzia.
È una delle grandi aporie della nostra civiltà, il persistere degli amministratori della “res publica” nell’ignorare la psicologia collettiva. Nulla possono fare quando alla qualità della nostra esperienza psicocorporea (la profondità e l’intensità del nostro gustare le cose della vita, attraverso un uso attento e rispettoso) si sostituisce la logica quantitativa della liberazione dalle tensioni (che crea oggetti di un consumo impersonale, avulso da un vero godimento). La politica diventa gestione, necessariamente manipolativa, di una psiche di “massa” ritirata dal mondo e irrigidita in posizione difensiva. La perdita del senso della realtà, impedisce anche l’appagamento dei bisogni materiali e se non si ferma la folle corsa dell’autoreferenzialità, si va dritti allo sbaraglio.
    

 

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