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“La solitudine dei numeri primi”, ma anche … “gli errori dei genitori” e “l’importanza del numero 12”

7 Nov 14

A cura di Matteo Balestrieri

  Genitori autoritari, permissivi, assenti, disorganizzati, preoccupati? Le tipologie sono molte, e altrettanto sono le teorie di riferimento. Diana Baumrind, psicologa dello sviluppo, negli anni ’70 ha proposto una classificazione che prevede 4 stili:

  • autoritario
  • permissivo
  • trascurante/rifiutante
  • autorevole

  Anche dalla teoria dell’attaccamento di Bowlby è possibile enucleare stili che derivano dagli attaccamenti familiari (sicuro, evitante, ambivalente, disorganizzato). Nel film “La solitudine dei numeri primi” di Saverio Costanzo sono accennati alcuni stili familiari che portano i protagonisti, Mattia (Luca Marinelli) e Alice (Alba Rohrwacher), ad essere dei “numeri primi” (numeri divisibili solo per 1 e per se stessi), vale a dire persone non assimilabili agli altri e chiusi in se stessi. Mattia lo è per scelta a seguito di un tragico errore, Alice per il rifiuto degli altri. I genitori, apparentemente di contorno, segnano in realtà profondamente con i loro errori l’isolamento dei due ragazzi.

  Alice e Mattia si conoscono in adolescenza, ma non riescono ad avvicinarsi intimamente – verrebbe da dire come l’acqua fa con l’olio – pur sentendosi attratti da un’affinità di sentimenti. A otto anni Mattia, lasciato nell’occasione dai genitori solo con la sorella ritardata, pieno di vergogna l’aveva abbandonata fuori da una festa e non l’ha più ritrovata. Alice è stata lasciata da sola sui campi di sci dall’arroganza del padre, se la fa addosso e resta indietro, poi cerca di raggiungere gli altri, ma cade e si rompe un femore. Il risultato è che zoppica, venendo poi ripetutamente derisa dalle compagne adolescenti a scuola. Due esistenze colpite dalla vita, dall’assenza genitoriale e dalla cattiveria del mondo. I genitori si rivelano distanti, autoritari e trascuranti, ognuno immerso nel proprio narcisismo stupido e presuntuoso. La madre di Mattia (Isabella Rossellini) dice a un certo punto di suo figlio “Mi fa paura”. Come è sottilmente angosciante questa scena, e come può essere così distante una madre da suo figlio!

  Il film (del 2010) è diverso dal libro da cui è stato tratto. Là dove il romanzo (di Paolo Giordano, che ha contribuito alla sceneggiatura del film) era lineare, il film è spezzato, destrutturato, pieno di flash-back e di flash-forward. Per chi ha letto il libro è più facile seguire la trama, ma vi è il disagio di vedere il racconto fatto a pezzi. Il film ha subito critiche feroci per avere adottato questo tipo di montaggio, e per non essere riuscito a dare anima ai protagonisti. A mio parere, il film è un po’ pretenzioso, un po’ noioso e reso fastidioso da piatte scopiazzature di scene (da “Shining” di Kubrick le scene dei corridoi) e di musiche (da “L’uccello dalle piume di cristallo” di Dario Argento). Detto questo, non tutto è da buttare via. Alba Rohrwacher dà ad esempio un’ottima prova attoriale ed è impressionante come riesca a passare dal personaggio di una ragazza chiusa ma normopeso a quello di una grave anoressica. Davvero una delle pochissime volte che ho visto una attrice impersonare veridicamente una vera anoressica, con un corpo scheletrico, nervoso e fragile. Inoltre, i due attori protagonisti evocano sia pietà che rabbia (soprattutto Mattia) per la persistente incapacità ad avvicinarsi. Ma sono proprio questi sentimenti dello spettatore che rendono vera la vicenda.

  Un’ultima notazione: se è vero che esistono numeri primi speciali, vicini ma purtuttavia separati (ad esempio l’11 e il 13), ci si può chiedere sul piano relazionale chi può essere il numero 12 che li avvicina, e la risposta non può che essere “lo psicoterapeuta”. E’ una bella metafora, che ci fa anche ricordare come nel calcio il dodicesimo giocatore è quello che entra a un certo punto in campo per dare aiuto alla squadra.

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