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Gradiva. Dal reperto archeologico al reperto dell’inconscio

29 Nov 21

Di epalumbo60

Il Novecento apre nuove prospettive al tema dell’eros parafiliaco legato all’agalmatofilia (intesa nel mondo greco come amore o eros anomalo suscitato da una statua) 1. Riappare metamorfosato nel racconto gotico-archeologico2 di Wilhelm Jensen, Gradiva. Ein pompeanjsches Phantasiestück,1903 (Gradiva, una fantasia pompeiana). Il fantasma dell’idillio pigmalionico trascolora nel thanatos dei reperti archeologici e dell’eros paradossale3 che insidiano l’equilibrio dell’archeologo Norbert Hanold, votato alla più ferrea astinenza imposta dal celibato. Il rifiuto della donna naturale riattiva il modello del Pigmalione ovidiano, atterrito dal femminile che si incarna nella sediziosità delle Propetidi (le cipriote ree di ammutinamento all’autorità divina di Venere). La passione per le antichità, vissuta sino allo scatenamento del delirio erotico, impronta l’intreccio della novella fantastica pompeiana; di implicita contiguità, seppur sul piano intrinsecamente narrativo, legato al prevalente ruolo dell’onirismo, con l’opera di Freud Die Traumdeutung (1898). Nel saggio introduttivo alla novella, Der Wahn und die Träume in Jensens Gradiva (Delirio e sogno nella Gradiva di Jensen, ​1906)  ̶ la cui lettura secondo alcuni gli fu suggerita da Jung ̶ Freud afferma che l’interpretazione del mondo dei sogni su base psicologica trova la sintesi nell’alleanza della scienza con i poeti «poiché essi di solito sanno un’infinità di cose fra cielo e terra delle quali la nostra filosofia scolastica è completamente ancora all’oscuro. Nella psicologia anzi essi hanno di gran lunga sorpassato noi, uomini di scienza, perché attingono da fonti che noi non abbiamo ancora dischiuse alla scienza stessa»4. Il racconto finzionale, preso in esame da Freud con il criterio della valutazione anamnestica, introduce la problematica vita di relazione del protagonista, e con questa il modello di funzionamento della sua mente prima/durante il processo di cura. L’ immersione nelle scienze dell’antichità ha finito con l’allentare progressivamente i rapporti del giovane studioso con il reale e con un sana vita di relazioni che preludono all’amore. La tradizione familiare influisce, destinandolo a diventare un archeologo; nel vagheggiamento del padre cattedratico, il prestigio del figlio sarà tale da sorpassare la fama del nonno paterno. Alla rigidità di un tale regime, il ‘figlio perfetto’, in sintonia obbligata con le aspettative paterne, si adegua totalmente, tentando di raggiungere la perfezione dell’Io ideale. La severa disciplina e l’isolamento di studioso inducono una condotta di assoluta conformità alla più intransigente morale puritana. L’arduo cimento comporta l’indirizzo dell’energia pulsionale inconscia verso ‘mete più alte e inattaccabili’, per usare le parole di Freud (Cinque conferenze sulla psicoanalisi, 1909), in attività di ragguardevole levatura spirituale e culturale, purificate dalla corporeità inerente il richiamo erotico. Dal momento che il tentativo di Hanold di orientare la pulsione sessuale verso un elevato obiettivo astratto fallisce, anche il suo opus incertum verso la scienza archeologica manca la meta, esaurendosi in tipici meccanismi di difesa regressiva dell’Io. La mancata soddisfazione nel desiderio di auto-realizzarsi in ruoli di rilievo attinenti alle proprie potenzialità, ma non chiaramente individuabili dal suo Io reale, vanifica la sublimazione. L’energia pulsionale deviata dalla donna naturale, perturbante fonte di pathos, induce il rarefarsi della libido; ma la meta culturale cospicua della sublimazione si perde nel richiamo esercitato da forme/orme fisiche di eteree fanciulle dalla sessualità inerte eppure sottilmente erotizzante, scolpite nella pietra lavica, nel bronzo o nel marmo. E’ l’esordio dell’inclinazione alla parafilia. L’aspetto del ritiro sociale emerge focalizzato sia dalla voce narrante sia dalla co-protagonista del racconto, che ricostruisce alcune tappe della condotta evitante cui Norbert Hanold si è sottoposto. Il ripiegamento su stessi e la distorsione cognitiva rappresentano una costante della presenza classica nel racconto del sovrannaturale-archeologico (come comprovano le storie di Henry James e di Théophile Gautier dedicate al tema). Muovendosi sul limen fra epistemologia e mito, Freud ci orienta alla comprensione dell’attività psichica scarsamente differenziata del soggetto problematico del romanzo; ma, indirettamente, lo psichismo non integro è correlabile anche alla psicologia collettiva della società intellettuale alto-borghese del suo tempo, per i possibili tralignamenti nella psicosi generati dalla pressione/repressione familiare 5. Lo scivolamento verso il fantasma dell’agalmatofilia risale alla scoperta di un antico bassorilievo che in un museo romano attrae l’ attenzione del giovane archeologo. La figura rappresenta una fanciulla che cammina, tenendo sollevata la veste, fra le cui pieghe si intravvedono distintamente i piedi che calzano sandali. Mentre un piede posa a terra, l’altro è sollevato e sfiora il suolo solo con la punta delle dita, pianta e calcagno sono sollevati quasi perpendicolarmente; quindi attribuisce a colei che fu immortalata nell'insolita posa un nome greco, Gradiva, l’avanzante; presumibilmente desunto dal calco semantico di Mars Gradivus (Marte, colui che incede – in battaglia –). La grazia squisitamente femminile e del tutto originale dell’incedere che ispirò l’artista ellenico lo esalta a tal punto da spingerlo a procurarsi una perfetta riproduzione in gesso per poterla studiare nei dettagli. L’investimento affettivo sul particolare ̶ il calco del piede ̶ fa pensare ad una traslazione-rimozione inconscia corrispondente all’Ȕbertragung di Freud, che nella prima fase dei suoi studi considera l’inconscio strettamente connesso con il rimosso. Lo spostamento/traslazione (procedimento che si rinnova nella fenomenica del transfert, grazie alla comunicazione inconscia attivantesi fra analista e analizzato), avviene attraverso una sostituzione dell’ oggetto del desiderio, in un ritorno del narcisismo infantile sull’oggetto sessuato; nella fattispecie un oggetto-feticcio afferente al patrimonio mitologico in cui si esprime la cultura archeologica. E’ riconosciuto che Freud riconobbe la facoltà simbolizzatrice del mito, inerente alla facoltà di dare immagini e parole al pathos, plasmando le passioni dell’anima che il linguaggio clinico ottocentesco della psichiatria non era in grado di descrivere e comprendere pienamente 6. Fra i volti antichi spiccano immagini iconiche del femminile, come quella che, nella sua fase di acerba grazia, impersona la Ninfa dai movimenti fugaci. Vari studi comparsi in anni recenti ̶ spicca fra i primi il saggio di Salvatore Settis ̶ 7 la correlano alla Gradiva portata alla luce dall’immaginazione creatrice del narratore. Questo recente orientamento apre prospettive ermeneutiche sul potere metamorfosante dell’immaginario, quale fondale ontologico della vicenda. Anche se Norbert Hanold, come riferisce il narratore, non contempla affatto la possibilità che il bassorilievo possa raffigurare una Venere, una Diana, o una Ninfa, l’occulta presenza di questa si impone. L’insight suggerisce come il fatto stesso di menzionare la Ninfa attraverso espresso diniego attesti esattamente il contrario, ovvero la sua obliata e obnubilante presenza, frutto di una traslazione inconscia. Presumibilmente è suggerita anche dall’evocazione delle dee a lei affini, Venere e Diana, che aprono il corteggio ninfale in svariati contesti mitologici e iconografici. Nelle ricerche iconologiche di storia della cultura del Warburg Intitute 8 sulla rinascita del paganesimo antico, la Ninfa si profila visivamente come Pathosformel (formula di pathos), ma anche nella prospettiva simbolica del Nachleben. Si tratta di un’idea peculiare di sopravvivenza, intesa quale vita postuma dell’immagine polarizzata ai due estremi opposti della pulsione vitale e del contesto mortifero, eros e thanatos. Jensen sembra aver colto la sottile ambiguità che vela la Ninfa verginale della classicità, in implicita relazione con il tema pigmalionico della metamorfosi che attiene alla ninfa 9. Nella persona della sfuggente Gradiva in movimento, quasi sul punto di spiccare il volo, si incarnano tanto l‘ immagine sopravvivente’ della morta-in-vita quanto alcuni tratti della puella aeterna archetipale. Ispirati all’inafferrabilità della naiade/driade rincorsa da Pan, sembrano ribadire l’innocenza e la verecondia adolescenziale in rapido accenno di fuga-difesa, sottolineata dal drappeggio ondeggiante della veste che si schiude sui calzari di Gradiva. Il ritratto di Jensen ne sottolinea la genuina spontaneità: «Ritrae una completa figura femminile nell’atto di camminare. Una donna ancora giovane ma non più bambina, e d’altronde neppure donna fatta; piuttosto una vergine appena ventenne […] non vi era alcuna civetteria nell’espressione del volto sottile; i suoi tratti raffinati esprimevano piuttosto una serena indifferenza per quanto si svolgeva intorno».10 La forma soave della Ninfa, ancora inconsapevole del proprio potenziale seduttivo, è in asse con la verecondia di Artemide; a lei il mito associa il seguito femminile adolescenziale di ninfe in una cornice di mistica protezione dall’intrusione/profanazione maschile. Il tentativo di violazione di un imprecisato tabù dell’Aidós o pudicizia, αἰδώς ( i cui echi giungono fino all’eco degradata nella ninfetta-Lolita di Nabokov), sottolinea l’ ambiguità del sentire che circonda la Ninfa. Una certa dicotomia sembra riaffiorare anche nel pathos prodotto dalla coazione istintuale dell’archeologo, che trasmuta l’idealizzante filia  (φιλία ‘philia’) greca da amore virtuoso a forviante dedizione, generata da un investimento quasi necrofilo. Nei suoi sogni allucinati le movenze della Gradiva, che appare e scompare come la nebbia, ripetono lo stesso ritmo incoerente del sogno che vede la fuggitiva moltiplicarsi « in uno strano gioco di specchi rovesciati nel quale i movimenti rapidi della Ninfa ritmano una danza di apparizioni e di scomparse. Gradiva è sfuggente, e Freud pare saperlo fin d’entrée de jeu. Da qui la sua strategia ad anticiparne le mosse analizzando quel peculiare continuum tra sogno e veglia che caratterizza il flusso di pensieri del protagonista del racconto […] Hanold insegue l’immagine di Gradiva come si insegue il fantasma sorto dalle proprie fissazioni. »11. Sovrastato dall’aura del mito e dal panismo della natura in trasformazione che la ninfale adolescente esprime, Norbert rifugge dall’eros immaturo e fatale che promana dalla naturale fanciulla in fiore. Cerca vie di fuga nella regressione mediante una rappresentazione alternativa all’oggetto del desiderio represso; né può riconoscere l’imago femminile nel contesto del quotidiano, essendo egli incapace di associarla alla cornice del reale cui, di fatto, la fuggevole visione appartiene, come si chiarisce dallo sviluppo della narrazione. Il grumo emotivo irrisolto è generato da una incongrua reminiscenza di due mondi inconciliabili, il reale e il fittizio, e il sapere iconografico non gli è di grande aiuto nella ‘ decifrazione del mistero’ (inteso come Leitmotiv del racconto gotico-psicologico di atmosfera). Il fantasma del simulacro risulta indecifrabilmente connesso ad una inquietante presenza vitale che aleggia attorno a lui, ma sommersa nell’oblio del processo di rimozione. E’ nell’intreccio fra noto e spaventoso, familiare ed estraneo, che consiste lo spaesamento di Norbert Hanold. Applicato alla sua storia, il significante freudiano di perturbante si rivela in tutto il potenziale di ambiguità. La psicoanalisi contribuisce alla decifrazione delle fonti del perturbante o unhemlich, che nella definizione fornita da Freud in Das Unheimliche, 1919, è l’inquietudine angosciante dell’ignoto che si sovrapposiziona enigmaticamente al noto nella sua cifra spaesante, poiché non più intellegibile. La Stimmung di straniamento emerge quando il familiare disorienta, evocando il fantasma di una minaccia suprema. L’infrangersi della norma di familiarità legata allo stato di quiete sovrasta emotivamente soprattutto soggetti dotati, come il giovane archeologo, di acuta sensibilità per la sopravvivenza del mondo immaginale. L’esordio degli eventi introdotto dal narratore implicito segnala le consuete forme del degrado psichico causato da un eros artistico nato come meta di sublimazione ma deviato in una devastante ossessione. Presto emerge anche il gravame coattivo incontrollabile che accompagna il degradarsi del pensiero, nel tentativo impossibile di stabilire l’esistenza di una correlazione diretta e reale fra Gradiva e il suo passo; forse fu possibile fonte di ispirazione per lo scultore ellenico, che Norbert Hanold presume sedotto da un reale modello di andatura inimitabile nella sua originalità. L’obiettivo di chiarificazione sfuma nella più penosa confusione mentale. La compulsiva ricerca di misurazioni di passi, rapportabili a configurazioni anatomiche di piedi femminili, degenera in bizzarre congetture sulle gambe delle passanti e sul loro ceto sociale (servette o damine a seconda che gli arti siano nudi o interamente coperti da gonne, evidentemente le più interessanti). E’ presumibile che il conflitto pulsionale, combattuto reprimendo la libido, abbia generato uno stato emotivo borderline dove il sogno ad occhi aperti cancella ogni interesse relazionale. L’obiettivo sfuma nella più penosa confusione mentale, poiché il mancato riconoscimento dello stato onirico quale breve follia concorre all’attivarsi di alterne fasi di delirio, annebbiando la percezione del reale Nel dipanarsi dell’intreccio in direzione della deriva psicopatologica, i sintomi rispecchiano insieme le necessità della concordia interna testuale e la congruità nell’eziologia del malessere psicopatologico. Fra i primi contributi di commentatori-psicoanalisti alla storia, oltre al saggio di Freud, spicca il celebre commento di Cesare Musatti, che in un saggio (ricompreso in Saggi sull’arte, la letteratura e il linguaggio, 1991), mette in luce in Gradiva vari piani della costruzione illusoria apparentati nella parafilia; segnalando la svolta sul feticismo dell’ immagine e quindi dei singoli particolari – il piede che incede con movimento leggiadro. La stessa scienza archeologica, che condiziona in modo tanto singolare l'esistenza dell’esperto di filologia antica e di arte monumentale, emerge secondo Musatti come estremamente significativa per analizzare il contesto delle parafilie. Il suo commento suggerisce come l'intero racconto rivesta un carattere fortemente visivo, strutturalmente legato all’importanza della percezione visuale e della perizia dello sguardo nella scienza archeologica. Il pensiero bizzarro generato dall’ ingannevole visione dell’indecifrabile Gradiva si raccorda in una duplice articolazione fuorviante, poiché mentre assorbe feticisticamente la <potenzialità erotizzante> del piede arcuato, intravede nell’ accennato movimento del calco marmoreo il quasi preludio alla reviviscenza. L'attrazione ossessiva del giovane archeologo Norbert per i piedi e per il loro movimento nelle persone di sesso femminile, può apparire del tutto verosimilmente imputabile alle stesse anomale pulsioni attivate dalla vis imaginativa del ‘fantasticatore’ erotomane, a causa di un investimento libidico deviato nella sessualità atipica. Se nella sua integrale complessità la bellezza acerbamente sensuale personificata nella statua animata della giovinetta ellenica può mettere a dura prova l’integralità rigida dell’io, una volta ridotta a dimensione metonimica <la parte per il tutto>, ne risulta un accettabile compromesso che può assumere una connotazione di ‘erotomania feticistica’. L’analisi di Freud, seguita da quella di Musatti, permette di inquadrare le tematiche della novella come un apporto finzionale alla nascente scienza psicanalitica, nell’accenno ai meccanismi psichici di difesa propri dello spettro di tendenze parafiliache coinvolte nelle origini del feticismo. Nella fattispecie, si tratta di un’ossessione regressiva, con cui l’inconscio del soggetto-Norbert Hanold si difende, tenendo al riparo dalle angosce della colpa le proiezioni dell’ Io ideale. La rimozione coattiva di pulsioni vitali può sfociare nella difesa in vere e proprie regressioni a forme di sessualità infantile di marcatura narcisistica e feticistica, se non in una vera e propria caduta nel pervertimento psicotico dei profanatori di statue, cui la storia sembra implicitamente alludere. Tuttavia lo sviluppo dell’intreccio mostra come l’ossessione per il fantasma redivivo o ghosthly revenant della fanciulla dell’antichità non escluda la ripresa del contatto con il reale e il ripristino finale di una vita relazionale. La storia si snoda infatti attraverso i vari passaggi del percorso introspettivo per giungere all’abreazione, alla liberazione dal sintomo attraverso una scarica emozionale propizia, un campo di ricerca aperto sostanzialmente da Freud. Seguendo il suo insegnamento, il mondo dell’Io appare in lotta con il mondo dell’Es, dominio del principio di piacere e degli investimenti oggettuali; subendo i contraccolpi del Super-io, si generano modalità di censura che ammortizzano gli inconsci sensi di colpa per il desiderio proibito. E’ ipotizzabile supporre che nell’apparato psichico di Norbert Hanold, il contrasto ulteriore con quella che Freud definisce energia spostabile (L’io e l Es,1923), indifferenziata e associabile a impulsi di natura erotica o distruttiva, generi un’angoscia che può sfociare in uno stato psichico compromesso. Un malessere velatamente generato dal gioco di sponda dell’ inconscio, basato sul mancato riconoscimento del contenuto latente; il rimosso, di per sé non esposto all’affiorare cosciente è tuttavia suscettibile di diventare cosciente. Ma nella prima parte del racconto, la deriva parafiliaca nella soggettività del thanatos diventa il registro prevalente, giocato sul rapporto morte-reviviscenza della Gradiva. Come ricorda Daniela Sacco nel suo articolo « l’immaginazione che si fa delirio, perdita di ragione, soprattutto nella forma della possessione, trova nella definizione di nymphóleptos il suo legame con la ninfa. La possessione di chi è catturato dalle ninfe […], oltre a generare felicità, è anzitutto una forma primaria di conoscenza che trasforma chi ne è soggetto, quindi è una conoscenza subìta e metamorfica, che avviene attraverso il pathos» 12. Nel sogno visionario che fa da prologo alla vicenda, Gradiva è un’imago di prematura bellezza prematuramente scomparsa che ha preso vita. Il delirio pigmalionico di Norbert Hanold, che cerca appagamento nell’immanenza del pathos da lei generato, gliela fa apparire in sogno, reviviscente sulle pietre del selciato lavico di Pompei, la città morta per antonomasia, distrutta milleottocento anni prima. Cammina soavemente con il suo inconfondibile passo arcuato, prodigio di grazia coreutica. Improvvisamente alla soavità del sogno subentra l’incubo di un vissuto di angoscia, con la visione della fanciulla morta, investita insieme a lui dalla cenere lavica seguita al cataclisma dell’eruzione vulcanica. Al risveglio, credendo di scorgere in strada un sembiante femminile della figura apparsagli in sogno, riconosciuta dal passo aggraziato, corre a raggiungerla, ma è accolto dallo scherno dei passanti per lo sconveniente abbigliamento in veste da camera e ritorna a casa al colmo della frustrazione. La vista del canarino in gabbia, che poco prima aveva notato, appesa a una finestra dirimpetto alla sua abitazione, gli suggerisce l’analogia con la propria condizione di recluso: nel canto triste dell’uccello rivive la propria insoddisfazione per la scelta esistenziale condizionata dal rigido codice familiare. La svolta del viaggio in Italia, per il quale deve trovare un pretesto scientifico, è collegata a una sensazione indefinibile, dovuta allo sgretolarsi della trama del sogno di appagamento in incubo. L’inconfessato impulso che lo sospinge a spostarsi prima a Roma e poi nella città museale di Pompei è la ricerca dell’immagine intrusiva che popola i suoi pensieri e popola i suoi sogni; ma durante il viaggio il suo comportamento genera perplessità per l’insofferenza verso le coppie di sposi in luna di miele, incollati l’uno all’altra come le mosche appiccicose che nel corso di attacchi di fobia panica lo assediano. Finalmente gli appare l’evanescente fantasma femminile del bassorilievo, quale spirito materializzatosi nella bianca calura degli scavi, calcinati del sole allo zenit. Seguendo la rilettura di Freud, ci si domanda se l’apparizione dello spettro di mezzodì possa essere un’allucinazione o uno spirito evocato tramite la forza generativa del desiderio. La presenza femminile si dilegua, ma da lui inseguita, gli si rivela nuovamente sugli scalini interni alla casa di Meleagro; dove riappare tenendo in mano pagine di schizzi di sculture che a lui sembrano fogli di papiro. Seguono cogitazioni bizzarre sull’identità della morta rediviva, risvegliata dal sole caldo e rientrata nella casa che abitava prima del 79 a.c. Varie congetture sull’identità del simulacro vivente si fanno strada nella sua mente offuscata, sempre in bilico fra la minuziosa competenza nella valutazione iconografica e il delirio isteriforme. La fanciulla, cui Hanold attribuisce un’origine greca, e un padre che esercita il suo elevato ufficio nel nome di Cerere, è per lui un monumento funerario reviviscente; associato con il culto di Kore-Proserpina e di Demetra-Cerere, la dea-madre delle messi e del versante luminoso del mondo oscuro del seme. L’apparizione ctonia si rivela nella realtà della vita attraverso una limpida chiarificazione che potrebbe diradare la nebbia del sogno allucinatorio e vagamente necrofilo. Il suo nome, Zoe Bertgang, corrisponde a quello di una fanciulla tedesca vivente, in carne ed ossa. Sua vicina di casa nella città universitaria dove vivono entrambi, lo esorta a rivolgersi a lei non in una lingua morta ma nel loro comune idioma, il tedesco. Da sempre attratta da Norbert, nel ricordo tenero del compagno frequentato negli anni della pubertà, gli si rivela a poco a poco in un ruolo maieutico, che in varie fasi successive lo avvia alla rinascita agevolando il diradarsi dell’ottenebramento della ragione. Il fascino esercitato dalla grazia del passo di Zoe, con il raffinato incedere cadenzato del piede, è stato da lui inconsapevolmente cancellato nella memoria e sostituito dall’impressione ‘affettiva’ dell’antico bassorilievo, raffigurante una fanciulla di discendenza ellenica che presenta una simile flessione dell’arto in movimento. Seppellì nell'inconscio la memoria della compagna di giochi, circostanziandone feticisticamente il particolare richiamo seduttivo del piede e dilatandone l'importanza erotica fino a ribattezzare il bassorilievo con il nome greco di Gradiva: parola­chiave con la quale inconsciamente ha translitterato nella propria lingua madre il reale cognome Bertgang, “risplendente nel camminare”. Il seguito della storia retrospettiva mostra un possibile richiamo mnesico a una marziale Zoe bambina, che non disdegnava lotte di calci e pugni, alla pari coi compagni maschi come Norbert. Lo svolgimento diegetico si avvale di un’intuizione straordinaria, che Freud individua nel potere della rimozione. Di fatto, il ricordo inconsapevole della coetanea, per buona parte rimosso ̶ seppellito nell’inconscio del protagonista, che ne ricorda però la voce ̶ , risulta dal contesto della narrazione carico di valenze-richiami al reale, perfettamente contestualizzabili sul piano della lucidità mentale, quindi preziose per l’anamnesi. Si tratta di un itinerario che attinge al profondo del mondo immaginale, in un processo di lenta translitterazione e decrittazione di dinamiche psichiche fino ad allora oscure all’Io reale. Jensen, che mai ammise con Freud il proprio coinvolgimento esplicito in teorie psicoanalitiche, sembra cogliere con una percezione quasi visionaria lo Zeitgeist mitteleuropeo di inizio secolo. L’interesse per dinamiche psichiche inconsce, che porta narratori quali Svevo e Joyce all’utilizzazione del monologo interiore e del flusso di coscienza, emerge distintamente anche nella tessitura tematica di Gradiva. Vi si avverte la trasmigrazione di motivi culturali aleggianti nel panorama letterario coevo, elaborato sull’alternanza di latenze-rimozioni, secondo schemi di automatismo operativo nei processi della psiche. E’ rilevante il fatto che certi processi mentali coinvolgano anche la psicologia della fanciulla, a partire dal primo atto mancato, l’album di disegni dimenticato nella zona degli scavi dove si sono incontrati. Freud insegna che non si dimentica nulla senza un motivo segreto: l’oblio degli schizzi è un prodotto dell’inconscio, qualcosa che la giovane donna inconsapevolmente lascia in quel luogo per poi poter successivamente ritrovarlo, nel corso di un insperato incontro con l’uomo di cui è suo malgrado innamorata, senza poter essere corrisposta; essendo egli affetto da amnesia retrograda. Rientra nel novero del reperto da decifrare in una prospettiva di cura il fermaglio venduto all’archeologo dall’oste impostore (che lo ha esibito quale originale reperto millenario proveniente dagli scavi). Norbert fantastica che il monile dissepolto dalla cenere della necropoli sia appartenuto alla Gradiva. Dopotutto forse lei era una fanciulla abbracciata all’amante nella morte, e il fermaglio potrebbe esserle sfuggito nella disperata fuga. L’ironia della giovane donna, che gli chiede se lo abbia trovato al sole («poiché il sole a volte fa scherzi del genere»), sembra cercare una breccia e un freno al delirio e li trova, nella novità di un reale sentimento o desiderio che si fa strada in lui; il morso della gelosia retrospettiva, accompagnato dal desiderio di possedere anche il passato della morta-in-vita ritrovata. Si tratta di un’emozione tenebrosa e incompatibile con la ragione, ma permette comunque un nuovo avvio dei treni di pensiero, essendo finalmente attivato dall’umano sentimento dell’amore. Vari elementi correlati fra di loro nell’intreccio, e afferenti alla sintomatologia dello spettro psicopatologico, sono da inquadrare in una corretta prospettiva metaforica; la cenere lavica, i fiori (asfodeli e rose), gli insetti, le farfalle e le lucertole risaltano quali isotopie interne a un piano testuale, coerente sia con la psicosi a breve termine sia con il processo di recupero dell’Io. Mentre puntellano l’impalcatura ricostruttiva della realtà, suggeriscono una volta di più che il disagio mentale del protagonista è legato a deviazioni della pulsione erotica, come sta a indicare l’assunzione del fermaglio-feticcio di suggestione necrofila. In quanto reperto da lui ritenuto provenire dalla esiziale tempesta di cenere e lapilli, appartiene allo stesso asse semico degli asfodeli, associati al mondo ctonio di Cerere/Proserpina; ne fa dono alla fanciulla, quale avatar della vetusta puella Persefone, rediviva dal regime infero condiviso con lo sposo-rapitore Ade; mentre le rose sono invece abbinate al richiamo normativo di vissuti dell’eros, e infatti la fanciulla eterna riscoperta ritiene non le siano ̶ al meno per il momento ̶ adeguati. L’intera concatenazione di linee guida figurativo-tematiche, coerenti con il piano narrativo del vissuto delirante, è strettamente correlata alla simbologia delle ceneri che seppelliscono il mondo pompeiano, sfondo del primo sogno-incubo di Norbert. Negli effetti di copertura/insabbiamento, la cenere lavica è perfettamente congruente col processo di rimozione che seppellisce il ricordo. La destrutturazione della personalità appare in linea con il caotico ammasso di indizi-sintomi che sembrano sommergere il protagonista in un ‘altrove’ ancora privo di coordinate spazio-temporali. La sottolineatura più cospicua per il vissuto di sofferenza acuta è il rimando all’orrore per gli insetti o entomofobia. Eppure, sarà proprio una mosca che, posatasi sulla mano della presunta Gradiva, egli tenta bruscamente di scacciare con uno schiaffo, a fargli percepire il contatto con la mano reale della giovane donna in carne ossa. La reazione di disappunto di Zoe, che si ritrae impressionata dallo schiaffo sulla mano e lo apostrofa per la prima volta apertamente con il suo nome, Norbert Hanold, definendolo pazzo, innesca nello stralunato interlocutore un meccanismo difensivo di istintiva presa di distanza dall’insidioso day-dreaming. Del resto, come annota Freud, chiamare col proprio nome qualcuno affetto da uno stato ipnotico come quello generato dal sonnambulismo serve a risvegliarlo. Norbert ora raggiunto un primo livello di consapevolezza, riconoscendo come sia stato insensato pensare di aver incontrato la giovane pompeiana del monumento funebre ritornata in vita. Del resto, forse lo stesso impulso a colpire la mano può essere messo in relazione con il vissuto personale che hanno in comune, fatto di giocose battaglie fra ragazzini, senza esclusione di colpi. Lo schiaffo può forse servire a riattivarne la memoria perduta, nel progressivo recupero di uno stile di vita ancorato alla realtà; raggiunto attraverso la mediazione della ritrovata ‘donna naturale’, che nei meandri della storia assume le funzioni di guida psichica in grado di accompagnarlo alla consapevolezza attingendo alla potenzialità semantiche del doppio registro. I doppi sensi servono ad aprire la mente a doppie interpretazioni, insegna Freud in Psicopatologia della vita quotidiana (1901). La giovane amica utilizza la corretta presa di distanza dal soggetto problematico e ne conquista la piena fiducia facendosi raccontare tutti i particolari del delirio, senza mai apertamente contraddirli. Nel tentativo di agevolare l’interpretazione di eventi e stati d’animo patologici da parte del suo amato sofferente, dissemina la pista di segni, affinché si costituiscano come nodi di mappe concettuali designati a colmare le lacune mnesiche. Fornisce l’ordito dell’intreccio che lui dovrà provare a ricostruire, una volta rielaborata la doppia trama del proprio ingannevole percorso. Il metodo di riabilitazione che tende al recupero di dati ed eventi mascherati dalla rimozione, opera come il filo di Arianna donato a Teseo per favorire l’uscita dal labirinto e i sassolini di Pollicino disseminati sul sentiero che conduce alla via di casa. Fanno parte del patrimonio mitico inconscio degli archetipi di cura. Si avvia così il lento e paziente processo di ricostruzione e riconoscimento della donna vitale, nella figura di Zoe (in greco ζωή ‘zoé’ il principio, l'essenza della vita ). In lei, in quanto <vita dello spirito>, si incarnano capacità empatica di intuizione e introiezione, peculiari premesse a indurre una liberatoria presa di coscienza di sentimenti rimossi. Incarnazione di una imago femminile/sapienziale di cura dell’anima, aiuterà l’amico d’infanzia a uscire dal trance dell’eros deviato, una volta chiarita la dinamica del sintomo psichico dissociativo. Un elaborato schema dei pezzi del rompicapo è la ricostruzione dei processi mentali connessi all’amnesia. E Zoe, novella Psiche, individuata da Freud nel suo saggio introduttivo come personificazione della saggezza e della chiarezza di mente, fungendo da vero medico dell'anima, avvierà la rigenerazione di Norbert. Ecco il passaggio fondamentale dalla Ninfa fugace a presidio della salute mentale nell’immagine di Psiche: persona 13 da cui prorompe l’immaginazione, intesa da Hillman come principio di risorsa terapeutica che si avvale del mondo immaginale. La psicologia del profondo ha privilegiato lo studio dell’inconscio e riconosciuto nella forma del pensiero mitico il linguaggio proprio della psiche, composto per l’appunto di immagini. Una concezione associabile al percorso di recupero avviato da Zoe, con la quale il Freud commentatore più o meno inconsciamente si identifica, in una singolare congiuntura con il metodo catartico (indicato dallo stesso Freud e da Breuer in Studi sull’isteria, 1895). La nevrosi e la sua risoluzione passano attraverso il processo di transfert che utilizza i sentimenti del paziente per una figura-simbolo del suo mondo interiore, rimossi e trasposti sulla persona dell’analista, rispecchiato dalla figura di Zoe. E’ attraverso di lei che Freud professa il proprio ruolo, come ha osservato anche Kirchmayr nel citato saggio “Ninfa diabolica. Sulla revenance dell’immagine”. Rivelando attitudine per le profondità del ‘fare anima’, la giovane donna che guida Norbert Hanold nel processo di abreazione lo libera dalle coazioni istintuali generate dalla condizione di nynpholeptus (Nelle Vite Plutarco definisce Ninpholepti coloro che siano ispirati o posseduti dalle ninfe). Grazie a colei che contribuisce a rendere cosciente il doppio senso del rimosso, riaffiora alla coscienza dell’inconsapevole paziente il ricordo della fanciulla in fiore di un tempo, il cui mancato riconoscimento è imputabile alla repressione della libido. La cura procede verso il tentato recupero di teneri ricordi attestanti l’esistenza di un obliato vissuto comune, come il pane diviso a merenda da compagni (etimologicamente coloro con cui si divide il pane, cum panis) fra una sfida manesca e l’altra. Come si confà all’erotismo acerbo della preadolescenza, che si esprime attraverso una fusione di aggressività e attaccamento. La cifra dell’ animus, quale image marziale e coraggiosa del femminile, ancora una volta riaffiora in Zoe e la spinge al tentativo di compendiare passato millenario e passato prossimo individuale; mentre, addentando la metà di un panino, gli chiede se ricorda di aver diviso con lei lo spuntino quasi duemila anni prima. Lo scricchiolio lieve dei denti di colei che morde il pane è una percezione uditiva che attiva il suo interlocutore all’uscita dal disorientamento spazio-temporale. Un ulteriore passo avanti nella soluzione dal ciarpame del delirio coincide con la sequenza in cui finalmente la fanciulla si mostra disponibile a mimare il suo misterioso passo coreutico, baricentro della fissazione feticistica, prestandosi alla mise en scene de la folie con l’intento di esorcizzarla. Nobert arriva vicino alla soluzione dell’enigma scoprendo che i passi non sono mossi da piedi spettrali rivestiti da calzari di foggia ellenica, come nel bassorilievo di Gradiva, bensì da moderne scarpette di morbida pelle color sabbia. La scaturigine del delirio ha avuto esordio dalla vista e dal piede, e dalla vista e dal piede deve partire il primo approccio consistente al reale. Preziosi per il cammino a ritroso nel doppio regime sogno-veglia sono i rimandi a lui oscuri racchiusi nelle frasi di Zoe; così, quando accettando dal compagno ancora disorientato, invece delle rose che parlano il linguaggio dell’eros, lo stelo di asfodillo a campanelle bianche, il fiore dell’Averno, esclama « mi sono abituata da tempo ad essere morta », l’affermazione sottintende la morte dell’ interesse maschile del coetaneo per lei; costantemente ignorata in qualsivoglia occasione di incontro o di eventi sociali cui fossero entrambi presenti. Espressioni apparentabili al motto di spirito freudiano sono frasi allusive al riconoscimento della propria reale identità, come «forse non sarebbe stato necessario che tu compissi un lungo viaggio sino a qui, avresti potuto trovarne conferma a qualche centinaio di miglia più vicino a casa»; rientrano in una precisa strategia di presa di contatto diretta con la mente del giovane, consapevole di trovarsi dinanzi proprio la sua giovane dirimpettaia della casa all’angolo, in corrispondenza della finestra con la gabbia del canarino che le appartiene. Il messaggio dei sintomi sarà chiarito molto lentamente, e soltanto dopo che sarà stato messo a dura prova dal confronto con vissuti emotivi di angoscia estremamente penosi ma preziosissimi per la catarsi. Si tratta di snodi sequenziali che segnalano il predominio dell’attività pervasiva dell’inconscio con la potenza del suo caos magmatico, contrassegnato da ricadute. Con l’aiuto di chi orienta alla loro corretta decodificazione, si avvia l’uscita dal labirinto del malessere psichico. E’ di aiuto la sensibilità della giovane donna per una certa forma di competenza analogico-rappresentativa, nel tentativo di ricreare una continuità fra la sintomatologia ossessiva correlata all’ansia di chi soffre di entomofobia, e il sapere nella scienza entomologica, desunta alla scuola paterna. La mosca è il termine che usa Zoe quando, parlando ad una conoscente in viaggio di nozze a Pompei, sembra assimilare al ronzio della mosca l’ossessione senza sosta del giovane archeologo: « Il giovane che è appena andato via soffre [… ]di una notevole aberrazione. Sembra credere che una mosca stia ronzando nella sua testa», ed è per questa ragione che l’intento terapeutico sia imprescindibile da una basilare conoscenza dell’entomologia, così da poter essere di giovamento in casi riconducibili a quella branchia della zoologia. Gli insetti, le mosche, per Hanold associate alla vischiosità intollerabile delle coppie di amanti incollati nell’abbraccio, che lo turbavano col loro richiamo sensuale nel mezzogiorno d’Italia, riacquisteranno un sovra-senso (e il sintomo ansiogeno di angoscia si attenuerà fino a sparire). In questa parte conclusiva il dialogo assume un carattere di intimità attraverso il racconto introspettivo di Zoe , che include il rapporto di attaccamento – vagamente edipico – col padre entomologo, ricercatore di reperti zoologici facenti capo a classi di insetti, farfalle e lucertole di specie rarissima. L’amore per il padre, il cui interesse è totalmente monopolizzato dagli oggetti della sua scienza, si è riverberato sull’alter ego paterno; cioè sul giovane ricercatore di antichi reperti, che meglio di altri coetanei ribadisce la marcatura edipica nell’affinità con lo zoologo accademico e padre arido, privo di competenza emotiva, esattamente come Norbert. L’amara considerazione che per il professore emerito, la propria unica figlia conti meno di una Caecilia conservata nello spirito, è correlabile con le modalità di condotta dell’archeologo, che fino all’incontro catartico con l’amica ritrovata, ha vissuto una prima parte dell’esistenza disdegnando ogni contatto con il mondo, specie femminile, dedicandosi esclusivamente allo studio di ritrovamenti dissepolti dell’antichità (interessi non dissimili dai cercatori di fossili); merita di essere definito da Zoe «un Archaeopteryx», in ricordo delle rare occasione in cui era riemerso in società «opaco, rinsecchito e muto come un cacatua imbalsamato». Un riferimento efficacissimo nel risalto al sovrasenso figurato che emerge nell’associazione con l’esemplare di mostruoso uccello-dinosauro, appartenente a una specie ormai scomparsa; eppure, in qualche arcana modalità, sopravvissuto a se stesso. E’ palese che sia proprio lo studio di certe specie quasi estinte l’altro segmento dell’ordito simbolico da seguire passo-passo per interpretarne la metaforica archeologica e zoologica. Notevole risulta, attraverso la sottolineatura del rapporto fra <reperto vitale> del mondo animale e <reperto morto> del calco marmoreo, l’impronta residuale del piede femminile nella cenere calcinata di Pompei. Da lì è partita la ricerca di Norbert, nel tentativo di rintracciare le orme del passo della sua Puella Aeterna, smarrita nella cenere calcinata (ovvero: fra i residui mnestici della memoria). Il punto di partenza per il recupero dell’amore adolescenziale e dei primi turbamenti è dunque lo scambio del ‘ doppio reperto’, in un certo senso un crossing over, che ha portato sia il giovane archeologo sia il Prof. Bertgang, entomologo di chiara fama, nella antica colonia romana del Sud Italia, con la figlia al seguito del riluttante padre. L’appostamento per catturare esemplari di farfalle/lucertole rarissime, prossime all’estinzione, è sovrapponibile alla ‘cerca’ del protagonista. Un viaggio verso una meta che serve come strumento dell’intreccio ( il ritrovamento del prezioso cimelio archeologico che confermi la reviviscenza del mitologema 14 di Kore-Persefone innestato su Gradiva), ma estensibile alla quest interiore, cui fa seguito una ritrovata identità. Efficaci marcatori sequenziali, emergono nella storia come doppia sliding door, omologabile alla sincronia junghiana: l’amabile coincidenza che ha fatto re-incontrare i due giovani, verosimilmente ignari l’uno della presenza dell’altro, nella città di Pompei. Finché il loro inconscio, attraverso la via di imperscrutabili coincidenze, li ha condotti a ritrovarsi e riconoscersi nella memoria del loro antico legame affettivo. L’ultima resistenza di Norbert Hanold è affidata ad un vissuto onirico residuale in cui affiora la presenza, in veste di cacciatrice, della puella amata-temuta; a rischio di essere quindi risospinta nell’oblio. Nel sogno finale compare come abilissima esploratrice di reperti zoologici, esperta nella cattura di farfalle e lucertole prese al laccio: si tratta di un residuo di difesa ultima che suggerisce a Freud il geniale commento circa la metaforica allusiva alla paventata ‘cattura’ di Norbert quale futuro marito. Conclusione inevitabile della contesa con l’archetipo della donna amazzone è il finale di partita culminante nella resa del maschio preso al laccio; ossia catturato nella tela di ragno intessuta dall’apprendista entomologa, che ha saputo esorcizzare il perturbante celato nel doppio mistero femminile. La presenza duplice dell’ignoto che si rivela familiare e noto sovverte la semantica di unheimlich in heimlich, adattando al quieto ritmo familiare l’amico salvato dal delirio. In definitiva, il sogno sembra alludere all’ attesa di un ancoraggio sempre più saldo nella realtà routinaria della vita di coppia, una volta sciolto l’ultimo nodo del conflitto emotivo. Ritroviamo quindi la lucertola riassumere una posizione forte. Era già comparsa all’inizio della sintomatologia psicopatologica, quando Norbert Hanold, in piena immersione nel sogno ad occhi aperti, l’aveva scorta in fuga dal piede di Gradiva. Possiamo pertanto considerare anche quel primo sconfinamento nel visionario come auspicio verso una risorsa di resilienza che si incarna nella lucertola. A motivo della sua muta, è simbolo orfico di rinascita e rigenerazione e sotto questo aspetto palingenetico la lucertola compare su monumenti funebri dell’antichità, a simboleggiare la perennità della luce perpetua che accompagna e rischiara il sonno eterno. Tenendo conto del legame della lucertola con l’iconografia funeraria e l’archeologia, risulta un elemento fondamentale per il grimaldello interpretativo della storia, costituendosi come l’alfa e l’omega del processo di trasformazione da cui consegue il rinnovamento di Norbert Hanold, nella nuova fase della sua dell’esistenza a fianco di Zoe Bertgang. Determinante per la disponibilità al richiamo dell’eros autentico è il reciproco riconoscimento nell’ambito dello assortative mating (o accoppiamento assortito), fra individui che si scelgono sul ragguaglio implicito di comuni sfere di interesse; in questo caso, l’appartenenza a una comunità intellettuale che privilegia l’appagamento totale dello spirito attraverso il sapere epistemologico e le formule kantiane degli imperativi categorici, disdegnando l’effimero. Il lieto fine del romanzo sembra segnalare l’orientamento verso un ordine di vita borghese, incline al traguardo dell’aurea mediocritas, ma in realtà fa pensare ancora una volta ad una concettualizzazione di Freud, per il quale il pieno recupero dal disagio psichico è individuabile nella ritrovata capacità di amare e di lavorare. L’impegno nel sodalizio di coppia presuppone entrambi, ora che la realtà ha avuto la meglio sul delirio. Seguendo Jung, potremmo definire il successo terapeutico come compiuta integrazione fra il maschile e femminile, fra animus e anima, nella psiche del protagonista. La conclusione della storia trascolora in una nota di malinconia decadente, quando Norbert chiede a Zoe, seppur non esplicitamente, di personificare ancora una volta la Gradiva. Freud ricorda che al delirio spetta ancora un ultimo posto d’onore prima della partenza della coppia da Pompei. Giunti alla porta d’Ercole dove al principio della strada consolare un vecchio selciato si interseca sulla strada, Norbert si arresta pregando la fanciulla di precederlo. Lei comprende le aspettative nascoste del messaggio e vi si adegua di buon grado. Sollevando con la sinistra l’abito, per l’ultima volta rivisita la leggiadra armonia della Gradiva. Cammina in bellezza nello splendore del sole, circondata dallo sguardo sognante dell’amante, perso nel mistico incedere. E’ l’ uscita dal mondo della Ninfa-adolescente, che si completerà con il passaggio dal nubilato alle nozze. Ma la devozione segreta alla ninfale levità è sempre attiva, riverberata ora attraverso la riconquista della fanciulla eterna con cui Norbert è destinato a condividere la pienezza dell’eros. In felice rispondenza alla chiusura, ambiguamente organica al racconto, così chiosa Freud: «Col trionfo dell’amore viene ora riconosciuto ciò che nel delirio era propriamente bello e pregevole». Un’ ultima riflessione riguarda la confluenza di processi e movimenti nella sfera interiore che ispirano le storie del sovrannaturale segnate dalla cifra/orma della presenza classica. Di fatto trovano corrispondenza analogica tanto in studi sullo scavo nei fondali della storia delle civiltà, tanto in indagini sullo scandaglio della psiche individuale per ritrovare tracce dell’antico reperto, attraverso quel residuo mnesico che cela il rimosso. La ricerca che tenta di portare alla luce un reperto archeologico o una scissione traumatica dell’io mascherata da sintomi, si riverbera agevolmente nel racconto fantastico a tema antiquario; dove il gotico di atmosfera, attingendo al recondito/sepolto del mondo immaginale, mette in scena la follia che rende inimmaginabile e immaginabile perfettamente sovrapponibili. Corrispondendo a una struttura di piani sovrapposti che si susseguono in profondità, l’ispirazione esercitata da orme di reperti dissepolti della civiltà classica trova sponda affine nelle psicoterapie di vario indirizzo. Del tutto coerente con il metodo della ricerca archeologica è il carattere paleontologico/speleologico di quella che Jung definisce paleo-psicologia, applicato ai reperti psichici arcaici archetipali dell’inconscio collettivo. La metaforica archeologica è viva tanto nella psicologia ispirata alla visione immaginale profonda, quanto nell’orientamento psicodinamico integrato, volto al recupero di reperti di vissuti emozionali ed esperienziali interiorizzati/rimossi.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

1 Lo sconfinamento nell’eros parossistico che prende il nome di pigmalionismo compare a partire del 2013 nel DSM5 fra i disordini parafiliaci. Nella disamina eziologica gli inizi sono segnati dallo psichiatra francese Moreau de Tours. Nel trattato sulle aberrazioni (Les aberrations du sens génésique,1880) esamina casi di filìa psicopatologica del mondo contemporaneo, collegandoli con le pratiche e i casi aberranti rinvenuti nelle storie di Ateneo (a proposito degli espedienti utilizzati da tale Cleisofo per soddisfare la sua innaturale passione per una statua di marmo chiusa un tempio di Samo). Negli stessi anni compare lo studio di Krafft-Ebing, Psycopathia sexualis (1886), che riprende a studiare il rapporto fra profanatori di statue dell’antichità classica e le forme patologiche registrate ai suoi giorni, deducendone una radice comune che scaturisce da un’intensamente anomala libido e da una virilità intrinsecamente compromessa.

2 Nella letteratura ottocentesca europea il vissuto pigamalionico presta il suo pattern allo svolgimento nel racconto di atmosfera gotico-archeologico, in cui si misurano narratori francesi come Balzac (Le Chef-d’œuvre inconnu, 1831), Merimée ( La Vénus d’Ille (1835) e Gautier (Arria Marcella, 1852). La letteratura di lingua inglese annovera i contributi di due scrittori americani, N.Hawthorne e H. James. Con The Marble Faun (1860 ), Hawthorne rinnova il tema della metamorfosi in una dimensione simbolica del tutto interiorizzata, attraverso il tema dell’evoluzione spirituale e introspettiva che accompagna l’espiazione della colpa. The Last of the Valerii (1874 ), racconto del sovrannaturale scritto da Henry James, anticipa singolarmente Gradiva . Il leitmotive dell'agalmatofilia e dello sconfinamento nell’eros paradossale e feticistico emerge nello specifico nucleo narrativo del delirio amoroso del Conte Valerio per un busto marmoreo di Giunone, affiorato dagli scavi nella sua villa romana.

3 Per un’approfondita disamina del tema pigmalionico degli ‘amanti paradossali’ in rapporto alla Gradiva di Jensen, cfr. M. Bettini, “Amori incredibili” , in Il ritratto dell’amante, Einaudi, Torino, 1992.

4 S. Freud, Delirio e sogni nella Gradiva di W. Jensen, 1923, Libreria Psicoanalytica Internazionale Zurigo-Napoli-Vienna (Biblioteca Psicoanalytica Italiana N.7, p. 9). Rimando al saggio di Freud per i passi di Gradiva citati nel mio contributo .

5 Rileggendo il commento di Freud in merito ai condizionamenti familiari dell’archeologo- protagonista di Gradiva (indotti dalle manipolazioni paterne), il pensiero va alla psicosi del Presidente Schreber, cui Freud dedica nel 1911 un saggio Osservazioni psicoanalitiche su un caso di paranoia (dementia paranoides) descritto autobiograficamente (Caso clinico del presidente Schreber); impostato sul complesso paterno e sulla libido omosessuale repressa del soggetto, che conobbe non nel rapporto analista-paziente, ma come lettore della lunga relazione redatta da Schreber stesso sulla propria follia, Diario di un malato di nervi. I contenuti deliranti del linguaggio di Schreber, che in famiglia fu notoriamente vittima di abusi psicologici, articolati su un regime paranoide di sado-masochistica disciplina imposta dal padre, sono stati recentemente analizzati in un articolo di Sergio Benvenuto su POL.it Psychiatry on line Note sul Presidente Schreber (giugno 2017).

6 Così anche Daniela Sacco, in “Ninfa e Gradiva: dalla percezione individuale alla memoria storica sovra personale” Cahiers d’Études Italiennes, 23 – 2016, pp. 45-60.

7 S. Settis, Presentazione, in J. Seznec, La sopravvivenza degli antichi dei. Saggio sul ruolo della tradizione mitologica nella cultura e nell’arte rinascimentali, Torino, Boringhieri, 1981, pp. xiii sgg.

8 Come riporta fra gli altri, nel suo contributo, E. Curti, «Tutte eran ninfe a quel tempo chiamate». Boccaccio e le ninfe: osservazioni sulla tradizione toscana ( in LETTERE ITALIANE Anno LXVIII, numero 2, 2016) la ninfa compare in molti pannelli del Bilderatlas (A. Warburg, Mnemosyne. L’atlante delle immagini, a cura di M. Warnke e C. Brink [ed. it. a cura di M. Ghelardi, Torino, Aragno, 2002]).

9 Le Metamorfosi di Ovidio illustrano trasformazioni proteiche che coinvolgono giovinette dallo statuto virginale, come naiadi e driadi o loro caratterizzazioni «di immagine dell’immagine»”, come Agamben definisce la Ninfa nel saggio dedicato del 2007. Al primo tipo risale la metamorfosi di Aretusa, fanciulla del seguito di Artemide, trasformata in Naiade, o ninfa acquorea sorgiva, per sfuggire al ratto del dio del fiume Alteo, che la insegue attraverso il mare per possederla carnalmente. La metamorfosi impedisce l’oltraggio alla sua natura femminile votata alla castità. Un esempio opposto emerge nella trasmutazione in amadriade di Mirra, la giovane donna che rinnegando la castità e la verecondia adolescenziale attraverso la pulsione incestuosa, è trasformata in nodoso albero che trasuda gocce di Mirra.

10 Per il passo introduttivo alla descrizione di Gradiva, cfr . S. Freud, Saggi sull’arte La letteratura il Linguaggio, Bollati Boringhieri 1991, che contiene anche una traduzione del romanzo di Jensen, Gradiva.

11 R. Kirchmayr, « Ninfa diabolica. Sulla revenance dell’immagine», Engramma, ottobre 2017 . Per l’autore la Ninfa rifiuta di essere ricondotta a un singolo pattern, dal momento che è potenza figurale e forza figuratrice che ritorna e, per mezzo della sua revenance […] il suo Nachleben, essa si diffrange, contemporaneamente una e molteplice, seducente e angosciante (pp. 14-17).

12 Daniela Sacco, art.cit., p. 52

13 Il termine persona è utilizzato da Jung nel significante di maschera, in riferimento all’uso classico teatrale della maschera da cui risuona (personat) la voce dell’attore.

14 Nell’opera Prolegomeni allo studio scientifico della mitologia , 1941 (trad.ital. a cura di A.Brelich, Bollati Boringhieri 2012) Károly Kerèny e Gustav Jung individuano nel mitologema o topos mitologico l’elemento base di un materiale mitico arcaico rivisitato e riplasmato attraverso varianti che mantengono la stessa struttura archetipale.

 

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