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La casa eterna di Emanuele Severino

14 Giu 21

A cura di Davide D'Alessandro

Quando è morto Emanuele Severino, il 17 gennaio 2020, ho spento la luce della stanza dove stavo leggendo. Un gesto istintivo, rapido, per restare qualche minuto al buio e in silenzio, un segno di riconoscenza per un filosofo di assoluta grandezza, per un signore di fine eleganza. Nell’ultima intervista gli avevo ricordato che per Cesare Pavese “un paese ci vuole, non fosse che per il gusto di andarsene via”. Lui, pur avendo insegnato a Milano e a Venezia, non aveva mai lasciato Brescia. Abitava ancora nella casa dove arrivò che aveva soltanto quattro mesi. Perché? Rispose: “Perché in questa casa sono quasi nato ed è cresciuta con me. Mi è sembrato innaturale staccarmene”.
Mentre riattraverso una parte della sua opera, grazie a tre volumi editi nel tempo da Mimesis, apprendo con gioia che a Brescia si dà il via libera al “Centro Casa Severino”. Catalogare l’enorme patrimonio culturale e rendere accessibile l’archivio, per promuovere progetti di ricerca, è un modo per non spegnere la luce, anzi per tenere accesa la sua straordinaria lezione e aiutare tanti giovani interessati al suo pensiero.
Del resto, basta leggere “Tecnica e architettura”, l’ultimo lavoro curato da Renato Rizzi, per comprendere che la visione filosofica di Severino è capace di inoltrarsi in territori inesplorati dai più. Scrive Luca Taddio nella prefazione: “Severino mostra come lo sviluppo delle tecno-scienze sia legato al necessario tramonto della metafisica occidentale: la celebre sentenza di Nietzsche ‘Dio è morto’ indica impossibilità di fondare delle ‘verità assolute’ e quindi il venir meno di un ‘limite’ stabile entro tale fondamento. L’epoca contemporanea si afferma come priva di fondamenti poiché elimina l’idea stessa, antidemocratica, di ‘verità’: possedere la verità potrebbe legittimare qualcuno a imporre politicamente tale verità. Le scienze non parlano più di ‘verità’, concetto troppo impegnativo che può essere consegnato alla storia della metafisica”.




Per “ripassare” l’opera di Severino mi affido ad altri due volumi, davvero interessanti: “Al cuore del destino. Scritti sul pensiero di Emanuele Severino”, di Giulio Goggi,




e “Essere/Contraddizione. Confronto con Emanuele Severino”, di Fabio Vander. Occasioni di stile per continuare ad approfondire un’opera che non muore. È bello che oggi ci sia una “Casa”, la sua Casa, dove meditare le sue pagine, perché il grande filosofo non si è mai separato da Brescia, la città nella quale, amava ripetere, “ci sto come nelle pantofole”, e quella via, quel numero civico, sono ben presenti ai tanti che l’hanno studiato e hanno avuto il piacere di discorrere con lui. Oggi aprire uno di quei libri, tra quelle mura, vuol dire farlo in presenza di Emanuele e di Esterina, la dolce compagna di una vita, vuol dire leggere in un luogo magico e fare della cultura un cammino itinerante. Partire da quella casa per l’alta montagna, dove si staglia il pensiero di Severino, ma sempre a quella casa fare ritorno. Se siamo eterni, tutto è ancora lì, tutto continua a dirci di lui, a parlarci di lui e della sua opera. Una casa eterna per un’opera eterna.

 
 
 

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