Politici, imprenditori e faccendieri perseverano nell’usare i loro cellulari con stravagante leggerezza.
Nelle loro comunicazioni telefoniche o via email continuano, in tutta tranquillità, a parlare di cose (potenzialmente o concretamente) compromettenti sul piano legale e a rivelare particolari, che dovrebbero essere ritenuti intimi, della loro vita privata. La loro imprudenza è eclatante: l’intercettazione delle loro conversazioni più che una probabilità è una quasi certezza.
La gente comune, ,molto meno esposta al pericolo di essere messa sotto un controllo mirato, sembra mediamente più consapevole del rischio di essere ascoltata da orecchie indiscrete. Si vive in un mondo in cui ogni partecipazione alle relazioni di scambio è statisticamente rilevata, monitorata e inserita, in modo tanto anonimo quanto matematico, in una trama di vita sovra-individuale, astratta dall’esperienza personale. Mantenere almeno i propri desideri, sentimenti e pensieri più privati al riparo dall’intrusione, nel momento in cui i propri gusti, preferenze e inclinazioni sono oggetto di espropriazione e manipolazione, dovrebbe essere una priorità difensiva elementare. Eppure, è evidente che l’esigenza di difendersi è tanto meno sentita quanto più alto è il rischio di essere intercettati perché si occupa una posizione in vista, di privilegio. E tra coloro che sono più in vista, più si ha qualcosa da nascondere, più ci si mette nella condizione di rivelare tutto.
L’atteggiamento dei personaggi che vivono sotto i riflettori della vita pubblica ricalca, accentuandolo, quello delle persone (il cui numero aumenta in modo esponenziale) che passano il loro tempo a esteriorizzare la loro vita privata nei social network. Solo che a furia di esteriorizzare, perdono il senso del loro spazio privato e vivono con la loro camera da letto perennemente sotto lo sguardo di tutti, passanti o amici che siano. Il falso senso di immediatezza e prossimità che crea la comunicazione a distanza supportata dalla tecnologia digitale, può essere usato come droga che si sostituisce all’intimità: l’affacciarsi delle nostre emozioni più personali alla relazione con gli altri. Il grado dello sviluppo dell’intimità, che presume una certa fiducia nell’incontro con l’altro e un certo grado di reciprocità, decide la distinzione tra relazioni private e relazioni sociali, ma anche il grado di investimento reale di queste ultime. Più presente è l’intimità, più il rapporto con l’altro è privato, ma in sua assenza nessuna relazione è autentica.
Lo scacco dell’intimità, che la falsa prossimità promuove, dà origine a un autismo capovolto: la realtà esterna risucchia il mondo interno, l’interfaccia delle relazioni annulla la loro profondità. Il personaggio pubblico di turno che cade per via delle intercettazioni, nel compiere il passo falso non si tradisce: compiendolo afferma, inconsapevolmente, che non ha nulla da tenere per sé. Se un tradimento c’è, è nei confronti di se stesso.
Freud avrebbe detto che il tradirsi in questi casi esprime il desiderio, presente in tutti coloro che infrangono la legge, di essere puniti per espiare un inconscio senso di colpa, non connesso all’infrazione commessa e rivelata. Questo è vero, ma cosa fa diminuire così drammaticamente la prudenza che i delinquenti, nella loro ambivalenza tra desiderio di essere puniti e voler salvare la pelle, di solito conservano? L’esigenza di mantenere la propria esistenza nel registro dell’esteriorità: dichiararsi colpevoli all’autorità, non del reato compiuto ma dell’intimità dei propri sentimenti. Inibire il desiderio di proteggerli.
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