Analisi psicologica delle minacce attuali e la competizione di squadra come modalità di trasformazione dell’aggressività umana.
Abstract inglese
This paper examines human aggression from a psychological and evolutionary perspective, taking into account the current global geopolitical landscape, marked by both real and symbolic conflicts. It highlights how aggression—originally functional for survival in ancestral environments (e.g., defense, competition, coalition-building)—often appears misaligned with the complexity of modern societies, leading to dysfunctional responses to symbolic threats. Within this framework, team sports emerge as a cultural tool capable of sublimating aggression by channeling it into ritualized and non-destructive forms. Through shared rules, a sense of belonging, and symbolic challenges, athletic competition enables the modulation of aggressive arousal, promoting social cohesion and emotional regulation. The scientific literature supports this perspective, identifying sport as a powerful means of preventing and transforming aggression, particularly in youth and post-traumatic contexts. In conclusion, team sports are proposed as a symbolic alternative to war: an educational and cultural mechanism for directing aggressive impulses toward constructive ends.
Abstract italiano
Il presente contributo analizza l’aggressività umana da una prospettiva psicologica ed evoluzionistica, considerando l’attuale scenario geopolitico globale, caratterizzato da conflitti reali e simbolici. Si evidenzia come l’aggressività, originariamente funzionale alla sopravvivenza in contesti ancestrali (difesa, competizione, coalizione), risulti oggi spesso disallineata rispetto alla complessità delle società moderne, generando risposte disfunzionali a minacce simboliche. In tale contesto, lo sport di squadra emerge come strumento culturale capace di sublimare l’aggressività, canalizzandola in forme ritualizzate e non distruttive. Attraverso regole condivise, senso di appartenenza e sfide simboliche, la competizione sportiva permette una modulazione dell’arousal aggressivo, favorendo coesione sociale e regolazione emotiva. La letteratura scientifica supporta tale visione, indicando nello sport un potente mezzo di prevenzione e trasformazione dell’aggressività, soprattutto nei contesti giovanili e post-traumatici. In conclusione, lo sport di squadra si propone come un’alternativa simbolica alla guerra: un dispositivo educativo e culturale per incanalare le spinte aggressive in direzioni costruttive.
Basta sfogliare qualche giornale, piuttosto che accendere la televisione, il ritornello è il medesimo: il panorama geopolitico sta mutando e l’atmosfera che si respira – a livello mondiale – è di crescente tensione. Le minacce esplicite della Russia sotto la guida di Vladimir Putin, le contromisure strategico-militari degli Stati Uniti, le provocazioni più o meno velate della Corea del Nord, la guerra tra Israele e Palestina. Conflitti, questi, – reali e simbolici – che generano scenari e percezioni di intensa aggressività, che agiscono da catalizzatori di tensioni, paure, ansie collettive, pensiero narcisistico e posture antagoniste.
La Russia utilizza narrative di minaccia esterna da cui difendersi per far leva su meccanismi di orgoglio nazionale e identificazione collettiva, sostenendo l’obiettivo espansionistico e il supporto interno. Le provocazioni della Corea del Nord, piuttosto che le minacce americane verso la corsa agli armamenti rispondo a logiche di prestigio internazionale e rafforzamento dell’identità nazionalistica. Il conflitto Israele – Palestina (in via di risoluzione, ad oggi), smuove dinamiche aggressive reali e simboliche. Quest’ultime legate alla memoria collettiva, alla narrazione storica, all’identità collettiva. Una lettura psicologica, meglio ancora di stampo evoluzionista, pone l’aggressività umana su un piano di risposta adattiva, funzionale in ambienti ancestrali, caratterizzati da competizione per risorse, status, difesa territoriale e riproduzione della specie.
Per i nostri antenati la coalizione, l’aggregazione in gruppi, la pronta aggressività verso l’altro, l’estraneo, risultavano funzionali alla sopravvivenza dei membri e della qualità della prole. Alcuni studi mostrano come la violenza maschile possa essere spiegata in termini di pressioni selettive legate alla competizione intra-sessuale e alle protezione del gruppo sociale (Daly e Wilson, 1988). Difatti, sembra che l’universo maschile abbia una maggiore propensione alla cooperazione/coalizione nei confronti del nemico comune, rispecchiando schemi adattivi, utilizzati per la caccia e le conquiste di territori (Tooby e Cosmides, 1990).
Il comportamento aggressivo nei nostri antenati potrebbe essere stato selezionato e mantenuto nel tempo a livello genetico in quanto in grado di incrementare la sopravvivenza dei membri alleati in contesti di conflitto (Choi e Bowles, 2007). Difatti, il nostro cervello condivide ben due terzi dei nostri antenati cacciatori. Ricordiamo che la neocortex, la struttura più nobile dei mammiferi, si è sviluppata circa 200-250 milioni di anni fa, nel periodo Triassico, mentre il cervello rettiliano risale ai primi vertebrati, circa 500 milioni di anni fa. Tali considerazioni non intendono certo giustificare le azioni di guerra ma, interpretare l’aggressività come comportamento radicato nel biologico della nostra specie, funzionale in specifiche condizioni ecologiche. Tuttavia, e qui, il passo decisivo, il nostro cervello si è evoluto per una socializzazione e un funzionamento tribale, costituito da piccoli gruppi, mentre oggi, viviamo in società complesse, sovrappopolate, altamente connesse e stimolate. Ci troviamo di fronte ad una evidente discrepanza tra il cervello ancestrale e mondo modero che, genera profondi disallineamenti evolutivi (evolutrionary mismatches). Tale discrepanza evolutiva porta a percepire minacce simboliche o culturali come se fossero attacchi fisici, con conseguente attivazione di risposte aggressive, inadatte al contesto. Ci troviamo di fronte ad un adattamento evolutivo divenuto nella società odierna inadatto e disfunzionale.
Vi è possibilità di rimedio a tutto ciò?
Si. La società è tenuta a sviluppare sistemi culturali in grado di modulare l’espressione dell’aggressività, incanalandola in forme funzionali. Uno dei meccanismi culturali che sembra rispondere a questa esigenza è lo sport di squadra, in grado di incassare impulsi evolutivi (quali competitività, coalizione, aggressività) in forme meno distruttive.
Lo sport di squadra è basato su regole chiare, limiti e confini chiari: il confronto si gioca su un piano simbolico. La squadra offre senso di appartenenza, identità e coesione, senza necessità di un nemico da annientare. Vi è inoltre la possibilità di una scarica fisiologica dell’arousal aggressivo in un contesto protetto e basato su regole di gioco.
La partita – si pensi ad un incontro di rugby, piuttosto che di calcio – è ancorabile ad aspetti simbolici di spettacolo, tifoserie, nonché ritualità prima, durante e post match: dinamiche in grado di sostituire conflitti reali fisici. La letteratura scientifica fornisce dai chiari: la partecipazione sportiva, in particolare in contesti strutturati e cooperativi, riduce l’aggressività reale e migliora le capacità di regolazione emotiva. La partecipazione a sport di squadra può moderare l’impatto negativo delle esperienze traumatiche infantili sull’aggressività attraverso il miglioramento del controllo impulsivo (Jankovi, 2024).
In conclusione, la psicologia evoluzionistica offre una possibile chiave di lettura dell’aggressività umana, considerata come tendenza profonda verso la competizione, la coalizione e la protezione dell’identità rispetto all’altro, meccanismi selezionati lungo la freccia evolutiva per conservare la specie umana. Il mondo moderno richiede tuttavia che tali predisposizioni vengano incanalate in forme socialmente funzionali. Lo sport non è solo passatempo. Lo sport di squadra può diventare un vaccino simbolico contro la guerra, un dispositivo culturale, educativo e di dialogo.
Bibliografia
1. Daly, M., & Wilson, M. (1988). Homicide. Aldine de Gruyter.
2. Choi, J.-K., & Bowles, S. (2007). The coevolution of parochial altruism and war. Science, 318(5850), 636–640.
3. Jankovi
, M., Van Boxtel, A., & Bogaerts, S. (2024). Sport participation, aces, and aggression: a mediated
4. Tooby, J., & Cosmides, L. (1990). The past explains the present: Emotional adaptations and the structure of ancestral environments. Ethology and Sociobiology, 11(4-5), 375–424.
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