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AIDOS. LA FUNZIONE TRASCENDENTE NELLA PSICOLOGIA ANALITICA

30 Apr 25

Il rito di iniziazione negli affreschi della Villa dei Misteri di Pompei.

Il saggio espressamente dedicato al concetto di funzione trascendente, come è noto, è stato pubblicato da Jung solamente nel 1958, rimanendo perciò nella sola forma manoscritta per oltre 40 anni (1916). La suggestione, rispetto a questo lungo lasso di tempo prima di vedere la luce della pubblicazione, sarebbe allora quella di riguardare un aspetto psichico talmente strutturale, atemporale, connaturato alla psiche umana, sotteso ad ogni processo trasformativo, evolutivo ed integrativo di ogni esistenza individuale, che ha potuto scorrere, come un fiume carsico, per tutta la vita ed il lavoro di Jung, così come è stato per il concetto di sincronicità, presente fin dall’inizio ma il cui saggio fu dato alle stampe solo nel 1952.

La tendenza dell’inconscio da una parte e la tendenza della coscienza dall’altra, sono comprese e si condizionano reciprocamente attraverso questo processo (non uno stato) a cui Jung ha dato il nome di funzione trascendente. In un certo modo le due tendenze, complementari e compensatorie l’una verso l’altra, assolvono a compiti psicologici differenti, entrambi sani e necessari, purché sia preservata una graduale permeabilità tra i due sistemi secondo un possibile ed ideale equilibrio. Rispetto ai tempi di Jung, oggi sappiamo, grazie agli innumerevoli studi nel campo delle neuroscienze, come sia particolarmente difficile definire ciò che è conscio e ciò che è inconscio, e come la soglia di accesso alla coscienza sia un problema scientificamente arduo da affrontare. I filosofi della mente contemporanei e tra questi David Chalmers, definiscono la questione come “the hard problem of consciusness”, problema limitato in questo caso alla sola definizione di ciò che può definirsi coscienza, quindi lasciando fuori campo tutto ciò che riguarda l’inconscio. Tuttavia, già così il problema appare difficilissimo da inquadrare esaustivamente ed in modo univoco. Un recente e prezioso studio della neuroscienziata Liad Mudrik dell’Università di Tel Aviv ha identificato almeno 4 diverse teorie della mente cosciente, ognuna delle quali pone l’accento su alcuni particolari aspetti determinanti che hanno come conseguenza, tra l’altro, l’individuazione dei correlati neurali della coscienza (Ncc) diversi per ognuna delle 4 teorie; un esito dello studio dal punto di vista epistemico sorprendente e rivelatore nello stesso tempo, che ci rimanda quasi ad una visione kantiana della gnoseologia contemporanea. Impressiona come dipenda dal modello il risultato di quello che si trova e come prevalga in queste teorie e relative conferme sperimentali, la verifica rispetto alla falsificazione di popperiana memoria. In sintesi abbiamo la teoria dello spazio di lavoro neuronale globale (GNW – Global Neuronal Workspace) di Stanislas Dehaene e Jean Pierre Changeux, la teoria dell’informazione integrata (IIT- Integrated InformationTheory) di Giulio Tononi, la teoria del pensiero di ordine superiore (HOT – Higher-Order Theory)) di David Rosenthal ed infine la teoria della elaborazione ricorrente (RPT- Recurrent Processing Theory), di Victor Lamme; bisogna accettare la complessità del problema senza ricorrere a rassicuranti semplificazioni anche perché al “difficile problema della coscienza” dobbiamo aggiungere la relazione e l’influenza dell’inconscio. Non solo, Jung non poteva nemmeno conoscere l’esito delle ricerche degli ultimi 20 anni nel campo dell’Infant Research e della teoria dell’attaccamento, risultati che hanno contribuito a spostare l’attenzione dalla dimensione intrapsichica, incapsulata, alla dimensione relazionale, sia nello sviluppo dei processi primari infantili che nella psicoterapia. Una sorta di rivoluzione paradigmatica, definita tra gli altri da Vittorio Lingiardi, svolta relazionale. Secondo questa impostazione teorica, la fluidità e porosità tra coscienza e inconscio è enormemente maggiore e decisamente molto più precoce nel suo instaurarsi dinamicamente, di quanto si potesse pensare e immaginare un secolo fa. Allora il lavoro ed il processo prodotti dalla funzione trascendente di Jung, cioè l’integrazione e comprensione dei contenuti inconsci da parte della coscienza, hanno una corrispondenza in quello che nella teoria dell’attaccamento viene definito valutazione. Si tratta della possibilità di integrazione di conoscenze implicite ed esplicite che porta ad acquisire nuove forme di comprensione, secondo una dinamica psicologica molto precoce che dobbiamo retrodatare di molto rispetto ad una visione che richiedeva la necessità di una coscienza sviluppata e sufficientemente forte ed in grado di confrontarsi con i contenuti e le tendenze complementari e compensatorie dell’inconscio. Fosshage e Siegel, tra gli altri, hanno dimostrato in modo convincente questo concetto definito, appunto, valutazione. Le distorsioni del normale sviluppo psicologico sono dovute proprio ad una inibizione della funzione trascendente o della valutazione, se si preferisce; non avverrebbe in questo senso il passaggio dalla comunicazione indicale a quella simbolica. Secondo queste nuove acquisizioni teoriche legate a come la psiche prende forma e si sviluppa, è possibile rivisitare la nota nozione junghiana relativa alla suddivisione dei compiti della prima metà della vita rispetto alla seconda metà della vita. Pur restando evidentemente molto diversi i compiti psicologici e le relative sfide pertinenti al ciclo vitale, prevalendo nel mattino della vita la realizzazione nel mondo esterno e nel pomeriggio il confronto con il mondo interno,

l’eccessiva semplificazione nella suddivisione tra adattamento e individuazione non rende conto del continuo e incessante lavorio energetico tra coscienza e inconscio.

Jean Knox ha definito molto chiaramente la scansione evolutiva di questi processi primari che suddivide così: le prime fasi nello sviluppo dell’autoefficacia (self-agency) del bambino sono caratterizzate da un tipo di percezione e comunicazione indicale definibile come agency teleologica, nella quale il bambino non distingue l’effetto di un’azione di cui capisce benissimo lo scopo, dalla relativa intenzione. Il raggiungimento dell’agency intenzionale, per la quale il bambino riesce a distinguere e differenziare le intenzioni dalle azioni, avviene dopo i due anni ed in questa fase aumentano le capacità di valutare e integrare conoscenze esplicite, cognitivamente elaborate, ed implicite, prevalentemente inconsce e procedurali.

La funzione trascendente intesa in questo modo, sarebbe un processo dinamico costante di confronto e integrazione di informazioni e ricordi consci espliciti con la conoscenza più generalizzata che accumuliamo inconsciamente nei modelli di lavoro interni della memoria implicita. Le esperienze sono costantemente selezionate e valutate per determinarne il significato e la rilevanza.

Anche Jung, nel suo saggio, intende un processo che il terapeuta rende possibile nel paziente attraverso lo strumento della relazione analitica, analizzabile in tutti i suoi aspetti, il transfert, i contenuti simbolici ed onirici, il controtransfert dell’analista, le risorse coscienti del paziente, analisi che consente il lavoro simbolico di integrazione dei contenuti inconsci. Rispetto a quanto esposto poco sopra relativamente alle fasi di sviluppo primarie della prima infanzia, la differenza risiede solo nel grado di sviluppo della mente cosciente, mentre la dinamica tra adattamento e individuazione, tra lo sviluppo delle capacità egoiche e di self-agency e l’interiorizzazione e poi la metabolizzazione dei contenuti inconsci integrabili, che continua per tutta la vita, inizia prestissimo, pur se con un grado di consapevolezza cosciente all’inizio molto piccolo. Tuttavia, anche se in forma implicita, procedurale e pre-simbolica, lo sviluppo dell’autoefficacia (Self-agency), intesa come prima forma di adattamento all’ambiente, avviene già nello scambio relazionale primario tra il neonato e la madre, quindi già nella fase simbiotica. Le sei fasi di sviluppo dell’autoefficacia infantile enucleate dal Jean Knox sono molto convincenti e plausibili, oltre che corroborate da una grande quantità di dati ricavati da decenni di ricerca nel campo della teoria dell’attaccamento e dell’Infant Research, penso al lavoro di Beatrice Beebe ed al Boston Change Process Study Group di Daniel Stern.

Sempre rimanendo su questa linea teorica possiamo annoverare anche il lavoro di Micheal Fordham, esponente nell’ambito junghiano della cosiddetta scuola di Londra secondo la celebre suddivisione delle scuole post junghiane fatta da Andrew Samuels, che interpreta questa infinita danza tra adattamento e individuazione, tra sviluppo dell’Io e della propria agency da una parte e l’interiorizzazione e integrazione dei contenuti inconsci dall’altra, attraverso i suoi concetti di deintegrazione e reintegrazione.

Se questo è il quadro che la ricerca psicologica contemporanea è in grado di restituire grazie alla convergenza di studi e ricerche multidisciplinari, quali appunto l’attaccamento, le neuroscienze, l’Infant Research, le scienze cognitive dei processi primari, possiamo comprendere come anche per la psicologia analitica si tratti di integrare nel proprio costrutto teorico ciò che un secolo fa il suo fondatore non poteva avere approfondito ed analizzato in alcun modo.

Per tornare alla nozione junghiana di funzione trascendente, cioè la cooperazione tra dati inconsci e dati consci, possiamo a questo punto estendere il suo operare effettivo durante tutto l’arco della vita, oltre che rappresentare quella continua dialettica tra l’I-ness ed il Me-ness così come li ha definiti William James, grande ispiratore delle idee junghiane sviluppate successivamente.

Secondo quanto detto, allora, l’entrata in azione della funzione trascendente così come la immaginava Jung, per esempio attraverso la strategica sospensione dell’attenzione critica necessaria all’emersione delle fantasie spontanee o l’esercizio dell’immaginazione attiva, sarebbe solo una delle possibili manifestazioni del processo continuo che essa stessa esprime fin dall’inizio della vita individuale.

La figura di Aidos. Figlia di Prometeo, così come il padre, è una figura di collegamento tra l’umano ed il divino, uno strumento di trasferimento di contenuti da un piano all’altro, dall’inconscio alla coscienza, svolge, per così dire, il ruolo di permettere l’assunzione di una posizione corretta ed adeguata di fronte alla potenza ed autonomia delle forze che eccedono il controllo cosciente. Così come anche Nemesi, spesso nella mitologia greca accomunata ad Aidos in una sorta di stretta parentela tra le due, rimanda alla relazione dinamica tra coscienza e inconscio, un equilibrio presieduto proprio dalla prerogativa di Nemesi di punire ogni forma umana di Hybris e arroganza, rimettendo le parti nel giusto rapporto di forze; in qualche modo si potrebbe dire quando non funziona l’influenza di Aidos, interviene Nemesi.

Aidos rappresenta un contenuto, archetipico e universale, che descrive un processo, sempre possibile e ad infiniti gradi e differenti livelli, che consiste nel dialogo e nella porosità tra i due sistemi psichici che definiamo coscienza e inconscio. Perché funzioni il passaggio continuo di energia, contenuti, processi fisiologici tra una dimensione e l’altra, tra una tendenza e l’altra, è necessario il lavoro di Aidos, che da una parte protegge dalla potenziale invasione distruttiva dei contenuti inconsci, mentre dall’altra suggerisce la relativizzazione e sospensione dell’attenzione critica cosciente attraverso l’umile e prudente movimento verso una sorta di epoché delle funzioni della coscienza. Serve, cioè, attivare la funzione trascendente junghiana, mettendo in atto i suoi due principi, l’uno regolatore dell’altra, la raffigurazione estetica e la comprensione del suo significato. Allora appunto, la cautela, la prudenza e l’umiltà personificate nella figura archetipica di Aidos sono proprio la giusta misura, la giusta posizione da assumere ed in grado di permettere lo scambio trasformativo prodotto dall’integrazione dei contenuti inconsci.

Del processo psicologico al quale la figura archetipica di Aidos rimanda, abbiamo uno splendido esempio concreto nell’interpretazione simbolica degli affreschi della Villa dei Misteri di Pompei, proposta da Linda Fierz-David, interpretazione riassunta nel saggio pubblicato dalla coautrice di questo articolo, “Rosso Pompei”.

In particolare, l’interpretazione in chiave psicologica di questa figura mitica, si discosta dal suo senso originario all’interno della cultura omerica ed ellenica, una cultura della vergogna per la quale la pressione coercitiva della collettività spingeva ad uniformarsi a modelli positivi di riferimento che, se non raggiungibili, provocavano un sentimento di fallimento e inferiorità vergognosi, Aidos appunto. Su questo punto sono illuminanti i preziosi saggi della grecista Eva Cantarella, quando analizza e distingue le culture della vergogna dalle culture della colpa.

Linda Fierz-David, viceversa, nella settima scena degli affreschi della Villa dei Misteri descrive Aidos in modo del tutto diverso, connotando questa figura come una delle immagini più impressionanti e potenti di tutta la serie degli affreschi pompeiani. La descrizione simbolica del rito di iniziazione che segue ci pare una rappresentazione particolarmente calzante e attinente rispetto al quadro teorico descritto fin qui, attraverso un linguaggio immaginifico e poetico, così capace di cogliere le dinamiche più profonde e sfuggenti dei movimenti psichici.

Si tratta, infatti, di una scena nella quale è raffigurato un momento estremamente pericoloso lungo il percorso dell’iniziazione, una strettoia che non permette passi falsi, con l’intervento di Aidos che si dimostra un atto di grazia salvifico.

L’iniziata al culto orfico-dionisiaco compie un viaggio agli inferi dove incontra lo spirito dionisiaco, uno spirito creativo che può essere esperito come qualcosa di profondamente vivo interiormente. Il tipo di atteggiamento che si assume nei confronti dell’arreton, l’indicibile e ineffabile segreto di questa esperienza, fa tutta la differenza: basta solo un movimento di troppo ed il mistero divino si perde. Così gli affreschi pompeiani mostrano che la profanazione può essere scongiurata solo attraverso l’intervento di un potere superiore, un atto di grazia che può prevenire la terribile perdita.

Per comprendere meglio alcuni passaggi delle pitture pompeiane bisogna rivolgersi al culto di Dioniso a Delfi, dove le donne, che giocano il ruolo di Tiadi, devono rispondere alla chiamata del dio per rendersi attivamente veicoli della trasformazione dalla morte alla vita, per essere nutrici del fanciullo divino, affinché venga rinnovata la forza creativa divina. Analogamente l’iniziata diventa una Tiade, compie una catabasi, dalla quale ritorna portando il vaglio, la cesta che divenne un importante attributo del dio nei culti orfici dell’Italia meridionale, al cui interno si credeva che Dioniso-fanciullo divino fosse nascosto in forma di fallo, simbolo della potenza creativa rinnovata, come è raffigurato nella settima scena. Questa scena è collocata sulla parete di fondo della Camera, nel breve tratto a destra di Dioniso e Arianna, che sono il cuore dell’intera raffigurazione, rappresentando il simbolo del Sé, coniunctio di maschile e femminile, di divino ed umano.

La donna inginocchiata è l’iniziata-Tiade che è tornata dalla discesa nel profondo e che porta il fanciullo divino. Ella appare senza fiato ed esausta, con gli occhi sbarrati, ha posato il vaglio dinanzi a se stessa e sta allungando le braccia per sollevare il drappo, che nasconde il fallo divino. La donna appare quasi senza vita, con una rigidità da bambola, di cui l’unica cosa vivente sono i suoi occhi, grandi all’eccesso, con uno sguardo di sofferenza.

Linda Fierz-David evidenzia che si potrebbe dire che ella è ‘tutta occhi’ e allora forse lo scopo è di mostrarci l’iniziata come catturata interamente da una visione sovrumana, che i suoi occhi possono a fatica guardare. Se gli occhi degli esseri umani sono anche l’espressione delle loro anime e oltre l’occhio fisico, vi è anche un occhio dell’anima, la donna inginocchiata si trova in una visione estatica che unisce l’anima al divino, tanto che si potrebbe dire che ella è ‘tutta anima’, così da aver dimenticato il suo corpo e da non riuscire più a muoversi in modo naturale.

Sull’altro lato del vaglio vi è un angelo dalle grandi ali nere aperte, che è sceso dall’alto in rapido volo. Questo lo si intende dal mantello ancora svolazzante, dai piedi, calzati con i coturni, che sembrano appena aver toccato il terreno. L’angelo alza la mano sinistra in un vigoroso gesto di repulsione nei confronti della donna in ginocchio, mentre la mano destra stringe una lunga frusta flessibile, con il braccio sollevato a dare un forte colpo. Lo sguardo dell’angelo va nella direzione in cui ha intenzione di colpire, ossia verso la prima figura dell’ottava scena, con la quale inizia la parete successiva.

Questo angelo è la personificazione di Aidos, portatore dell’attitudine modesta e rispettosa, necessaria per le circostanze del contesto. Vi sono paralleli, come ricorda l’archeologo Amedeo Maiuri, con altre raffigurazioni su terrecotte e cammei di epoca romana con rappresentazioni dello stesso episodio del Mistero. La donna che durante la catabasi è stata ispirata a risvegliare e nutrire lo spirito creativo dionisiaco, che ha portato questa visione alla luce del giorno, è sconvolta dalla sua influenza e ha perso la sua umanità e sensibilità. A questo punto Aidos irrompe sulla scena e ne prende il comando, come messaggero degli dei e in particolare di Dioniso, indossando gli alti coturni che sono un attributo del dio. La voce del dio stesso parla attraverso la figura alata. E’ uno spirito aereo, attraverso il quale, in questo momento, l’aria diviene elemento dionisiaco, come soffio divino, pneuma.

L’arrivo improvviso di Aidos nella settima scena segna un punto di svolta, perché il fallo nel vaglio, come simbolo del dio, se non rimane nascosto, preservandone la dimensione simbolica, che protegge il profondo segreto dionisiaco con il risveglio del fanciullo divino e dello spirito creativo, rischia di scadere ai livelli letterali più bassi.

Dioniso, come personificazione del Sé e del processo della sua attualizzazione, per la donna del culto è avvertito come uno spirito di generativa potenza maschile, simboleggiato dal fallo. Per via di questa esperienza la donna è caduta in uno stato di mania divina ed allora lo spirito di Dioniso/Aidos piomba sull’iniziata, come pneuma in forma di angelo, per ricondurla alla sua umanità. Aidos in questa scena è rappresentante anche della Sophia, la sapienza che è mediatrice del sentimento di modestia. Jung scrive che i veri segreti non li conosciamo, che anche in questo vediamo il carattere numinoso della realtà recondita, perché non siamo noi ad avere segreti, ma sono i segreti veri che ci possiedono.

In termini psicologici in modo straordinario l’affresco mette in luce la pericolosa conseguenza di un’inflazione, non appena la donna si identifica con il fattore animico, in realtà lei risulta impotente rispetto alla potenza della dimensione archetipica. Aver raggiunto la sfera del divino è la segreta illusione dell’iniziata, che si inganna credendosi una personalità Mana, cioè un essere di qualità occulte e sovrannaturali. Se l’iniziata rivendica di possedere l’illuminazione come propria, si ritrova ala buio. La fiaccola che la donna porta, simbolo di un’illuminazione divina che l’inizianda riceve durante la sua catabasi, si è spenta, è durata il tempo stabilito di una breve esperienza estatica. Il mistero che ha contemplato non è afferrabile alla luce del giorno, pertanto la fiaccola in questa scena è portata come una croce.

Simbolicamente la donna si è identificata con il fattore animico ed è posseduta dall’Animus, poiché si tratta di un fattore autonomo dell’inconscio collettivo che non si può possedere, così quando l’iniziata pensa di essere padrona della scintilla dello spirito che la guida, viene soffocata da essa, come da uno strumento di tortura. Il fattore animico, che medierebbe con i contenuti dell’inconscio collettivo, espone invece ai suoi devastanti effetti quando agisce come complesso autonomo con tutto il suo potere demonico. Ci sono cose che la coscienza umana non ha la capacità di afferrare e se le persone si dimenticano la propria ordinaria umanità e ritengono di somigliare a un dio, la vita psichica è gravemente disturbata.

Negli affreschi pompeiani la rappresentazione dell’antico rito di iniziazione mostra in forma simbolica, mitologica, cosa accade quando i contenuti dell’inconscio sono assimilati all’Io, usando il linguaggio della psicologia. In particolare nella settima scena, l’iniziata è rappresentata come avesse avvicinato il Sé, è inginocchiata davanti al simbolo divino nel vaglio e la sua inflazione è rispecchiata dal fatto che sta lì come una veggente entusiastica. Jung dichiara che in questa condizione di inflazione, di boria, non vada vista un’arroganza cosciente. Non si è consapevoli dello stato di inflazione, può accadere lungo il processo e può essere dedotto solo in modo indiretto dalle reazioni dell’ambiente circostante e dalla presenza di sintomi corrispondenti. Allora si rende necessaria una sorta di scossa, come nella pittura è l’arrivo di Aidos, per impartire la comprensione di virtù che possano essere d’aiuto a salvarsi dall’inflazione.

In questa scena la virtù necessaria è la modestia ed è certamente uno sviluppo inaspettato, ma spesso le virtù di cui si ha bisogno per lo sviluppo interiore possono essere solo inaspettate, perché sono quelle che non si possiedono consapevolmente. Aidos arriva come un folgorante, autonomo, guizzo di saggezza. Attraverso il colpo di frusta dello spirito dionisiaco l’iniziata è redenta, come fosse una sorta di battesimo cavalleresco che fa della donna una persona effettivamente iniziata e la porta “con un colpo” alla meta dell’iniziazione. La discesa di Aidos permette di differenziare la donna da quello che non è, in questo passaggio appare la sconcertante intuizione che una carenza di differenziazione sia una profanazione. Questa è una conoscenza decisiva e fondamentale sulla via del Mistero.

L’iniziazione, in analogia con il processo di individuazione, fa passare attraverso un continuo doppio movimento, identificazione e disidentificazione sempre a livelli differenti. Un avventato e sfacciato movimento, come quello che rischiava di compiere la donna nella settima scena, si presenta sempre quando le persone sono inconsapevoli e indifferenziate. L’arrivo di Aidos ferma in tempo l’iniziata, permettendo che le energie psichiche possano fluire verso un nuovo sviluppo ed impedendo che ciò che sta al di sotto della soglia di coscienza ottenga una potenza eccessiva.

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