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Il bambino saggio nella psicoanalisi

12 Ott 12

Di Roberto-Speziale

RIASSUNTO

L'uscita in diversi paesi, in Italia presso Raffaello Cortina di Milano, del carteggio tra Freud e Ferenczi, permette all'autore di commentare alcuni episodi chiave della nascita della psicoanalisi; episodi non solo legati alle forti personalità di Sigmund Freud e Sándor Ferenczi, ma anche alle divergenze sempre più marcate del loro pensiero scientifico e della loro prassi clinica.

 

SUMMARY

The collection of letters between Freud and Ferenczi, which has been released in various countries and in Italy can be found in Milan with Raffaello Cortina, allows the author to comment on the key events that led to the birth of psychoanalysis; events not only linked to the personalities of Sigmund Freud and Sándor Ferenczi, but also to the marked difference in their scientific ways of thinking and their clinical practices.

Un articolo di qualche anno fa di Patrick Lacoste si intitolava "S.F.". Dentro queste iniziali si iscrivono i nomi dei due protagonisti di una querelle (un vero e proprio "trauma", lo definì Mihàly Balint) che oggi sta riproponendosi. I due nomi sono quelli di Sigmund Freud e di Sándor Ferenczi; il loro incontro umano e scientifico, ricchissimo e conturbante ad un tempo, ha inciso non poco sulla storia della psicoanalisi, per non dire sulla storia delle idee di questo secolo.

Le iniziali di Ferenczi in ungherese diventerebbero "F.S.", perché i magiari preferiscono anteporre il cognome al nome: avremmo così "S.F. e F.S.", quasi un Freud allo specchio o, se vogliamo forzare, una relazione ora complementare ora annullante. In un certo senso le cose tra i due sono andate proprio così.

Ma per quali motivi Ferenczi, tra tutti i pionieri della psicoanalisi, e proprio ora, è l'unico a ritrovare un momento di rinnovato interesse? In realtà siamo all'apice del riesame critico dei contributi di questo discepolo di Freud che fu tanto amato quanto contestato. Sono diversi anni, infatti, che ci si occupa di lui, sia pure con maggiore distacco critico d'un tempo: Andrè Haynal in Svizzera, John E. Gedo negli Stati Uniti, Glauco Carloni in Italia, Ilse Barande e Thierry Bokanowsky in Francia, Luis Martín Cabre in Spagna…. Questo ritorno di notorietà sembra collimare con la pubblicazione a Vienna, a Parigi e a Milano dell'intero carteggio Freud-Ferenczi; il primo volume in italiano di questa corrispondenza, Lettere 1908-1914, appare ora in libreria, a cura di A.A. Semi e nella traduzione di Silvia Stefani**.

Di tutto si potrà scrivere a proposito del rapporto Freud-Ferenczi, ma non certo che non sia stato intenso: 539 lettere da parte di Freud e 697 da parte di Ferenczi, solo nel primo tomo. La prima lettera è del 18 gennaio 1908, l'ultima, scritta poco prima della morte di Ferenczi, porta la data del 4 maggio 1933. Anni decisivi per la storia della psicoanalisi, ma anche per la Storia tout court: "Caro amico, Le scrivo sotto l'impressione del sorprendente assassinio di Sarajevo, le cui conseguenze sono totalmente imprevedibili". Così la lettera che chiude il primo volume. A firmarla da Vienna, proprio il 28 giugno 1914, è Freud che sembra prefigurarsi la reazione a catena che avrebbe condotto alla prima grande guerra.

La pubblicazione dell'epistolario non è isolata, si inserisce in una più vasta operazione editoriale, della quale si occupa anche la Harvard University Press. Payot a Parigi e sempre Cortina da noi, hanno progettato infatti una nuova traduzione critica delle Opere di Ferenczi, completate in Francia e giunte da noi al terzo volume. Uno sforzo, dunque, di non comuni proporzioni.

Il pomo della discordia tra i due, si è scritto, riguardava le innovazioni tecniche. Monique Schneider, però, evidenzia, nella corrispondenza, una comunicazione contraddittoria e confusiva da parte di Freud che, se da una parte con lucidità e humoraccordava a Sándor il permesso di innovare, dall'altra chiedeva con imperio sottomissione. André Haynal (1987), il principale curatore di queste Lettere, ha scritto un intero libro, indispensabile a chi voglia sapere a fondo di questo contrasto.

E' probabile che l'attuale risveglio editoriale intorno alla figura di Ferenczi nasca anche da due motivi tra loro legati: egli ha turbato l'approccio psicoanalitico ortodosso, proponendo modalità così radicalmente dissidenti da prefigurare vere e proprie modalità alternative. Secondo punto: i grandi pregi e i grandi limiti di queste sue alternative iniziano ad apparire di più facile comprensione. Il discorso critico su Ferenczi diventa quindi utilizzabile per chiunque pratichi la psicoanalisi o la psicoterapia analitica. In un momento storico caratterizzato da una affannata ricerca di modelli terapeutici che migliorino e abbrevino la cura, le proposte di Ferenczi rientrerebbero così, per usare una gelida espressione, nelle aspettative del mercato.

Ovviamente anche altri pionieri hanno sfidato la tradizione: Carl Jung, Alfred Adler, Wilhelm Reich, Karen Horney, per citarne solo alcuni. Ma tutti loro lasciarono, o dovettero lasciare, il ceppo originario e quindi furono più facilmente ignorati. Per Ferenczi (come più tardi per M. Klein) fu diverso perché, qualunque sia l'opinione che si possa avere di lui e delle sue idee cliniche, non si può lasciarlo da parte, non fosse altro che per i lunghi anni durante i quali fu in stretto contatto con Freud che arrivò a fantasticare di darlo in moglie alla figlia Mathilde: "Caro figlio, (fino a che lei non mi vieterà di chiamarla così)…", troviamo nella lettera del 30 dicembre 1911.

Un passo indietro ci può essere utile per inquadrare la complessa personalità di Ferenczi rispetto a quella del maestro. Sándor nasce a Miskolc in Ungheria nel 1873, esattamente un anno dopo l'unificazione di Buda, la capitale, con il forte sede del Palazzo Reale, e Pest, la città del commercio, dell'artigianato, dell'università. Ottavo di dodici figli, a 15 anni rimane orfano di padre, del quale era peraltro il preferito. Polacco di origine ed ebreo, questo padre trascinato dall'entusiasmo per la rivoluzione liberale progressista e nazionalista del 1848, si era iscritto nelle file dell'esercito insurrezionale ed era arrivato a cambiare il cognome Fraenkel in Ferenczi.

Proprietario di una libreria ed in seguito editore, ispirò un ambiente famigliare aperto, dove, accanto all'impegno politico, si viveva tra i libri e la musica. Fu così che il giovane Sándor potè respirare un'aria di libertà nuova, imparare a spaziare, scrivere poesie alla maniera di Heine e, ancora studente liceale, dedicarsi a esperimenti di ipnosi. Studiò medicina a Vienna e, a differenza di Freud, ebbe una formazione psichiatrica, fra l'altro presso la celebre clinica Burghölzli di E. Bleuler a Zurigo. Alla fine si fermò a Budapest; lavorò dapprima come medico esterno in un servizio per prostitute e più tardi come neurologo e psichiatra.

Dell'intellighentia magiara, e di quella ebrea in particolare, Sándor sarà un esponente tipico; vivrà pienamente quello "spirito di Budapest", caratterizzato da un cosmopolitismo che, accanto al filosofo György Lukács, a musicisti come Béla Bartók e Zoltán Kodály, darà la narrativa e la saggistica di Artur Koestler, le commedie di Ferenc Molnar, le ricerche sui miti di Károly Kerényi. Fu in quella Budapest che si formarono psicoanalisti come Spitz, Roheim, Rado, Rapaport, per non parlare dei Balint e di Imre Hermann. Eppure Ferenczi, per quanto avesse speso grandi energie e attenzione sui problemi di tecnica, non si può dire che nel complesso avesse attratto molti allievi dall'estero. Analizzò sì Ernest Jones (che, vedremo, diventerà, assieme a Karl Abraham, il suo più influente oppositore) e Clara Thompson, ma nessun paragone è possibile con Karl Abraham, per esempio, che, benché sia morto giovane, formò un vero stuolo di analisti, inclusa Melanie Klein, che con Ferenczi aveva avuto una prima esperienza analitica negativa.

Nel periodo però in cui Freud più che mai venne preso dal progetto di consegnare alla Storia un modello scientifico puro della psicoanalisi, Ferenczi divenne una sorta di paradiso per i casi considerati "inanalizzabili" o senza speranza.

 

Che Ferenczi fosse il tipico osservatore acuto, il cui valore si palesa in un lungo arco di tempo, doveva essere chiaro anche a Freud. "Io sono… conosciuto come uno spirito inquieto…. Le tesi che ho proposto… sono severamente criticate da una maggioranza rispettabile… Freud non ha avuto peli sulla lingua. Ma ha anche aggiunto che l'avvenire potrà in certe cose darmi ragione", così Ferenczi scriveva di se stesso e delle proprie intuizioni cliniche. L'avvenire diede ampiamente ragione alla frase di Freud, o, per meglio dire, …diede ragione a Ferenczi contro Freud e altri pionieri.

Lo spirito inquieto di Sándor può essere colto attraverso due facce: da un lato mostra capacità critica e notevole coraggio innovativo, nei confronti di una personalità forte come era Freud, al quale si erano pure allineate menti di primissimo ordine. L'aria di libertà in cui Sándor era cresciuto, e forse anche la sua impulsività ungherese, come la chiamava lo storico Paul Roazen, lo ritenevano incline alla sperimentazione di nuove tecniche che migliorassero quelle "classiche". Mirava ad una "elasticità" e ad una "rilassatezza", assenti nelle più austere raccomandazioni di Freud, il quale Freud, trepidante e scettico nei confronti dei suoi allievi, predicava in un modo, ma poi si comportava diversamente. Dall'altro lato Ferenczi sembra mostrare anche una certa ingenuità seduttiva, che non gli fece cogliere le situazioni nelle quali camminava sulle sabbie mobili o si trascinava dietro persone inesperte e incapaci di un giudizio valido. Soprattutto negli Stati Uniti, dove aveva dato un ciclo di conferenze nell'inverno del 1926-27, a favore delle sue innovazioni catalizzò difese appassionate quanto acritiche da parte di non pochi, dal famoso Erich Fromm alla meno nota Izette de Forest, autrice però, verso la metà degli anni sessanta, di un libro dal titolo esplicito Il lievito dell'amore (The Leaven of Love), che ebbe un certo successo.

Le intuizioni sulle quali la psicoanalisi successiva gli diede ampiamente ragione, comunque, sono tutte importanti e non hanno a che fare unicamente con la tecnica, come affermò Freud nel necrologio che scrisse alla sua morte. Mentre Freud lavora ancora intorno ai temi dell'edipo e al conflitto con la figura paterna, Ferenczi, per esempio, porta la sua attenzione su ciò che non è verbale, sull'utilità del regredire in analisi e sulle reazioni dell'analista al paziente (il controtransfert). Riesce a rendersi conto che certi pazienti, che da bambini non avevano avuto "cure sufficienti" (come il "bambino saggio" che aveva scoperto in se stesso), potevano sviluppare una forte autodistruttività e risultare, dal punto di vista tecnico, incapaci di osservare la regola di base prescritta da Freud, le famose libere associazioni. Per difendersi dai traumi subìti, questo tipo di paziente può scindere e frammentare la propria personalità, mostrando forme di patologia che si imparentano con la schizofrenia. Ciò che queste persone più di tutto temono è di essere abbandonati; contro questo pericolo si difendono in diversi modi: si rinchiudono in se stessi, si arrendono apparentemente agli altri, anche se inconsciamente fantasticano di divorare il proprio aggressore. Pazienti come il "bambino saggio" strutturano, crescendo, una falsa personalità, un modo di comportarsi e di adattarsi non genuino.

Ritroveremo queste geniali intuizioni di Ferenczi e altre ancora, a proposito di pazienti che oggi vengono definiti "stati limite" (border-line), negli scritti dei maggiori psicoanalisti della seconda metà del secolo, tra l'altro in Melanie Klein, W. Bion e D. Winnicott. Per quanto concerne quest'ultimo, dobbiamo aggiungere che risale a Ferenczi pure la formulazione dell'oggetto transizionale, quel fenomeno che Winnicott studiò a fondo e la "copertina di Linus" rese celebre.

Le imitazioni presenti nella tecnica analitica, soprattutto in quella che precedette la revisione che Freud fece della sua teoria nel 1923, spinsero Ferenczi ad una serie di esperimenti che passarono poi sotto il nome di "tecnica attiva". Queste ricerche confluirono nel 1924 in una più ampia monografia scritta con Otto Rank.

Tra le discusse modificazioni tecniche che Ferenczi riteneva necessarie per questi pazienti, va ricordata l'idea che dovessero essere analizzati come Anna Freud curava i bambini, verso la fine degli anni venti. Ferenczi chiedeva sforzi attivi (ai fobici, per esempio, di affrontare i luoghi temuti, come aveva suggerito lo stesso Freud), e concedeva gratificazioni prima di introdurre con cautela le privazioni. Mirava "a creare un'atmosfera di fiducia per garantire la più piena libertà agli affetti". Interessante (perché ripreso in seguito in psicoterapie analitiche e con straordinari risultati) il fatto che talvolta, con tecniche simili a quelle dell'attuale psicodramma, faceva ritornare alla coscienza dei pazienti avvenimenti ed emozioni che poi elaborava ed interpretava. Ma soprattutto riteneva che i suoi pazienti avessero bisogno di tenerezza e non di gratificazione erotica.

Dove, stando a quanto se ne sa ora, Ferenczi non si mostrò preveggente, fu nel proporre l'analisi mutua tra analista e paziente. L'idea l'aveva elaborata con il suo vecchio amico Groddek.

Una certa paziente gli era antipatica e, per reazione, Ferenczi si era sforzato di andare incontro a tutti i suoi desideri, attraverso la sua tecnica (che ben si prestava) basata appunto sull'indulgenza e l'elasticità. La paziente arriva alla conclusione che l'analista è innamorato di lei e pensa d'aver trovato l'"amante ideale". Ferenczi fa allora marcia indietro e, dopo qualche esitazione, confessa i suoi sentimenti negativi, che collega apertamente al rapporto negativo che egli stesso aveva avuto con la propria madre. L'unica considerazione che oggi si potrebbe ragionevolmente fare a proposito di un comportamento del genere in psicoanalisi, è che Ferenczi era stato analizzato solo superficialmente (come tutti a quei tempi) e quindi, anziché saper accogliere ed elaborare dentro di sè i conflitti che la paziente gli portava, le metteva dentro quelli che lui stesso non aveva risolto.

Il "bambino saggio" che era in lui non gli permetteva di sviluppare una qualità che in futuro si sarebbe rivelata di notevole valore: la capacità di contenere e "sciogliere" la patologia del paziente, senza restituirgli la propria.

 

Nel 1957, due anni dopo la pubblicazione della sua celebre biografia di Freud, il suo vecchio allievo Ernest Jones, uscì contro Ferenczi con un "attacco violento", come lo definì M. Balint, che, dalle due famiglie, Freud e Ferenczi, aveva avuto l'incarico di curare e pubblicare l'epistolario. Ogni lettera che i due si scrissero era nota a Jones e quindi, commentava Balint, "…non potevo comprendere come avesse potuto trascurare le prove che questa [corrispondenza] conteneva". Secondo lui, con la pubblicazione dell'attacco di Jones, ha inizio "un diluvio di pubblicazioni acrimoniose". La Corrispondenza con Freud, quella con Groddeck e ilDiario clinico non potevano venir pubblicati in un clima di questo genere.

In un capitolo della sua biografia freudiana, Jones, facendo abilmente parlare vari personaggi come Eitingon e lo stesso Freud, ritrae Ferenczi con forti caratteristiche paranoidi. Balint ha dimostrato che erano calunnie e che Jones aveva arbitrariamente retrodatato i disturbi psichici insorti in Sándor, negli ultimi anni della sua esistenza, come conseguenza di una anemia perniciosa; era quindi malevola l'insinuazione che Ferenczi avesse sofferto di stati psicotici cronici, in altre parole che fosse sempre stato matto. Non che Ferenczi non fosse affetto da una grave nevrosi (la sua ipocondria è riconosciuta), ma cercare di spiegare le dinamiche della sua dissidenza da Freud unicamente facendo ricorso ai suoi conflitti psichici, al suo "transfert irrisolto", come faceva ancora Béla Grünberger agli inizi degli anni ottanta, significa disconoscere la sua grande capacità innovativa. Del resto Ferenczi era ben conscio della sua psicopatologia e vi attingeva; nel Diario clinico afferma che le sue proposte più radicali erano nate dall'osservazione degli aspetti conflittuali più arcaici del suo carattere, che ironicamente chiamò "the wise baby", il bambino saggio.

Questo più o meno il campo di battaglia: le Lettere che ora escono sono commenti di retrovia, ma anche finestre, mi si conceda la metafora, che permettono di guardare in maniera diretta in una fucina "titanica" dove, tra il disordine creato da inesperienza, da tentativi ed errori anche gravi, venivano intuiti frammenti di teorie e forgiati strumenti tecnici mai osati prima. Si capisce subito che queste lettere non erano destinate alla pubblicazione perché sono spontanee, a tal punto da far sentire il lettore indiscreto. Cosa scopriamo di nuovo in questo primo volume (degli altri parleremo in futuro) che non si sapesse già? Gli argomenti trattati nella corrispondenza sono comunque straordinari e man mano toccano problemi centrali della psicoanalisi, questioni connesse all'organizzazione dell'Associazione freudiana, commenti sui rispettivi scritti prima della pubblicazione e sulle idee degli altri pionieri. A proposito del pastore Pfister, scrive Ferenczi: "…la concezione psicoanalitica, portata fino in fondo, farà piazza pulita della teologia. Se ne accorgerà!". Il tutto in mezzo a lamentele per la forzata rinuncia alla doccia, a note su statuine Capo di Monte a buon prezzo. Ferenczi abbonda di considerazioni acute e inattese che obbligano a riflettere, come: "Vorrei attirare la sua attenzione sull'…importanza sociologica delle nostre analisi nel senso che … noi riveliamo le condizioni reali dei diversi strati sociali, senza la maschera dell'ipocrisia… così come si rispecchiano nell'individuo" (22 marzo 1910). Sándor emana una freschezza un po' naïve, una "giovinezza" direbbe Nietzsche, che accompagna il suo entusiasmo per le nuove scoperte. Questo Freud intimo si rivela, invece, attento e acuto, ma a tratti distaccato e autoritario. Nell'ultima lettera del novembre 1911, troviamo, per esempio: "Il dr. Spitz ha voluto un po' fare il grand'uomo ed è stato punito con la sottrazione di tre sedute, dopo di ché sembra prendere le cose più seriamente".

Ma ci sono anche vicende personali, più o meno fondamentali e determinanti, che escono allo scoperto in maniera straordinariamente cruda: incontriamo così gli echi della vicenda con Karl Kraus e – per complicazione all'altro estremo – ilpasticciaccio del quadrato (più che triangolo) Sigmund Freud, Sándor Ferenczi, Gizella Altschul, in seguito moglie di Ferenczi, ed Elma Palós, figlia maggiore di quest'ultima, nata dal primo matrimonio.

Mi ero sempre chiesto perché un artista completo e versatile come Karl Kraus ce l'avesse tanto con gli psicoanalisti. Nella lettera del 13 febbraio 1910, Freud si lamenta così: "Incombe sulla psicoanalisi un brutto attacco da parte della "Fackel" a causa della conferenza di Wittels sulla "nevrosi della Fackel". Lei conosce bene la smisurata vanità e irruenza di quell'animale ricco di talento, di K. [arl] K. [raus]. Io ho dato la parola d'ordine di astenersi assolutamente da qualsiasi reazione, supereremo anche questo, ma la popolarità negativa che procura la Fackel è quasi altrettanto sgradevole di quella positiva". Kraus a 25 anni aveva fondato la rivistaDie Fackel, che ebbe enorme importanza sulla scena intellettuale austriaca. Inizialmente Freud stimava molto Kraus e usò la Fackelcome tribuna dalla quale esprimere alcune sue posizioni. Addirittura scrisse a Karl nel 1906: "Noi che siamo pochi…dobbiamo restare uniti". Già nel 1908 Kraus aveva iniziato a criticare la psicoanalisi sulla Fackel e, dopo la conferenza di Wittels, la polemica si fece più accesa. In seguito Kraus sarebbe sceso considerevolmente nella stima di Freud. Quello che Freud non dice e che noi invece dobbiamo aggiungere, è che il povero Kraus aveva alle spalle un'esperienza traumatica: un'analisi selvaggia condotta proprio da quel Fritz Wittels che ora scriveva (chissà con quale clava, rispetto al fioretto di Kraus) contro la Fackel. Imperizia, dunque, totale mancanza di riservatezza e idealizzazione delle possibilità della neonata scienza: tre aspetti che ci conducono al quadrato che ho ricordato prima.

Nel 1911 Sándor, amico e amante di Gizella Palós, ne prende in analisi la figlia Elma. Molto rapidamente se ne innamora: "Si è insediata vittoriosamente nel mio cuore", confessa. A Freud, il 3 dicembre 1911, scrive: "la mia situazione è allo stesso tempo alleggerita e aggravata dall'atteggiamento della signora G.(izella) verso di me – incomparabilmente gentile, costantemente amichevole e affettuosa – che è al corrente di tutto"; Sándor chiede a Freud di prendere Elma in analisi – tra l'altro per sapere se lei condivideva i suoi sentimenti; Freud con riluttanza acconsente, ma il 17 dicembre scrive (in segreto) proprio a Gizella. E' una lettera straordinaria e agghiacciante che (più dei commenti di Blanton o di Ruitembeek che lo ritenevano persino pettegolo) rivela fino a che punto, in quegli anni, Freud pensasse che fosse lecito e opportuno intervenire nella vita dei propri "analizzati", citando le proprie teorie e abbandonandosi a fredde divagazioni: "Diversamente sarebbero andate le cose se la figlia si fosse innamorata segretamente dell'amico giovanile della madre…. Sarebbe nato un bel romanzo…" (invece è Sándor, quasi quarantenne, a innamorarsi di Elma!). La lettera appare in questa corrispondenza. Nel frattempo uno dei corteggiatori di Elma si era ucciso. Il progetto di matrimonio fra Sándor ed Elma fallì, Ferenczi accusò Freud di esserne responsabile. Elma tornerà in analisi da Ferenczi.

E' in questo clima che avviene la "psicoanalisi" di Elma, finché Freud, nella Pasqua del 1912, mette fine a Vienna alla terapia, perché ritiene che Elma abbia raggiunto ciò che chiama il substrato narcisistico. (Lettera di Freud del 13 marzo 1912): "Ora non recita più la parte della brava paziente, non recita più per niente". Dall'intera lettera traspare che Freud si libera di Elma proprio quando il transfert negativo di lei (quella tal cosa che Freud più tardi confesserà di non gradire) sta per palesarsi.

Scandalo? Forse, per lo sguardo morboso; ma anche seri motivi a disposizione dello specialista e dello storico per abbandonare definitivamente ogni residuo del mito e cogliere difficoltà ed errori entro i quali nasceva la psicoanalisi. Tanto più che la cronaca ci ricorda impietosamente, dalle pagine dei giornali, che ancor oggi questi pasticciacci continuano a riprodursi. Dentro la nevrosi, che Freud si illudeva d'aver scoperto, c'erano tensioni ben più dirompenti, cui solo in seguito sarebbe stato possibile accedere; Ferenczi ne intravide gli abissi. Nel 1937, verso la fine della sua vita, in Analisi terminabile e interminabile, dopo aver paragonato se stesso a W. C. Roentgen, lo scopritore dei raggi X che, se usati incautamente, anziché aiutare possono nuocere al medico e al paziente, Freud si ricordava di Anatole France: "Può darsi che fatti come questi diano ragione alle parole di un poeta che ci ha rammentato come difficilmente gli uomini non abusino del potere che è stato loro concesso".

 

* Per gentile concessione de L'Indice dei Libri del Mese, Torino, X, 4, 1993. Dall'edizione on line de "ILVASO DI PANDORA"

** Freud S. E Ferenczi S., Lettere. Volume Primo 1908-1914, Raffaello Cortina Editore, Milano 1993, direzione scientifica di André Haynal, ediz. ital. a cura di A.A.Semi, traduzione di Silvia Stefani, p. 636.

 

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