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OGNI DOLORE HA LE SUE PREGHIERE

20 Set 19

A cura di lelingue

Inauguriamo una nuova rubrica curata dal Lidia Dutto, che avrà come oggetto aspetti di antropologia medica e folklore nel contesto delle valli del basso Piemonte; Lidia Dutto compie da anni studi etnografici sul territorio e da anni pubblica libri su tematiche diverse, traendoli da testimonianza diretta e dialogo con gli abitanti del territorio. La rubrica da lei curata avrà come oggetto privilegiato le pratiche di medicina popolare ancora oggi presenti in queste zone (pensiamo per esempio ai “segnatori di vermi”), grandemente attuali se li contestualizziamo in un panorama più ampio che riguarda gli aspetti suggestivo/narrativi della medicina odierna, che osserviamo divenire sempre più centrali e scientificamente rilevanti (gli studi sul placebo e le evidenze a proposito degli aspetti relazionali in gioco nell'esercizio della medicina, ce lo possono confermare).

Raffaele Avico, redazione Psychiatry On Line

Il presente articolo accenna al tema dei guaritori, così come presentato nel volume “Nelle corna del bue lunare” – Approcci verso la salute e la malattia, rimedi empirici, pratiche di cura e segnature nella tradizione popolare di una vallata alpina" (Dutto L., 2016), sulla base di un’estesa indagine etnografica sul campo attraverso interviste ad anziani informatori in una vallata alpina del Piemonte meridionale, in provincia di Cuneo. Un territorio caratterizzato, in un passato nemmeno troppo lontano, da un’economia ristretta e dall’autosussistenza le quali, aggiunte alle abbondanti nevicate della stagione invernale, rendevano difficile il quotidiano ed ancor più i passaggi cruciali della vita umana. Miseria e povertà fanno da sfondo a tutte le storie di vita ascoltate negli anni. Così, sinteticamente, come afferma la maggior parte dei testimoni interpellati, in caso di malattia “si preferiva morire che chiamare il medico”. Per semplici malanni, le prime cure erano di tipo domestico, attraverso l’uso di erbe, radici, impacchi, le cui conoscenze di utilizzo erano trasmesse oralmente di generazione di generazione. In un secondo tempo, si faceva ricorso a coloro che nella comunità erano deputati avere il “dono” di curare.

Volgendo lo sguardo verso il passato, attraverso la voce dei tanti testimoni ascoltati nel corso di un vasto progetto di ricerca, sin da subito si rileva che nelle comunità dislocate a monte e a valle di questo territorio vi erano soggetti, che potremmo definire “esperti”, i cui ruoli erano distinti e specifici. Esisteva chi sapeva contare l’Epatta, ovvero il metodo di calcolo delle fasi lunari senza calendario, e chi sapeva fare previsioni sul tempo atmosferico per un anno intero tramite il metodo delle Calende. Accanto a coloro che conoscevano metodi pratici connessi al tempo, vi erano figure in aiuto ai momenti cruciali per entrare e uscire dalla vita: oltre alle donne pratiche in aiuto alla partoriente, vi era una figura femminile un pochino più esperta per il parto che localmente definita “colei che porta i bambini”; ad essa ci si rivolgeva anche per assistere e vestire i morti. Queste persone erano considerate “speciali”, così come lo erano le persone che si ponevano in aiuto in caso di malattia, i cosiddetti “guaritori”. Tali erano le persone – si diceva – che avevano ricevuto una sorta di “dono”, quello di agevolare la guarigione attraverso pratiche, azioni, preghiere e consigli come pure ricomporre slogature e lavorare sulle articolazioni. Persone considerate “speciali”, alla stregua di sciamani, ma certamente reputate in grado di comunicare tra forze terrene e forze spirituali. Così, quando le cure attraverso rimedi empirici tipici della medicina tradizionale dispensate a livello domestico apparivano insufficienti o il sintomo grave da fronteggiare con un rimedio casalingo, il passaggio successivo era il ricorso al guaritore supposto agire in qualità di intermediario tra il sé, ammalato, ed il mondo delle forze invisibili. E’ il “potere speciale” deputato a queste persone a legittimarne il ruolo all’interno delle comunità, sia esso inteso come dono acquisito in momenti particolari della vita, sia come dono trasmesso da altre persone considerate “speciali”.

Nel corso della ricerca compiuta è stato interessante puntare lo sguardo tramite significative interviste ad alcune “persone che curano” sui modi che queste avevano/hanno di offrire il loro aiuto con la finalità di curare, nonché sui fruitori del loro aiuto. La componente psicologica è certamente preponderante ogni qualvolta l’ammalato, o un suo famigliare, si rivolge ad una persona della comunità “che conosce”, “che sa”, al fine di ottenere risposte, financo la guarigione. La presa in carico della sofferenza della persona avveniva – e peraltro tuttora avviene secondo quanto abbiamo appurato nel corso dell’indagine – attraverso procedure specifiche: l’accesso alla casa del guaritore, l’incontro, la verbalizzazione del dolore, l’attivazione verso una possibile cura secondo metodi e tecniche specifiche alla patologia sofferta ed alla “specializzazione” del guaritore, sovente attraverso azioni che devono protrarsi nei giorni successivi all’incontro. La suggestione è certamente componente fondamentale in questa fase. La casa del “guaritore”, solitamente modesta, ha spazi per l’accoglienza: questi possono essere un cortile o un porticato, per poi accedere ad una stanza ove avviene l’ascolto del paziente e dove si praticano le cure. Nella maggior parte dei casi il guaritore non chiede denaro per questa operazione poiché dice di sentirsi unicamente un intermediario che, attraverso le preghiere rivolte a Dio, alla Vergine Madre di Dio ed ai santi, chiede aiuto per risolvere la problematica avendo come unica motivazione quella di “far del bene”. Nella maggior parte dei casi, tuttavia, si provvede ad un’offerta così come affermano tutti i Testimoni ascoltati. A livello più generale, per alcune popolazioni la medicina tradizionale incarna un alto concetto altruistico per cui le medicine non devono essere nè vendute nè acquistate in quanto verrebbero meno le loro virtù, ed anche la prestazione medica deve essere fatta gratuitamente. Gli intermediari tra lo stato di malattia e la guarigione, siano essi sciamani, o semplicemente soggetti guaritori, con svariate tecniche si adoperano nel riportare l’individuo alla condizione di normalità senza richiedere o accettare ricompensa, semplicemente perché si sentono investiti di un potere altro. In alcuni gruppi sociali essi possono ostentare un ruolo dichiaratamente magico all’interno del quale trovano legittimazione da parte dell’intero gruppo, in altri – vedasi il ruolo dell’attività “terapeutica di tipo magico” nella società occidentale odierna – poteri e virtù non sempre sono palesemente dichiarati e vengono nascostamente richiesti.

Il punto di vista psicologico offerto da Galimberti (1999) nell’Enciclopedia di Psicologia in merito al ruolo della magia ha un’importanza fondamentale per gli argomenti trattati nel volume di riferimento. La magia è intesa come “credenza nell’efficacia di pratiche, gesti, parole, rituali, formule volti al controllo della natura fisica e psichica. Dal punto di vista psicologico la magia ha la sua radice nella precarietà dell’esistenza, sempre alla ricerca di forme protettive e rassicuranti. In assenza di strumenti di controllo della realtà interiore e della realtà esterna, la prima forma di protezione è rappresentata dalla magia che dischiude un orizzonte mitico, definito da E. De Martino metastoria, dove il senso delle azioni degli uomini è già descritto e anticipato nel suo buon fine. Questo fa sì che, quando nella storia il negativo assale l’esistenza, l’individuo non naufraga nella negatività sopraggiunta, perché sa che c’è un ordine superiore, un ordine metastorico, che la magia si incarica di descrivere, in cui questa negatività, con particolari rituali, può essere riassorbita e risolta. In tale prospettiva, l’individuo affronta il negativo e le crisi d’esistenza che ogni evento negativo dischiude, appoggiandosi ad una sorta di <<così-come>> che il rito magico ribadisce. Come nel mito una determinata serie di eventi trova la sua soluzione positiva, così, praticando i riti conformi al disegno del mito, una serie analoga di eventi che sta succedendo a un individuo in un certo frangente della sua esistenza, troverà la sua soluzione. In tal modo la protezione magica svolge una duplice funzione che consiste nell’inaugurare un orizzonte rappresentativo stabile in cui ogni cosa ha già trovato la sua soluzione, e nel destoricizzare il divenire storico la cui drammaticità insorge quando non c’è più una metastoria che contiene un senso ulteriore rispetto a quello che l’irruzione del negativo fa apparire come senso ultimo. Come orizzonte della crisi, la magia controlla la negatività del negativo evitandole di espandersi; come luogo di destorificazione del divenire la relativizza consentendo di affrontare le prospettive incerte <<come se>> tutto fosse già risolto sul piano metastorico, secondo i modelli che il desiderio umano di protezione prefigura” (pagg.620-621).

Allo stesso modo, potremmo individuare una “funzione magica” nel comportamento religioso-devozionale in cui la fede diviene contenitore capace di assorbire i drammi dell’esistenza, pur senza darne un senso, evitando di espandersi incontrollabilmente, fungendo da meta-schermo al dolore ed offrendo allo stesso tempo una visione oltre l’esistenza stessa. Tutto ciò si esplica attraverso il ricorso alla preghiera, a Dio, alla Vergine Madre di Dio, attraverso l’intercessione dei santi. La medicina teologica s’impernia soprattutto sulla potenza guaritrice di Dio, che si manifesta attraverso l’intervento di un santo taumaturgo. Questo santo, per lo più, viene scelto in base ad un concetto di simpatia o perché in vita ebbe a soffrire le stesse malattie per le quali si ricorre al suo intervento, o perché subì un martirio le cui sofferenze ricordano il genere di malattia per la quale si chiede la guarigione. La componente religiosa investe ogni atto terapeutico presso molte popolazioni ed è presente nelle formule dirette alla guarigione, sia soggettive sia comunitarie. Tra le pratiche messe in atto con finalità di cura più diffuse al mondo risulta infatti esservi la preghiera. Prevenzione, diagnosi, prognosi e terapia rappresentano momenti che sovente chiamano in causa l'intervento delle divinità o di loro intercessori. Di fatto, la fusione tra il piano religioso e quello terapeutico si manifesta in modo esplicito nella devozione e nel culto dei santi taumaturghi, alcuni dei quali ritenuti “specializzati” nella cura di diverse malattie. Per esempio, nel territorio ove si è svolta la nostra indagine troviamo San Biagio per la cura delle malattie della gola, Santa Lucia per la vista, San Rocco per le epidemie, Sant’Anna per la protezione durante la gravidanza, solo per citarne alcuni. Il mondo rurale ha un rapporto diretto con i santi, ai quali si rivolge con devozione ma anche con simpatica ironia. Ricordiamo, per esempio, la preghiera a Santa Liberata in occasione del parto secondo quanto affermano alcune delle nostre fonti orali ascoltate: “si pregava Santa Liberata affinchè l’uscita fosse facile come l’entrata”. Ed è, ancora, la preghiera ad essere preponderante nelle formule verbali dei guaritori, anche di coloro che abbiamo avuto modo di intervistare, i quali dicono che “ogni dolore ha le sue preghiere” e nella quasi totalità dei casi associano Gesù, la Vergine ed i santi alle formule di scongiuro ed alle pratiche finalizzate a lottare contro e superare la malattia.

Tratto e riassunto dal volume: “Nelle corna del bue lunare” – Approcci verso la salute e la malattia, rimedi empirici, pratiche di cura e segnature nella tradizione popolare di una vallata alpina" (Dutto Lidia, 2016).

 

 

 

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