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FLUENZA IN-FORMAZIONE

24 Mag 25

ABSTRACT

The “Fluenza”, created in the sixties by Sergio Piro, is a group intervention used for treatment and training in the field of mental health. In this article there are some reflections on the possibilities that “Fluenza” allows in relation to the training of psychotherapists.

SINOSSI

La Fluenza è un intervento, ispirato negli anni Sessanta da Sergio Piro, per la formazione degli operatori della salute mentale e al tempo stesso quale alternativo dispositivo di cura. A parte l’uso che ne è stato fatto in campo terapeutico, documentato da diverse pubblicazioni, in questo breve articolo ci si sofferma sulle potenzialità formative che la Fluenza possiede, in particolare nell’ambito della psicoterapia di orizzonte fenomenologico.

La storia della Fluenza parte da lontano, con denominazioni differenti, a partire dai gruppi formativi e terapeutici – tenuti da Sergio Piro fin dai primi anni Sessanta – a carattere sperimentale, tesi a porsi come possibilità di articolare prassi alternative di cura e di formazione degli operatori nel campo della Salute mentale, in un momento storico dominato dal paradigma psicoanalitico da una parte e dall’organicismo della psichiatria classica dall’altra; i tempi preparavano altri sviluppi, di cui si intravedeva già la potenziale carica innovativa.

Collegata alle Esercitazioni connessionali, altra feconda invenzione piriana, quella che sarebbe divenuta la sessione di Fluenza ereditava da queste ultime il carattere generale e veniva definita Esercitazione semantico-emozionale, vale a dire una forma peculiare di esercitazione che implicava un elemento di carattere personale. Successivamente, con la fondazione – a metà degli anni Ottanta – della Scuola Sperimentale Semantico-connessionale (poi Semantico-antropologica e, finalmente, Antropologico-trasformazionale) la definizione della sessione cambierà in Esplicitazione personale. In seguito alla revisione critica del termine “personale” e grazie alle intuizioni di Amalia Mele, si arriverà alla definitiva formulazione di Fluenza d’espressione.

Naturalmente, ogni nuova nominazione implicava di fatto un modo differente, fosse anche solo in minima parte, di interpretare questa sessione. Diverso è infatti possedere un carattere di esercitazione o di esplicitazione rispetto a un’idea che richiamasse il “fluire”. Attualmente la definizione semplificata attiene alla possibilità di livelli a strutturazione crescente del setting, nel caso del suo utilizzo terapeutico. Di certo i riferimenti teorici dell’esperienza modificano il senso della stessa: se le concezioni antropologico-trasformazionali vertevano sull’ipotesi di un modello sperimentale complesso e molteplice, l’adozione prioritaria del metodo fenomenologico comporta una certa revisione delle premesse metodologiche.

Il setting (di gruppo) prevede una conduzione debole e multipla, della durata di sessanta o novanta minuti, in cui inizialmente non vengono fornite particolari indicazioni, se non l’invito a non sovrapporre i discorsi e a evitare interpretazioni scolastiche.

Riferendosi in questa sede alla formazione, è evidente che le modalità di espressione della sessione dopo questo cambio di riferimenti si modificano, pur con una certa residua continuità: i concetti di fondo che muovevano la seduta in epoca a esclusivo impianto “antropo-trasformazionale” si concentravano, ad esempio, nella multipersonalità, nell’adozione dei presupposti del pensiero debole, nei concetti fondanti della critica non-innocente e non-identitaria, secondo un certo spirito dell’epoca, per quanto ancora piuttosto recente. La pausa cronodetica piriana, inoltre, faceva riferimento a un concetto di epochè non husserliano: la “messa tra parentesi”, più che la conoscenza naturalistica, riguardava i riferimenti storici e sociali di un certo angolo di mondo localizzato nel tempo storico e nello spazio geografico, una Weltanschaung imperante nei suoi pre-giudizi e nella sua ideologia.

In effetti è proprio l’epochè, nella sua accezione più diffusa, che ha costituito la base della Fluenza ‘in formazione’ nella Scuola sperimentale di psicoterapia, a orientamento fenomenologico-clinico, operante all’interno dell’Asl Napoli 1. Se una cura fenomenologica, pur non appoggiandosi a “tecniche”, si fonda però saldamente su un metodo ben definito – la riduzione eidetica –, allora la messa in parentesi delle reazioni immediate e irriflesse e dei codici ermeneutici più o meno convenzionali, a volte sottesi agli interventi di ciascun partecipante al gruppo, costituisce la condizione di accesso a quella condizione di possibilità che sarà successivamente propria della cura, ad esempio rispetto ai cosiddetti fattori aspecifici della psicoterapia, in realtà così specifici, che incidono in buona parte sugli esiti della stessa. In tal modo, allentate le condizioni prima sottolineate, un qualunque intervento nel gruppo sarà in grado di toccare vissuti profondi che stimoleranno ulteriori interventi non più basati su pensieri di primo piano, bensì essi lasceranno decantare e affiorare pensieri di “secondo piano”, vissuti imprevedibili ed emotivamente densi; cosa che poi dovrebbe avvenire anche nella cura dei pazienti. Il gruppo, inoltre, dovrà assumersi la responsabilità di fare in modo che un intervento del singolo eviti di avviare un processo comunicativo “fuori asse”; se in generale non è censurabile alcuna comunicazione dei singoli, quello che poi il gruppo ne farà sarà responsabilità collettiva dell’insieme.

Lo stesso silenzio, in questo modo, non risponderà a intenti regressivi o compiaciuti, a ostilità preconcette o a bisogni consolatori, ma al senso pieno dell’epochè; in fase iniziale avrà il compito di arginare la “chiacchiera da corridoio” che penetra in seduta come continuazione dei discorsi “inautentici” e “comunicativi” del quotidiano, ma nel tempo dismetterà questa tentazione, introducendo l’avvertenza che si sta entrando in un nuovo contenitore, in cui dominano altri pensieri e altre emozioni; che si sta entrando in altri stati “mentali”. La scansione quadriennale dell’offerta formativa determina anche la possibilità di variare su alcuni aspetti la funzione coordinatrice dei conduttori; se al primo anno si rivela indispensabile costituire il gruppo (e agevolare lo spontaneismo) e l’ultimo richiede in qualche modo di metterlo in crisi in vista della fine dell’esperienza (e proporre magari esercizi fenomenologici), gli anni intermedi sembrano rappresentare con maggiore evidenza il campo applicativo del metodo.

Si tratta quindi di una pratica formativa che non prevede prefigurazioni rigide, che prende l’avvio basandosi su condizioni minime di accesso all’esperienza. Qui, come abbiamo riferito prima, i discorsi iniziano a svilupparsi con una certa immediatezza, cedendo a uno spontaneismo che per quanto “inautentico” e disinvolto, ha tuttavia la forza di creare connessioni, di istituire il gruppo in quanto quel gruppo. In seguito, attraverso i misurati interventi dei conduttori che si limitano a suggerire e ad alludere, affiorano eventi singolari e collettivi, vissuti profondi, forme originarie di esperienza, figure costitutive che appartengono a chi le sperimenta e magari le comunica, ma che allo stesso tempo ognuno dei partecipanti sarà indotto a cogliere negli altri. Infine, l’ultima fase, più strutturata, concentrerà negli esercizi fenomenologici l’essenza del processo, il distillato di un’esperienza compiuta; esercizi fenomenologici che prendono vita e consistenza dai precipitati dei processi generati dalle interazioni di gruppo.

Così l’allievo sarà avviato a sperimentare, concretamente e su se stesso, il metodo, la via, l’δός che fa raggiungere certe mete, su cui poi le esperienze della terapia personale, degli esercizi fenomenologici e della teoria si sommeranno per completare la formazione del curante. Si è trattato infatti, nel discorso fin qui svolto, di indicare i criteri generali di un percorso formativo per quei terapeuti che affidano la loro protensione verso la cura al modello fenomenologico.

Bibliografia

Grieco F., Vivard E. (a cura di), Fluenza. Forme e strutture della cura, Kion, Terni, 2014.

Mele A., Fluenza d’espressione. Semantica emozionale, psicoterapia didattica, ed. 10/17, Salerno, 1995.

Piro S., Introduzione alle antropologie trasformazionali, La Città del sole, Napoli, 1997.

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Autori

  • Francesco Grieco

    Francesco Grieco è psicoterapeuta, ricercatore, didatta e docente di Teorie e clinica delle dipendenze patologiche della Scuola Sperimentale per la Formazione alla Psicoterapia e alla Ricerca nel Campo delle Scienze Umane Applicate dell’ASL Napoli 1 Centro, della quale è co-fondatore e membro del Collegium, organo direttivo della scuola. Ha lavorato come dirigente medico nell’U.O.C. Ser.D. 2 di Salerno.

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  • Edoardo Vivard

    Edoardo Vivard, psicologo e psicoterapeuta, è didatta e docente e ricercatore membro del Collegium della Scuola Sperimentale per la Formazione alla Psicoterapia e alla Ricerca nel Campo delle Scienze Umane Applicate dell’ASL Napoli 1 Centro, di cui è co-fondatore, e dove è titolare dei corsi di Psicologia clinica, Psicodiagnostica e Strutture fondative della Clinica e della Cura fenomenologica.

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