Dialogo tra Sarantis Thanopulos e Silvia Vizzardelli
Silvia Vizzardelli: “La psicoanalisi entra nell'università affiancando la filosofia in un indirizzo di laurea magistrale. Accade a partire da quest'anno accademico presso il Dipartimento di Studi Umanistici dell'Università della Calabria, dove io insegno da molti anni. Si tratta di una novità nel panorama italiano. Dunque filosofia e psicoanalisi: un rapporto tormentato ma, come tutte le relazioni pericolose, assai fecondo, fin dagli inizi della psicoanalisi, quando Freud, pur temendo la vocazione della filosofia a farsi Weltanschauung (concezione del mondo), non smetteva di ricorrere alla "speculazione" sopratutto nella fasi più critiche del suo pensiero. Anche l'insegnamento di Lacan è costellato di provocazioni, battute sarcastiche, pronunce di insoddisfazione nei confronti della filosofia, eppure il suo pensiero è in dialogo serrato con la filosofia antica e contemporanea. Certamente la pratica psicoanalitica è caratterizzata da un alto tasso di performatività, di improvvisazione e aderenza a quanto di volta in volta emerge nella seduta. Eppure la psicoanalisi nasce insieme alla sua teoria, si lascia affiancare dal sapere teorico e filosofico, quasi per sostenersi e per assicurarsi un sapere trasmissibile. Caro Sarantis mi farebbe piacere conoscere il tuo punto di vista su questo rapporto, soprattutto a partire dalla tua lunga esperienza clinica. In che modo la filosofia ti ha aiutato, se lo ha fatto?”
Sarantis Thanopulos: “La filosofia è, dovrebbe essere, d’aiuto per tutti, scienziati, letterati e artisti inclusi. L’usufruirne non richiede una conoscenza specifica, piuttosto l’interiorizzazione di un modo di sentire, osservare e pensare facendo esperienza del mondo. Quando ne sento l’esigenza, leggo un testo o un passo di un filosofo, per approfondire, ma anche per rimette in movimento un sapere collettivo condiviso, sedimentato dentro il mio pensiero e il mio mondo affettivo. Il lavoro teorico impegna lo psicoanalista innanzitutto come clinico, indipendentemente dal suo amore per la speculazione. È a partire dalla particolarità della sua esperienza clinica –rivelatrice, a lui e al suo paziente, di risvolti altrimenti inaccessibili dell’esistenza umana– che egli cerca di formulare una prospettiva universale, e quindi teorica, sull’esperienza vissuta. Prospettiva mai disgiunta dalla particolarità di un singolo modo di essere, capace di collocarla nello spazio erotico dell’intesa tra le differenze che le consente di prendere forma e consistere. La filosofia contiene sempre nel suo nucleo centrale la spinta amorosa che fa della sapienza un modo di assaporare il senso del vivere, per cui ogni volta che vengo sorpreso da un significato inatteso che nasce dentro la relazione analitica da un incontro profondo, mettendo insieme sensi, emozioni e pensieri, il filosofo diventa mio amico.”
Silvia Vizzardelli: “Proviamo ad entrare brevemente nel merito di un esempio. Un filosofo russo naturalizzato francese a me caro, Vladimir Jankélévitch, ha messo al centro della sua riflessione un quasi-concetto: le je-ne sais-quoi e le presque-rien (il non so che e il quasi niente): “il lucore timido e fugace, l’istante-lampo, i segni evasivi – è questa la forma che le cose più importanti della vita scelgono per farsi riconoscere”. E’ azzardato dire che la psicoanalisi nasce insieme all’idea che la “verità” sorga in un istante e a una distanza incommensurabile da noi?”
Sarantis Thanopulos: Il “non so che” è ciò di cui si fa esperienza senza poterlo definire con il pensiero cosciente: l’inconscio non rimosso, ma vissuto, “presente”, il luogo delle nostre trasformazioni più autentiche e profonde che il lavoro analitico cerca di promuovere. Le “verità” in psicoanalisi sono in effetti dei “quasi niente”, “lampi” di conoscenza non pensata, ma esperita, il cui senso eccede in modo irriducibile il nostro discorso di significazione.”
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