Sul narcisismo si dice tutto e il contrario di tutto. Parola inflazionata sia nella clinica, sia nel linguaggio ordinario. C’è chi afferma che siamo in una epoca post-narcisistica, c’è chi afferma invece che questa epoca è all’insegna di un narcisismo patologico. È possibile eliminare la tendenza narcisistica insita nell’essere umano? La risposta della neuropsicologia consiste nell’applicare tecniche di dislocamento visivo per de-condizionare l’Io ad affezionarsi a ciò che esso vede come solo piacevole e bello. Tutto converge e viene misurato sul comportamento dell’essere umano, comportamento simile all’egoismo, oppure il narcisismo viene paragonato a una eccessiva autostima. Insomma il narcisismo indica, in ogni caso, un eccesso di considerazione personale che escluderebbe di fatto l’altro da un’effettiva comunicazione, escluderebbe cioè una “vera” e “autentica” relazione con l’altro salvo utilizzarlo per confermare la superbia dell’Io del soggetto. Perché allora un narcisista dovrebbe iniziare un percorso psicanalitico o/e terapeutico se ama sé stesso e si stima? Una risposta potrebbe essere che il Narcisismo e dunque un essere umano narcisista esibisce solo apparenze formali e superficiali nella comunicazione e non contenuti significativi nelle azioni sociali pubbliche e private. Un ragionamento ben argomentato da un punto di vista logico e sintatticamente corretto non lascia spazio a repliche o a contraddittori perché si fonda sulla certezza dell’Io-penso che coincide con l’esistere di colui che pensa: ebbene in questo caso ciò che viene esibito è la forma che corrisponde alla sostanza del concetto di cui il soggetto parla e il soggetto in questo caso si sottrae sempre a ciò che dice perché esibisce solo verità legate a ciò che vede, e dato che vede sempre sé stesso riflesso nell’altro o nelle cose dette, allora ciò che comunica è lo stile seducente che affascina l’ascoltatore anche dicendo cose ovvie o scontate, già sentite, ma questa volta la differenza è che “l’ha dette lui allora bisogna crederci che siano vere” e non solo apparenze legate alla forma. In sostanza il contenuto delle azioni e dei pensieri comunicati all’altro è annullato dall’abbaglio estetico. In tutti i casi in cui è rilevabile un atteggiamento narcisistico c’è qualcosa di comune, vale a dire c’è il predominio dell’estetica, il predominio dell’immagine di sé come ciò che fa vedere, che si dà a vedere, il suo stile estetico e dunque la bella forma, vissuta e pensata come tale, si mostra in modo lineare e non fa una piega. E ciò che non fa una piega è rassicurante ma è morto, immobile come uno stagno, perché tutto ciò che rassicura è connotato e attraversato da uno specchio-patina, che avvolge l’intero discorso, su cui è inciso il marchio di fabbrica dell’autore. E ciò eccede la sostanza del discorso, e ciò che eccede è sempre regolato dal timbro di Narciso che non rimanda al narcisismo ma al Mito di Narciso. Ma che cosa è che si impone nel discorso come legame con il Mito di Narciso? Ciò che s’impone è l’esigenza forzata di comunicare affinché chi ascolta il discorso abbia la certezza di averlo finalmente capito ed è soddisfatto di ciò e non va più oltre. Pertanto ciò che è lineare come nel Mito di Narciso corrisponde a questa equazione: la comunicazione sta alla comprensione come la soddisfazione (di averlo capito) sta alla estetica del discorso (alla bellezza immaginaria di un discorso che si è fatto capire). Non c’è finalmente nessun mistero e non c’è nessun resto da capire e dunque posso dormire sonni tranquilli. Ed è questo il rassicurante e il Narcisismo corrisponde a ciò che è riuscito, in questo caso, a produrre rassicurazione nell’altro e Narciso è colui che si specchia in questo protagonismo della rassicurazione. E c’è il rispecchiamento cosciente del narciso di turno, cioè di aver prodotto e favorito tale equazione. A lungo andare questa rassicurazione e comprensione genera un’abitudine e assuefazione che diventa sostanza corporea di massa e il Mito di Narciso viene idealizzato per la povertà del contenuto.
Da qui e dall’assuefazione generalizzata a questo Mito si impone la sua ombra lucente sul resto del mondo che consiste nel riflettere sulle cose la propria immagine splendente e seducente e ciò che si riflette porta con sé la parte che non si riflette ma si incorpora con il corpo dell’altro, appunto il contagio dell’assuefazione alla rassicurazione e comprensione. Ne consegue un dominio e un potere dell’immagine e della forma anche sull’oggetto la cui forma riflette la capacità e la forza immaginaria dell’Io del soggetto di imprimere il proprio marchio sullo stesso oggetto da esibire e offrire allo sguardo dell’altro; il potere dell’immagine si consolida così completando tale operazione di assuefazione, facendo propria la componente del linguaggio al servizio dell’estetica con la forza di una parola attraente, piena di seduzioni e suggestioni immaginarie che riconducono sempre all’Io della persona che si pone al centro della stessa azione o al centro dello stesso discorso. Insomma il narcisista, derivante dal Mito di Narciso, ciò a cui tiene sopra ogni cosa è far prevalere sulla ragione e sulla riflessione, un pensiero autoriflettente che sia fondamento di una visione del mondo psicologica estetico-formale che Jaspers chiama “atteggiamento estetico”. Ora, un atteggiamento è fondato su un’attitudine dell’Io che si dispone nei confronti del mondo e pertanto da questo punto di vista il Mito di Narciso è la simbologia figurata di questo atteggiamento estetico, è la rappresentazione lineare di una conseguenza determinata dal potere del destino che non lascia scampo a Narciso in quanto, prima Madre Natura e poi la vendetta di Nemesi, spingono Narciso a essere lo zimbello del desiderio dell’Altro materno. Questa condizione che si estrae dal Mito di Narciso ci indica due aspetti che sono complementari e articolati e soprattutto spostano l’attenzione sul Narcisismo come fase distinta dal Mito. Il primo lo sottolinea Lacan a proposito di ciò che costituisce “Lo Stadio dello specchio”: “l’Io umano si costituisce sul fondamento della relazione immaginaria”(Sem. I pag. 138) che appunto si forma nei primi anni di vita e che comprende tre fasi, mentre il secondo aspetto colloca la relazione immaginaria dell’Io all’interno della struttura del soggetto raddoppiata dalla complessità e dalla portata del registro simbolico produttore di senso, del senso della vita e del senso di morte. Questo raddoppiamento simbolico del lato immaginario, corrisponde alla struttura dell’inconscio come discorso dell’Altro che è l’insieme dei suoi significanti e della sua parola a cui il soggetto si appende e si identifica per essere: “il narcisismo primario non può essere concepito come uno discorso che è stato, ma come una struttura. La maggior parte degli autori non solo lo tratta come uno stato, ma non ne parla che come un narcisismo di vita passando sotto silenzio – il silenzio stesso che lo abita – il narcisismo di morte presente sotto forma di abolizione delle tensioni fino al livello zero. (André Green, Narcisismo di vita, narcisismo di morte, Borla, 1985, pag159)
Questa struttura complessa è dunque costituita dall’inclusione della relazione immaginaria speculare dell’Io, formatasi con lo Stadio dello specchio, e dalla risposta del soggetto al dominio dell’umore e dell’amore esercitato dall’Altro materno e presente nella dialettica (nel suo desiderio) con l’infans all’epoca dell’incontro tra il bambino e la madre. Se nell’amore dell’Altro materno il bambino rimane oggetto del suo atteggiamento estetico, ovvero del suo desiderio di perfezione legato alla bellezza della forma corporea del figlio che permea tutto il Mito di Narciso, allora questo atteggiamento materno va a coincidere con il narcisismo di morte che il bambino incontrerà nello sguardo della madre nel primo tempo edipico perché in questo modo gli impedisce di accedere allo sviluppo simbolico come soggetto di parola. E se questo atteggiamento dell’Altro materno rimarrà l’unico che il soggetto erediterà nei confronti del mondo e della vita, allora in questo caso andrà a corrispondere al Mito di completezza e di perfezione formale e quindi da ciò emerge come il punto di vista della madre, cioè la sua visione della vita determina quella del figlio: “In altri termini è la relazione simbolica a definire la posizione del soggetto in quanto vedente” (J. Lacan Sem. I, pag. 167) In questa relazione simbolica il bambino, come soggetto, vedrà ciò che l’Altro materno desidera che esso veda e in questo caso farà dell’estetica del bambino, in cui è preso come as-soggettato a madre natura, l’oggetto che soddisferà il desiderio della madre e così ci saranno le condizioni affinché l’Io ideale che il bambino svilupperà coincida con l’Ideale dell’Io corrispondente al Mito di completezza estetica o Mito di Narciso: questa posizione estrema, come del resto tutte le posizioni estreme, è sicuramente patologica come si potrà constatare dagli effetti clinici nella psicosi-melanconica del futuro adulto a partire dall’adolescenza dove, in questo caso, la complessità del simbolico andrà a coincidere con la superficie formale dell’immaginario.
Ciò avviene perché la condizione estetica di Narciso e del suo Io, in questo caso, sono privi di qualsiasi tensione o spinta verso la costruzione di alternative vitali perché Narciso, come soggetto, non si libera dall’imperium (comando) della Madre (Natura e Nemesi) che decreta (desidera) l’immobilità mortifera di Narciso, fissandolo così nel rispecchiamento dell’immagine della sua bellezza che si riflette, come nel Mito, nel lago, o occhio permanente, riducendolo così al silenzio pulsionale (il livello zero) e facendo dell’eco delle parole della Ninfa Eco, il suono di questo silenzio che invade il corpo del soggetto.
Lacan, nell’ultima parte del suo insegnamento, ha utilizzato la topologia per rappresentare la struttura del soggetto in dialettica con l’Altro e al centro di questa dialettica ha messo il corpo come luogo e sviluppo di un vuoto che gira intorno al soggetto stesso. È possibile utilizzare la topologia per disegnare la struttura del corpo come un tamburo fatto a tronco di cono, con una base circolare vuota dalla quale partono gli echi dei suoni variabili dell’imperium dell’Altro materno distribuiti in circuiti ellissoidali a sinistra e a destra sulla superficie del tamburo-corpo dell’infans. Mentre a sinistra si distribuiscono gli effetti dell’eco del suono della voce dell’Altro materno come per esempio la voce che trasmette il tono dell’umore della madre che investe il soggetto e segna il suo carattere, a destra tali echi si faranno sentire, nella permanenza e nella continuità di ciò che progressivamente si fa senso nella vita del soggetto all’interno e durante la relazione simbolica del linguaggio che serve a dare appunto senso anche al suono e agli echi primari della voce dell’Altro materno (come per esempio si può constatare nella psicosomatica).
Allora, a mio parere, serve distinguere Narciso e il suo mito dal Narcisismo primario, perché il primo è un’eccedenza di un atteggiamento estetico imposto dall’Altro materno che porta alla morte della parola del soggetto e al trionfo dell’Io Ideale-immaginario che intrappola lo stesso soggetto nella sua immagine senza che possa uscirne vivo, mentre il Narcisismo corrisponde allo sviluppo della terza fase dello “Stadio dello specchio” che Lacan presentò nel 1936 al Congresso psichiatrico di Bonneval. Terza fase che ha altri esiti rispetto al Mito di Narciso legato all’eccedenza della bellezza. Infatti in questa terza fase l’infans riconosce allo specchio sé stesso e giubila e non perché risponde alla bellezza della sua forma ma, perché questa immagine speculare, che costituisce l’Io dell’infans, corrisponde piuttosto al suo essere.
Ed è da questa posizione che l’infans incontra in modo tensorio lo sguardo e la voce della madre che esercita il dominio sull’essere dell’infans, come presupposto del senso della vita e della esistenza del bambino stesso. In quest’incontro l’infans mostra il desiderio di essere visto dalla madre come essere vivente: siamo nella prima fase edipica ovvero nella fase in cui il riconoscimento serve a sancire il senso di appartenenza del figlio come legame al desiderio dell’Altro materno. Questo senso di appartenenza, che avviene attraverso il riconoscimento in questo narcisismo primario speculare che l’infans ha sperimentato allo specchio, può essere messo in crisi se invece la Madre non riconosce questo suo desiderio di riconoscimento, ma riconosce solo il suo desiderio di madre come generatrice di vita, allora essa spinge l’infans in qualche modo, verso un narcisismo di morte, un luogo oscuro, che assume un valore sintomatico. Teniamo presente che il termine ‘crisi’ è rappresentabile proprio come uno specchio incrinato, rotto e fratturato che riflette un’immagine dell’infans non uniforme ed esteticamente bella ma frammentaria. La bellezza del bambino che la madre in questo caso non vede non ha nessun valore estetico oggettivo, ma la bellezza è legata al valore che essa conferisce al sorriso e al giubilo del bambino nel riconoscersi come soggetto e ciò avviene proprio attraverso come la madre vede il bambino. Se in questa fase del Narcisismo primario, la Madre rifiuta questa sua gioia è perché, al di là dell’estetica, lo vede incrinato, rotto come lo specchio, ma in realtà la madre vede il bambino in questo modo perché vede la propria crisi interiore riflessa nella gioia del bambino e nel suo desiderio di essere riconosciuto come soggetto esistente a prescindere da lei. Oppure la Madre nella fase del Narcisismo primario, sovrappone l’estetica del bambino al Mito di Narciso e in questo modo si appoggia alla bellezza del bambino per sottovalutare il giubilo del bambino per essersi riconosciuto volendo essere riconosciuto anche dalla madre.
Il Narcisismo Dello Stadio dello specchio può diventare una patologia, dunque, solo per l’intervento dell’Altro materno che può favorire la costruzione del sintomo del soggetto e del suo sviluppo sovrapponendo il suo fantasma al desiderio del bambino, invece, non c’è sintomo se si considera l’incontro con la madre una necessità strutturale del soggetto che non può fare altro che alienarsi nel desiderio d’essere riconosciuto dalla madre stessa per sancire la sua esistenza di soggetto.
Il Mito di Narciso, dunque, indica una particolare soggettivazione di un’inclusione del bambino come oggetto del desiderio dell’Altro materno (Natura e Nemesi) che mostra agli uomini una perfezione da esibire senza che Narciso stesso sappia di tutto ciò che gli succede intorno dal momento che non ha potuto vedere direttamente in uno specchio la sua bellezza. Narciso, infatti, ci dice il Mito, si guarda ma non si vede come accade nella seconda fase dello specchio. Solo nella terza fase, ci ricorda Lacan, le cose cambiano perché il bambino riconosce sé stesso e giubila e a questo punto il suo desiderio è quello di desiderare di essere riconosciuto dalla madre. Questa dipendenza iniziale segnerà nel bene o nel male il destino del bambino, segnerà il suo umore e la sua posizione nel mondo e deciderà anche delle sorti e dell’inclinazione del narcisismo del bambino che in questo caso si può tradurre come il marchio per un’estetica delle cose a partire dalla centralità della immagine del corpo.
Un esempio clinico tratto dalla mia esperienza professionale, chiarisce che cosa è accaduto nella età adulta, a un ragazzo, che chiamerò Angelo, che per la madre era stato il suo Narciso in quanto da bambino era considerato da tutti “bello come il sole”, così mi disse in una seduta la madre che si è sempre compiaciuta per la bellezza incomparabile del figlio tanto che “i passanti si giravano a guardarlo e poi esclamavano ma è bellissimo, sembra un angelo”. Nella tarda adolescenza, alla fine delle scuole superiori, questo ragazzo si è progressivamente “ritirato” dal mondo, infatti ha lasciato gli studi universitari che aveva deciso di intraprendere, si è chiuso in casa lontano dalle amicizie. Ed è proprio per questo comportamento estremo che la madre mi ha consultato, provata dal dolore e dal senso di colpa perché supponeva di aver avuto delle responsabilità rispetto alla personalità del figlio ma al tempo stesso voleva da me anche delle risposte su una possibile sua salvezza.
Che cosa ci dice questa chiusura sintomatica di tipo melanconico?
Ci mostra come è proprio l’inclinazione dell’immagine reale, che la madre ha avuto del figlio da bambino, ovvero ci mostra come è stato lo sguardo materno a determinare l’immagine che Angelo ha fissato su di sé come essere nel mondo: quella di Narciso chiuso nella sua bellezza, e ciò che si è fissato allora ci dice anche, a posteriori, del suo futuro anteriore ovvero di ciò che sarà stato. La madre, quando mi consultò, era preoccupata per il suo giovane figlio, entrato da poco nella fase della maturità, appena finito il liceo, perché mostrava una sorta di regressione immaginaria all’età infantile dove veniva, come sappiamo, esaltato e incensato per la sua bellezza. Questa forma di regressione immaginaria si dimostrò invece essere una sorta di svelamento della melanconia strutturale del soggetto. E di fronte alle continue esclamazioni apparentemente senza conseguenze a quel tempo, la madre, così mi racconta lei stessa in una seduta piena di dolore, si sentiva “piena e soddisfatta di sé” per quel figlio così bello e quel complimento costante da parte delle persone, lo sentiva come se fosse rivolto a lei come se il figlio fosse il suo prolungamento immaginario e speculare: “in fondo questo figlio l’ho fatto io.” si ripeteva felice e soddisfatta durante l’infanzia del figlio. Ed è questo suo antico pensiero, alla luce dello stato attuale, che la fa sentire in colpa, ma non sa fino a che punto possa essere ritenuta l’unica responsabile della chiusura al mondo di suo figlio.
Angelo incarnava perfettamente il Mito di Narciso fondato sulla bellezza estetica, fondato sul bagliore angelico di una luce splendente senza che lui avesse alcun merito, perché è stato un dono di Madre Natura, ed è per questo motivo che il narcisismo del figlio sta presso la madre, perché è lei, come si evince nelle sue parole dal racconto sull’infanzia del figlio, a essere consapevole, orgogliosa e totalmente catturata dall’immagine della bellezza del figlio che si riflette negli sguardi degli altri. Angelo in questo caso, nella seconda fase edipica, ha risposto al desiderio materno di perfezione estetica, utilizzando senza saperlo, il mito di Narciso, con la stessa funzione che ha per il bambino il padre immaginario, in quanto può castrare o può garantire, come in questo nostro caso, alla madre ciò che essa non ha ovvero il fallo immaginario a cui Angelo stesso si è identificato per colmare l’insoddisfazione della madre e in questo caso identificandosi in modo permanente. Pertanto il figlio rimarrà catturato in questa identificazione e non se ne distaccherà più assumendo così una posizione definitiva e strutturale dove il simbolico dell’Altro coinciderà con l’immaginario del bambino stesso ovvero di essere l’oggetto fallico della madre sia nei discorsi della madre sia negli atteggiamenti del figlio adulto.
La radicalizzazione dell’atteggiamento estetico all’interno della posizione simbolica della dialettica madre-figlio oltre alla sintomatologia melanconica, è anche il fondamento della clinica delle perversioni moderne dove, per la posizione simbolica denegata del padre (negazione della castrazione), l’oggetto feticcio trova una sua collocazione estesa nel discorso dei valori sociali, trova una sua estetica esaltazione della forma che prende il posto della sostanza delle stesse cose corrispondendo così all’oggetto-feticcio della merce o meglio ancora alla merce elevata a feticcio cioè a oggetto del godimento elevato, come nell’Etica della psicoanalisi, alla dignità della Cosa.
2) Il narcisismo e il corpo
Si arriva ad altre conclusioni sul Narcisismo se partiamo da Freud con la sua opera del 1914, Introduzione al Narcisismo. Perché la questione del Narcisismo e del Mito di Narciso ci porta dal lato del corpo e dell’investimento pulsionale. Ma in che modo il corpo diventa centrale nel narcisismo?
Diventa centrale perché intanto ci dice che cosa non è il corpo per la psicoanalisi, il corpo non è il soma ovvero non è l’insieme degli organi biologici e della superficie del corpo che caratterizzano l’essere umano, in quanto all’interno del narcisismo il corpo ha a che fare con l’immagine degli organi corporei in frammenti, pertanto quando Freud parla di malattia organica e ipocondria vanno intese come manifestazioni patogene in cui la libido, dagli investimenti oggettuali verso il mondo esterno, si ritira in se stessa, nel proprio Io-corpo. Questo è dunque il narcisismo per Freud: “ovvero il malato ritira sull’Io i propri investimenti libidici e li esterna di nuovo fuori sé dopo la guarigione.” (Freud, Introduzione al Narcisismo, pag. 450). Ciò vuol dire che l’Io è corpo (io-corpo), il quale come abbiamo visto con Lacan è un’istanza immaginaria costruitasi nelle tre fasi dello Stadio dello specchio, e coordina il corpo come luogo di investimento desiderante (libido), investimento che avviene proprio attraverso l’immagine, e quando il corpo si ammala, prova dolore e poi quando guarisce, cambia l’immagine del corpo stesso che l’Io coordina in quanto lui stesso, come immagine della persona che si mostra e si vede, cambia aspetto. Insomma l’Io riacquista energia, vigore e luce insieme all’immagine del corpo che lo rappresenta.
Freud ha scelto l’ipocondria e la malattia organica proprio per sottolineare la doppia vita del soggetto in relazione al prima e al dopo il dolore reale corporeo. Freud considera il narcisismo come nucleo immaginario, nel reale corporeo, dell’ipocondria che è “la terza nevrosi attuale accanto alla nevrastenia e alla nevrosi d’angoscia” (S. Freud, Introduzione al narcisismo, pag. 453) Il narcisismo non è una patologia a sé stante, ma è trasversale alle strutture patologiche come la psicosi, la nevrosi e la perversione, così come è presente nelle altre forme di ipocondria che “concorrono invariabilmente alla configurazione delle altre nevrosi” (S. Freud, pag. 453). Se l’ipocondria corrisponde all’angoscia come riduzione del soggetto a corpo, il nucleo narcisistico corrisponde all’immagine del proprio Io di questa riduzione, è dunque l’immagine rappresentativa del proprio sentirsi.
Le nevrosi attuali sono caratterizzate da conflitti con la realtà presente senza rimandare a conflitti con il passato infantile. Le nevrosi attuali sono paragonabili a quello che oggi ha a che fare con lo stress che ingloba, anche, la stessa ipocondria, la nevrastenia e la nevrosi di angoscia, ovvero con la dispersione entropica paragonabile al concetto freudiano di ingorgo psichico dell’energia vitale che ogni soggetto utilizza in eccesso e in modo disordinato rispetto alla propria capacità di produrne. L’energia, per Freud, ha una coloritura libidico-sessuale che corrisponde all’investimento desiderante che il soggetto riesce a investire nella vita a partire dalle pulsioni corporee e l’ipocondria è il risultato doloroso che il soggetto sente sul corpo, in parti precise del corpo (stomaco, fegato, apparato digerente ecc.) dove l’energia entropica vi si fissa in un eccesso disordinato causando dolori a carico delle stesse parti del corpo.
Il risultato conduce il soggetto alla fissazione psichica sul proprio corpo, sul dolore corporeo e quindi al ritiro d’interesse per il mondo esterno. Questo ritiro genera stress perché porta il soggetto all’angoscia cioè al “sentirsi ridotti al proprio corpo” (Lacan). Non è più l’atteggiamento estetico di Narciso rispetto alla rappresentazione del mondo esterno e nemmeno un rappresentarsi al centro dell’ammirazione dell’altro ma riguarda l’esperienza clinica nel constatare ciò che Lacan chiamerà, a partire dagli anni ‘60, godimento ricavato dal soggetto nello stare addolorato e ridotto al proprio corpo. Questa posizione soggettiva rispetto al godimento corrisponde nella clinica al nucleo ipocondriaco nella melanconia che si differenzia dall’ipocondria nelle nevrosi attuali o stress per il rapporto psicotico del soggetto con il mondo.
Lacan sottolinea invece che la doppia vita del soggetto esiste in realtà ma all’interno di un unico narcisismo che si elabora e si sviluppa da quello primario dove l’infans, cioè colui che ancora non parla, incontra l’Altro materno dopo essersi riconosciuto allo specchio e tutto ciò all’insegna della normale evoluzione della struttura del soggetto che può orientarsi in diverse direzioni cliniche.
Il narcisismo dell’infans che si riconosce allo specchio e giubila è connesso all’umore materno nell’incontro con il figlio e il corpo, che come ho già specificato, non corrisponde al soma, è quella struttura complessa che accoglie gli echi dell’umore materno e li fa risuonare all’interno del luogo corporeo.
Anche il narcisismo di vita e il narcisismo di morte, di cui tratta Green, sono due aspetti operativi che indicano un unico narcisismo contrapposti nel destino della libido del soggetto .Un unico narcisismo che parte come primario, all’interno della dialettica tra il soggetto e l’Altro, nell’ordine simbolico che ha la funzione d’inquadrare e di dare senso al narcisismo medesimo come forma espressiva del desiderio di riconoscimento all’interno della nevrosi, per distinguerlo dall’assenza di riconoscimento come soggetto nell’ambito delle psicosi.
La prova viene dall’arte dove, per esempio l’espressionismo, non è altro che un farsi riconoscere narcisistico da parte del soggetto-autore, una sorta di urgenza nel mostrare le contorsioni interne della psiche. Ed è in virtù di questa esigenza interna che la formula, l’arte non esiste esiste, solo l’inconscio, assume un significato che non è solo una formula provocatoria ed eccessiva.
Infatti, da un punto di vista psicoanalitico, la verità di questa formula risiede nel fatto che l’artista quando lavora segue il proprio fantasma inconscio, il proprio principio di realtà, da cui trae la motivazione e la spinta per costruire quella specifica opera d’arte. Da questo punto di vista il narcisismo è sempre primario nella misura in cui l’artista si riconosce in ciò che fa senza però sapere perché lo fa.
L’espressione narcisistica del corpo non esaurisce però le sue funzioni perché se torniamo ai luoghi freudiani di Introduzione al narcisismo, ovvero alla malattia organica e all’ipocondria, abbiamo un corpo legato al sentire più che al vedere o all’esprimersi. Il legame con il sentire ha a che fare con il godimento pieno di una parte del corpo dove la libido può essere investita come quando il soggetto sente il dolore attraversargli il corpo e come quando un suo organo malato, oppure quando crede che un dolore lo attraversi per una causa organica che colpisce il corpo.
In questi casi si può parlare di narcisismo? Il narcisismo è una caratteristica legata al vedere l’immagine del corpo riconosciuta dall’Altro, mentre il dolore che il soggetto avverte nella malattia organica e nell’ipocondria mette al centro del suo discorso il corpo come luogo di investimento e disinvestimento libidico: ed è questo rimanere fissato su di sé che caratterizza il narcisismo patogeno perché in questo caso il soggetto non esce dalla sua riduzione angosciante al proprio corpo. Allora il corpo è il luogo dove si manifestano due fenomeni legati in modo differenziale all’Io e al soggetto: “Così l’Io, da un lato, è preso dalla compulsione alla sintesi, che è notoriamente all’origine del narcisismo, perché è la responsabile dell’aspirazione al legame e alla unificazione di sé stesso, e dall’altro di dipendere dall’Es, dal desiderio di fare tutt’uno con l’oggetto.” (A. Green, op cit. pag. 192) La compulsione alla sintesi ha a che fare con l’atteggiamento estetico unificante e al vedere; ma quando si parla di sentire e di investimento libidico che l’Io subisce riducendo l’essere al corpo allora si parla di soggetto legato alla dipendenza dell’Es ovvero al lato pulsionale desiderante e al lato del godimento in relazione all’oggetto investito. Il narcisismo riguarda dunque ciò che si fissa come immagine dell’Io che vede, sia ciò che si fissa in ciò che il soggetto sente sul corpo fino all’angoscia a cui il soggetto si riduce (pensiamo all’Urlo di Munk, alla sua immagine facciale, alla sua espressione).
Quindi la doppia fissazione narcisistica all’identificazione immaginaria dell’Io e all’identificazione del soggetto all’oggetto formano apparentemente due narcisismi, ma in realtà il narcisismo è uno solo mentre la doppia funzione ci dice invece della struttura articolata secondo il registro dell’immaginario e il simbolico che includono la faglia del sentire l’eco del reale del godimento che si impone all’essere del soggetto e si dispone al centro della struttura dell’apparato psichico del soggetto. Il dolore che il soggetto sente, modifica il corpo che ha e modifica anche la sua immagine, ma modifica anche ciò che è, pertanto se ciò che è, è un corpo malato perché per esempio è pieno di dolore, il ritiro della libido dal mondo esterno sul corpo è inevitabilmente necessario perché la superficie del corpo-tamburo produce degli echi che non possono essere ignorati, e che hanno l’origine nell’organo malato. Pertanto, questi echi invadono tutta la superficie del corpo e questa viene sentita dal soggetto, in relazione a questi echi, all’interno della struttura del corpo, così come viene vista modificata alla superficie esterna del corpo proprio dal dolore provato dal soggetto. Insomma, l’Io-corporeo è una rappresentazione immaginaria di ciò che accade nell’involucro corporeo nel quale gli echi del dolore si ritirano sul pezzo del corpo ammalato, ma si fanno sentire per tutto il corpo: “L’Io, ricorda Freud è in primo luogo un Io corporeo; ma aggiunge: non è soltanto un’entità superficiale, ma anche la proiezione di una superficie” [O.S.F. IX pag. 488]”.(A. Green op. cit. pag. 49).
Questa proiezione è la proiezione della superficie dove si addensa la libido in un organo malato oppure quando l’Io avverte o si crede malato come nell’ipocondria che Freud inserisce nelle “nevrosi attuali.”
In questo caso il narcisismo corrisponde all’interessarsi eccessivo del soggetto di ciò che accade nel corpo, in quanto il narcisista sostiene e si fissa sensibilmente sugli echi del dolore provato, oppure al contrario, ma in modo comunque eccessivo quando il soggetto si disinteressa del proprio corpo addolorato e ciò provoca in lui una passività, un’indifferenza e un’incapacità a reagire che lo pone comunque al centro dell’attenzione della domanda dell’Altro: “Che vuoi? Che hai? Cosa posso fare per te”.
E il narcisismo rivela in questo caso l’incapacità e l’impotenza del soggetto di rispondere a questa domanda perché c’è la forza della cattura del soggetto narcisista da parte della seduzione malefica dell’immagine di sé che per difendersi dal sentire ciò che nel corpo risuona, il soggetto mette in atto la difesa dell’Io nell’immaginario attraverso l’atteggiamento estetico come vediamo nel Mito di Narciso. Ma se analizziamo le cose con la lente della psicoanalisi vediamo come il Mito di Narciso costituisce qualcosa di eccessivo se preso nel suo atteggiamento estetico perché conduce alla morte, all’inedia, al godimento pieno della propria immagine o alla melanconia e dunque c’è anche nel Mito una faglia, un buco, un difetto o meglio un punto debole che fa rovesciare le vicende del mito stesso. Se questo mito con la sua faglia, il suo punto debole, lo leghiamo al corpo di Narciso otteniamo qualcosa di importante a partire dalla considerazione che fa Green: “Si tratta più che di cicatrici, di aderenze, vale a dire di zone sensibili, vulnerabili, in quanto esse rischiano di risvegliare il dolore. Quando allo stato acuto o subacuto segue una forma di organizzazione cronica, questa tende a creare una corazza narcisistica protettiva e preventiva dei traumi, ma al prezzo di una sclerosi mortificante che mina il piacere di vivere.” (A. Green, pag. 192) Il mito di Narciso da questo punto di vista del dolore va considerato come una sorta di barriera protettiva dall’abisso della morte perché dietro all’estetica c’è l’orrore dell’abisso, afferma Lacan. E l’abisso può essere pensato, nel caso di Narciso, come la sua condanna permanente alla bellezza che fa di lui uno zimbello dell’Altro: vivere non è anestetizzarsi dal dolore e fare di ciò, attraverso l’estetica, un modello narcisistico in cui specchiarsi, ma circoscrivere il dolore al corpo lasciando che le altre parti del soggetto (le risorse dell’inconscio) possano vivere e splendere. Il mito di Narciso è dunque una sorta di cronicizzazione dell’anestesia del dolore al prezzo della rinuncia alla vita, al prezzo della rinuncia a investire libidicamente (con desiderio) un oggetto esterno rispetto al corpo del soggetto; il corpo di Narciso corrisponde a una rappresentazione immaginaria della superficie della topologia del tamburo, è il suo rivestimento, la sua pelle, la pelle di un corpo chiuso in una superficie virtuale che soddisfa l’Ideale dell’occhio di chi guarda. È una superficie che occulta la struttura alla vista di chi guarda ammaliato dalla bellezza di Narciso, ma è un Io-corpo privo di energia materiale. Narciso non è chiuso in una fortezza ma è la stessa fortezza immaginaria nel suo aspetto estetico: “Direi anche che quello che caratterizza la struttura narcisistica è proprio questo punto debole nella armatura o nello scudo” (A. Green, op. cit. pag. 192) In riferimento alla storia epica di Sigfrido e di Achille.
Il Narcisismo rappresentato dal Mito di Narciso è l’insieme della rappresentazione di un inganno immaginario per l’occhio, ma è anche la prima forma in cui l’immaginario si connette al simbolico all’esterno della struttura stessa in connessione dialettica con l’interno. Come del resto lo sono le patologie stressogene del corpo (nevrosi attuali) perché da un lato sono l’insieme dei conflitti patiti dal corpo del soggetto nello sforzo di adattamento alla realtà e dall’altro, l’energia impiegata in questo sforzo e sottratta al tempo necessario al soggetto a compensare con attività piacevoli tali sforzi di adattamento.
Le nevrosi attuali, paragonate allo stress, si possono considerare, con la metafora della fortezza, movimenti in cui il pullulare del via vai del popolo che si sposta e transita dai punti di accesso della fortezza del corpo fortificato, costituiscono contemporaneamente i punti deboli e di cedimento, necessari alla stessa struttura per la sopravvivenza del corpo stesso (i bisogni individuali), ma anche espressioni di desideri soggettivi trasgressivi che si nutrono delle uscite stesse dalla fortezza: e il punto vulnerabile meno sorvegliato diviene il sintomo (compromesso) tra l’Io e l’Es per sottostare più facilmente alla legge del Super-Io, da dove gli uomini mascherati possono passare più facilmente e condurre fuori dalla fortezza (alla chetichella) oggetti desiderati, e portare dentro la fortezza oggetti camuffati dall’appoggio sul bisogno comune. In questo movimento possiamo vedere la funzione narcisistica per tutto ciò che inerisce all’immaginario dell’Io nella doppia veste di funzione di adattamento e sostenitore dello sviluppo massimo di tutto ciò che concerne l’immaginario soggettivo in quanto sintesi del Mito di Narciso. Questa doppia veste è bene analizzata da Green perché la colloca all’interno della dialettica dei tre padroni della fortezza che ricopre il corpo del soggetto: Es, Super-Io e Io. Questi tre padroni implicano in modo diverso l’immaginario narcisistico: l’Es, il narcisismo come eccesso patologico all’attaccamento all’oggetto di cui il corpo non può fare a meno di rispecchiarsi come predatore (soddisfazione reale), il Super-Io, l’eccesso immaginario della Legge che impone condotte morali in cui l’Io si identifica e l’Io infine, che non è mai padrone a casa sua perché si aliena nell’alterità dell’immagine speculare, mistifica questa verità e si sente padrone di sé stesso in quanto nelle condotte e comportamenti non esce dalla propria prospettiva, visione e atteggiamento estetico.
Ebbene, questi tre padroni sono collegati a un quarto padrone cui Green assegna giustamente un posto preminente nella patologia narcisistica in quanto il narcisista, di fatto, nella pratica clinica si va a identificare proprio con questo quarto padrone con tutti gli effetti negativi del caso:
“Ma questi tre padroni che esigono servizi costrittivi, forse non sono che un male minore in confronto al più tirannico degli agenti di soggezione: l’Ideale dell’Io erede del narcisismo primario” (A. Green, op.cit. pag. 191)
3) Il narcisismo e l’Ideale dell’Io
L’eredità del Narcisismo primario consiste nel desiderio di riconoscimento che si trasforma, dopo l’incontro con la madre nel primo tempo edipico, nell’esigenza urgente narcisistica che il desiderio di riconoscimento venga riconosciuto e se ciò non avviene questa urgenza viene idealizzata e ampliata fino a cercarla nelle figure sociali. Ne consegue che si ha come risultato la tirannia dell’Ideale dell’Io, che diventa l’oggetto su cui l’Io investe immaginariamente e da cui ne consegue, per questo legame libidico, una forte carica ideologica che obbliga il soggetto a sostenere tale prospettiva senza poter slegarsi affettivamente tanto facilmente dall’Ideale. In che senso, dunque, Green afferma che l’Ideale dell’Io è il più feroce dei tiranni?
Abbiamo detto che il narcisismo primario non è una forma patologica dell’immaginario ma normale fase della strutturazione del soggetto, pertanto l’evoluzione del narcisismo primario in Ideale dell’io ha a che fare con una eredità che cerca di aumentare la portata morale dello stesso oggetto idealizzato, mediante identificazione con lo scopo di garantire il benessere narcisistico dell’Io. Ed è tiranno perché questa identificazione sociale esterna dell’Io all’Ideale, esige una fedeltà assoluta che garantisce, se seguita, la protezione dal senso di colpa al prezzo di un debito verso di essa mai del tutto estinto. Ciò costituisce il motore che caratterizza il narcisista morale: “Il narcisista morale non ha commesso altra colpa che l’essere rimasto fissato alla sua megalomania infantile e resta costantemente in debito verso il suo Ideale dell’Io. Ne consegue che egli non si sente colpevole quanto piuttosto prova vergogna di non essere che ciò che è o di pretendere di essere più di ciò che è”, (Green op. cit. pag. 219-220). Lo sviluppo del narcisismo primario a Ideale dell’Io implica che l’Io del bambino riconosciutosi e chiesto conferma alla madre e per estensione ai due genitori che in questo riconoscimento gli conferiscono un’eredità che se a posteriori sfocerà nel narcisismo morale adulto, sottoposto alla idealizzazione dell’Io, allora si capisce anche in questo caso, come sottolinea Freud, che il bambino è ciò che ne fanno i genitori nella misura in cui vi proiettano l’Ideale. Lacan ha sottolineato che la morale come patrimonio degli atteggiamenti e comportamenti dell’essere umano, è l’elevazione dell’oggetto del desiderio all’Ideale universale. La Legge morale è un ispessimento immaginario di un oggetto del desiderio inscritto in un protocollo simbolico prescrittivo, pertanto il narcisista morale, come prodotto genitoriale, è il paladino della difesa dell’eredità dei genitori e del loro mandato senza che ci sia niente di soggettivo da aggiungere. Il narcisista morale sostiene dunque il processo d’idealizzazione dell’oggetto del desiderio, l’oggetto dell’interesse, e lo ingrandisce il più possibile. Il suo compito è questo e sarà misurato e valutato soggettivamente dal proprio Ideale dell’Io, nella sua capacità, durante la vita, di mantenere fede al programma di consolidamento dell’Ideale.
Sono tre gli ideali riscontrabili nelle azioni, nei comportamenti e nelle concezioni dell’essere umano e che i pazienti portano nel loro discorso durante l’analisi, sia in modo esplicito ma ancor di più in modo implicito tra le pieghe del loro dire, ovvero nell’embricazione del senso nel loro discorso. Lacan sottolinea questi Ideali nell’Etica: “l’ideale dell’amore umano (amore vero). […] Il secondo ideale lo chiamerò ideale dell’autenticità […] Il terzo l’ideale della non-dipendenza” (Lacan, Etica della psicoanalisi pag. 12-14).
Come è facilmente comprensibile queste tre ideali morali obbligano il narcisista morale, ovvero quel narcisista idealista e misurato dal legame di identificazione con questi oggetti idealizzati, a sostenere la Legge morale che gli impone, per obbligo interno ereditario dai genitori da un lato, e dalle prescrizioni sociali dall’altro, a comportarsi secondo le prescrizioni della Legge morale. Tutto ciò è misurabile quando in analisi i pazienti portano il loro dolore legato alla vergogna e al loro senso di impotenza per le difficoltà e gli ostacoli interiori che il loro fantasma inconscio esprime in relazione al loro godimento soggettivo, regolato dal Super-Io che ostacola tale programma. Si genera così la tensione tra I(ideale) e P(pulsione) e il narcisista, in questo caso, corrisponde a una delle vie che per Freud portano alla scelta oggettuale: “Un essere umano può amare quel che egli stesso vorrebbe essere” (S. Freud, Introduzione al narcisismo, Boringhieri, pag. 460) Vorrebbe essere ma il soggetto non riesce ad aderire perfettamente nelle azioni al suo Ideale; ci tende ma la pulsione incorporata nel fantasma lo conduce da un’altra parte ogni volta. Pertanto, il tiranno dell’Ideale dell’Io entra in conflitto con il Super-Io del fantasma e genera una lotta feroce interiore che i pazienti portano in analisi nel tentativo di sbrogliare questa matassa senza sapere, però, da che parte stare e dove andare.
La ferita narcisistica che fa soffrire il paziente, corrisponde alla faglia, ogni volta sperimentata dal soggetto in un’azione che si muove tra l’Ideale e la pulsione, tra l’essere grandi, come per esempio sono i genitori che riescono a dominare le loro pulsioni e l’incapacità di farlo perché le pulsioni si fanno sentire nel corpo verso l’oggetto della soddisfazione.
Allora il narcisismo morale fa parte delle psiconevrosi cioè dei conflitti infantili che si ripetono nell’età adulta. L’elevazione dell’oggetto, che interessa al soggetto, alla morale o meglio all’Ideale morale, non riguarda solo ciò che c’è trasmesso, che si è offerto di trasmettere ai figli. Semmai lo schema genitoriale ha gettato le basi della identificazione narcisistica primaria all’oggetto idealizzato verso il sociale come suo sostituto.
Questi tre idealismi riscontrabili nei comportamenti umani e nei discorsi dei pazienti ci dicono che il narcisismo morale costituisce un sistema difensivo dell’Io nelle psiconevrosi allo scopo di mantenere salda la relazione con ciò che è accaduto nella infanzia all’interno del soggetto, ma il Narcisismo è anche coincidente con la resistenza della stessa fortezza dell’Io che fa da scudo agli attacchi esterni da tentazioni erotiche da cui difendersi.
Ed è da questo godimento reale che il soggetto assume quell’aspetto narcisistico che ci dice che il soggetto è completamente disinteressato (ritiro della libido) da ciò che avviene nel mondo. Lo stesso ritiro della libido che ha portato il ragazzo dell’esempio clinico a disinteressarsi del mondo (ritiro dagli studi universitari, ritiro dalle relazioni con l’altro sesso, ecc.) e melanconicamente a rimanere attaccato a quel passato infantile dove senza fatica era desiderato da tutti per la sua bellezza angelica che Madre natura gli aveva dato e che sua madre sosteneva senza riserve. E la faglia narcisistica si è aperta quando tutto ciò è stato messo in discussione dal duro confronto con la vita senza ripari e protezioni, lontano da casa, con la conseguente regressione immaginaria allo stato infantile laddove tutto era perfetto e immutabile.
Ma la Legge morale, costituita sui programmi idealistici a cui il narcisista si ispira per identificazione, direi che ha ceduto il passo progressivamente, a partire circa dagli ultimi 20 anni del ‘900, alla Legge del benessere come programma universale a cui identificarsi; pertanto il tiranno risulta essere cambiato, infatti dal Ideale dell’Io siamo passati al comando del Super-Io che ci dice del passaggio dall’oggetto della morale dei comportamenti all’oggetto del godimento che implica una ricerca pulsionale, non più in conflitto con l’Ideale, ma sempre di più indirizzata verso la felicità, il piacere e dunque verso una ricerca Etica. Infatti, come sottolinea Lacan, l’Etica ha che fare con l’elevazione dell’oggetto del godimento alla dignità della Cosa (Das ding). Nella pratica clinica i pazienti sono sempre meno portatori di sensi di colpa e di vergogna e sempre di più votati alla ricerca di vie per raggiungere il benessere, la felicità e il godimento con l’ausilio dell’oggetto che si definisce feticcio. In questo modo con il feticcio si torna al prevalere del Mito di Narciso sul Narcisismo primario e sul Narcisismo patologico come sviluppo del Narcisismo primario: “Il principio di piacere governa la ricerca dell’oggetto e le impone quei giri (detours) che ne mantengono la distanza rispetto allo scopo.” (J. Lacan, Etica della psicoanalisi, pag. 72) E il feticcio serve a stabilire, rispetto alla Cosa, un punto di stabilità che il soggetto costruisce in senso epistemologico ma che questo non è lo scopo vero intorno cui ruota il feticcio, perché il feticcio serve al soggetto a evitare il dolore della perdita di godimento dovuto alla castrazione, ma anche semplicemente alla sua minaccia che genera nel soggetto l’angoscia, insieme a quel principio del ritorno di avvicinamento alla Cosa (automatismo di ripetizione). Avvicinamento quantitativo e qualitativo intorno alle caratteristiche del feticcio per regolare un rapporto soggettivo con la Cosa: “Di qualcosa che è sempre a una certa distanza dalla Cosa, la quale c’è, al di là” (Etica della psicoanalisi, pag. 79).
4) Il narcisismo e la perversione.
Se il feticcio è un oggetto che serve al soggetto a tamponare la perdita di godimento dovuta alla castrazione, o alla sua minaccia, la perversione caratterizza i legami affettivi del discorso sociale attuale chiamato da Lacan, Discorso del capitalista, fondato proprio sul feticcio, come oggetto su cui si fissano e girano perversamente i comportamenti e i modi di pensare del soggetto nell’epoca attuale. Il termine feticcio deriva dal termine latino facticio, che significa artificio, manufatto. Per artificio si deve intendere un rimando a un’azione artificiale che costruisca un espediente, una finzione, o anche una sorta di gioco teatrale che permetta però di imitare, di mettere in scena un comportamento o direttamente la presentazione di un oggetto spacciato per originale allo scopo di prenderne il posto attraverso un’imitazione, per esempio pensiamo a tutti gli oggetti immessi sul mercato che sono contraffazioni dell’originale ma che sono egualmente costosi allo stesso modo perché sono comunque perfette imitazioni e che creano nel compratore l’illusione di avere per sé l’originale tanto ambito. Invece, il secondo significato di feticcio cioè di manufatto, ovvero fatto a mano, rimanda alla costruzione manuale di un oggetto, rimanda a una merce qualsiasi artigianale che assume però, per chi lo crea, un valore speciale che si trasmette con il tempo alla società intera. Questo oggetto potrà essere apprezzato e condiviso dalla società nel suo insieme perché ha un valore che si impone alla massa e per contagio si offre all’identificazione di ogni singolo individuo. Il valore di quel singolo oggetto, che verrà adorato come un feticcio dalla massa, riguarda il massimo di godimento che ogni singolo soggetto potrà trarre dall’uso dell’oggetto feticcio medesimo. Ed è da questo valore dell’oggetto feticizzato che esso assume un valore speciale cioè diventa un feticcio ovvero un oggetto che ha delle qualità come se fossero magiche o religiose che influenzano i comportamenti di chi lo utilizza o lo possiede, oppure come se avesse delle capacità taumaturgiche che danno benessere.
Questo oggetto speciale nell’epoca moderna in realtà non ha niente di trascendente, né di magico, e al posto degli elementi magici o religiosi, agiscono le leggi profane dell’economico come il plus-valore. Dunque, l’oggetto che regola tutta l’economia e direi la materialità delle relazioni umane è, in prima istanza, il denaro. Il denaro è l’oggetto che ci dice come nella società attuale i legami umani siano dominati dalla cifra di godimento regolata dai meccanismi materialistici dell’economico. I meccanismi che regolano i legami sociali sono fondati per la psicoanalisi sulla verità del sintomo del soggetto che riguarda i suoi legami con il godimento. Questi legami sociali fondati sull’economico corrispondono all’economia delle pulsioni su cui si muove il terzo punto di vista (dopo il topico e il dinamico) che regola le azioni del soggetto dell’inconscio scoperto da Freud.
La psicoanalisi lacaniana ha tenuto conto della lettura sintomale di Marx quando il filosofo tedesco ha parlato di sintomo per indicare come l’oggetto merce costituisca il sintomo che caratterizza la società capitalista e questo sintomo perverso ha appunto le caratteristiche del feticcio che incide sui comportamenti del soggetto e sulla massa: “Lacan attribuisce a Marx l’invenzione del sintomo proprio perché egli mette in rilievo il momento critico del sistema capitalista presente nel tentativo di accordo tra ciò che è individuale (desiderio) e ciò che è universale (bisogno). Al livello degli interessi sociali.” (AAVV. Marx, Freud, Lacan. Le basi materialistiche nella psichiatria e nella psicoanalisi, Borla 1999, pag. 90).
Ebbene, il feticcio, da un punto di vista psicoanalitico, è quell’artificio, quel simulacro, quel sembiante che fa credere al soggetto di poter realizzare questo accordo impossibile tra l’universale ed il particolare all’insegna di un piacere finalmente stabile e realizzato. E il soggetto fa di questo accordo direi l’architrave su cui ruota l’oggetto feticcio del denaro che ha le caratteristiche necessarie per realizzare l’impossibile di questo accordo perché il denaro “è al tempo stesso un oggetto dell’Altro sociale ed ha appunto le qualità di essere scambiato (valore di scambio) e non di consumarsi come oggetto ma come valore (valore d’uso)” (Marx, Freud, Lacan, op.cit. pag. 88) Il denaro però è un oggetto troppo fragile e anonimo per sostenere stabilmente la perversione dell’uomo, infatti il denaro è facilmente criticabile perché associabile immediatamente alla corruzione e ai suoi effetti sul soggetto. È un oggetto associabile alla morale che Sofocle descrive mirabilmente in modo sintetico: “Il denaro! Quale invenzione più dannosa di questa agli uomini? Il denaro abbatte gli Stati, scaccia gli uomini di casa. Esso amministra, esso conduce le anime dei mortali più onesti a cadere nell’infamia” (Sofocle, Antigone, I episodio, in Il Teatro greco. Tutte le tragedie, Sansoni, Firenze, 1978, pag 182)
Ora il denaro è un oggetto particolare di feticcio perché coniuga il bisogno universale legato alla compravendita di un oggetto qualunque, con il desiderio particolare del soggetto singolo legato a un oggetto comprabile particolare. Ma se il denaro ha questa caratteristica doppia è per questo motivo che non può rappresentare fino in fondo la caratteristica perversa del discorso di un capitalismo maturo come è quello di questi ultimi 40 anni. Infatti il Discorso del capitalista che corrisponde al quinto discorso costruito da Lacan (1972) ha dovuto inventarsi un oggetto feticcio all’altezza della perversione che caratterizzi tale discorso, è necessario dunque un feticcio che permetta al soggetto di suturare ogni forma di doppia identità sintomatica in cui il soggetto stesso si rispecchi come Narciso per godere (illudendosi) pienamente dell’oggetto stesso e questo oggetto feticcio dovrà non essere liquido come il denaro, ma solido, potente, comunicativo e informativo, che abbia un alto grado di capacità di attrazione e di fascino che permetta a chi ne usufruisce di identificarsi alla sua potenza di distributore di eventi, di notizie e di creatori di bisogni, di gusti e sostenitore delle mancanze del singolo e della massa. Un oggetto di massa che faccia sentire il singolo soggetto un padrone e potente protagonista del mondo senza esserlo realmente ma averne la stessa sensazione. Ma soprattutto che abbia un valore d’uso che rappresenti per ogni soggetto, un interlocutore potente nella comunicazione, un alter-ego in cui rispecchiarsi, un oggetto feticcio sessualmente importante e totalizzante con cui masturbarsi mentalmente nel senso di un godimento corporeo pari al godimento sessuale, insomma un oggetto che come la sessualità è sopravalutato, un eccesso di valore, un plus-valore dello sguardo e del guardare che trasformi il plus-valore in plus-di vedere. Un oggetto feticcio che fa vedere tutto insieme, la cui potenza estetica e visiva sia talmente affascinante e seducente che abbaglia il soggetto e lo fa sentire protagonista del tutto-visione che il feticcio può mandare in onda, cioè può far vedere, dare a vedere a chi guarda la massa attraverso l’oggetto feticcio che fa da spartiacque, si divide dunque in due categorie complementari legate allo sguardo esibizionisti e voyeuristi, ambedue presi nella logica del plus-de-jouir, un surplus di godimento caratterizzato dal vedere, dalla visione di uno spettacolo a cui si riduce la visione di ciò che si vede nell’oggetto feticcio. In che cosa consiste questo plus-de jouir o plus-di-vedere che caratterizza il feticcio del discorso del capitalista? Intanto diamo un nome all’oggetto feticcio: si tratta dello smartphone, sempre più sofisticato, potente, completo come se il mondo che viene visto fosse in mano, controllato da colui che lo vede ma anche da colui che si lascia vedere. C’è un godimento che allaccia il feticcio alla perversione e alla sua logica attraverso la pulsione scopica: c’è in questa logica lo sguardo dell’Altro che mi vede vedermi (l’alter-ego), che mi ordina (Super-Io) di godere attraverso l’oggetto feticcio di tutte le operazioni scopiche che il soggetto in eccesso fa durante la vita quotidiana: lo sguardo del controllo. Il mondo visto è ridotto a una grande foto reale (immagine reale) che dà la sensazione di essere lì, di condividere l’accaduto come se lo spettatore fosse partecipe in prima persona dell’immagine vista o che sta riprendendo.
Non sono caratteristiche semplicemente attribuibili alle meraviglie della tecnologia, che sono indubitabili, ma ciò che ci interessa sono gli effetti perversi che questa tecnologia ha sul soggetto non dico del singolo soggetto, che se la può anche cavare a patto di usare gli antidoti della riflessione, ma gli effetti sull’Io-massa, sulla logica della comunicazione, ma soprattutto sugli effetti stressogeni che il corpo del soggetto deve subire in quanto il corpo si può considerare oggi il sintomo del soggetto in quanto è ciò che si espone allo sguardo dell’Altro.
Il corpo è un ostaggio dello stress e dell’immagine immobile ed estatica di Narciso, ovvero in sostanza è preda del Mito di Narciso.
Per tornare al feticcio invece, al di là delle caratteristiche del denaro, come erede sessuale sostituto di una parte del corpo del soggetto che Freud associa alle feci (oggetto piccolo a del fantasma), sostituto materico in uso per il godimento, che al tempo stesso deve avere una solidità industriale e materica che sostituisce il carattere “liquido” del denaro e deve avere una caratteristica solidità pulsionale legata alla struttura metonimica in cui l’oggetto si sposta e investe altri oggetti che hanno le stesse caratteristiche del corpo originario.
La struttura del fantasma è un marchingegno per godere della realtà materica ma che si sposta di oggetto in oggetto per investimento libidico tenendo presente che “non c’è la realtà da un lato vista e dall’altro il fantasma, ma il fantasma è ciò che tesse il filo della realtà (Marx, Freud, Lacan, op. cit. 66) Insomma il principio di realtà, che si contrappone al principio di piacere, determina per il soggetto ciò che quest’ultimo vede del mondo e della vita essendo il mondo e la vita stessa vista e sentita attraverso proprio il principio di realtà stesso che è il limite specifico del suo guardare perché la finestra del suo guardare è l’angolatura da cui guarda.
Ora il fantasma perverso del nevrotico (per distinguerlo dalla struttura perversa) ha come tratto proprio l’oggetto feticcio che nella sua solidità materiale e inquadra il reale del soggetto nel discorso del capitalista. E al livello del discorso piuttosto che al livello del singolo soggetto, ci interessa individuare un oggetto materico industrializzato, incarnazione della Cosa (das Ding), che ha degli effetti sul e nel corpo del soggetto sociale che è costretto a godere delle prestazioni di questo oggetto sopravalutato allo scopo di godere totalmente e il più possibile delle sue qualità come se fosse un bel corpo di donna insostituibile, come se fosse una donna speciale (erede del corpo materno per l’infans sia esso femmina o maschio). Questo oggetto è lo smartphone che si pone come simbolo degli oggetti moderni che hanno il valore di suturare la ferita e la perdita di godimento del soggetto, sottoposto alla castrazione e esposto all’angoscia della precarietà del possibile.
Il concetto di feticcio è introdotto da Freud a partire dai Tre saggi della sessualità infantile (1905) dove sottolinea il carattere polimorfo e perverso della sessualità infantile: il feticcio è il rappresentante oggettuale (una parte del corpo) della sessualità umana “sopravalutata” come afferma Freud nei Tre Saggi su cui si fissa il soggetto per godere in modo totale e unico. Lo stesso significato di feticcio, lo assume anche l’oggetto sopravalutato come lo smartphone nel suo potere “magico e illusorio” per usufruire delle sue qualità che hanno la funzione speciale di far sentire il soggetto onnipotente e di farlo godere con l’appoggio del Super-Io sociale che ordina “Devi godere” come recita l’imperativo categorico, fondamento dell’ordine morale della società dei consumi. L’ideale morale sociale ordina di godere, ordina di non risparmiarsi, di non risparmiare il corpo fino ad arrivare allo stress, cioè fino a superare il limite che il corpo del soggetto può soggettivamente sopportare, per favorire poi le cure psicofarmacologiche riparative della depressione e dell’esaurimento nervoso (nevrosi attuali). L’oggetto feticcio ha il potere di convincere e sostenere questa propaganda pensata “per il bene del soggetto” (pensiamo a tutto ciò che oggi si fa in nome del benessere del soggetto)
Il soggetto è sempre più caratterizzato dalla ripetizione e dalla ricerca di qualcosa che, nella dinamica del piacere, deve essere immobile e statico e che si ripeta all’infinito nel tentativo di avvicinamento all’assoluto della Cosa (das Ding) che nella sua esistenza sta sempre di più al di là di ogni presa soggettiva, di ogni fuori significato. La Cosa, dunque, entra a far parte del soggetto al livello di una sensazione, che si fa sentire nell’esistenza della vita quotidiana, come una forte esigenza di pienezza ma che si pone come un impossibile godimento pieno. Per riparare a questo scacco è stato necessario da parte del soggetto inventarsi un artifizio che ne riproduca e ne ripeta l’impatto con la Cosa, non solo sul piano simbolico del significante come del resto è la Cosa stessa, ma un marchingegno che si consumi e produca piacere nella materialità del corpo esteso alle cose materiali (sacche). E questa cosa estesa, che si mette a disposizione del soggetto, come ripetizione della Cosa perduta, è appunto il feticcio. Quest’ultimo al livello del corpo Freud lo considera come sostituto di una parte del Corpo totale della Madre reale che Lacan indica essere il nome significante della Cosa perduta originaria e dalla quale l’inconscio fa i suoi giri e costruisce i suoi percorsi misteriosi; ed è appunto per renderli memo misteriosi e afferrabili che esiste e funziona il feticcio come tratto sostitutivo del corpo materno che il soggetto ritrova altrove, incarnato negli oggetti mercificati oppure nel corpo di donna dell’amore. E la passione ed il godimento assoluto per questo tratto costituisce il soggetto nevrotico con un fantasma perverso che si lega al tratto feticistico spostato altrove rispetto alla Cosa, perché appunto ha perso La cosa (madre) a cui non vuole rinunciare.
Questo trucco concreto, oggettuale ruota intorno a qualcosa che Freud ha fissato in una scoperta fondamentale e incontrovertibile, una legge che con il feticcio perverso il soggetto ha avuto la necessità, legata al godimento e non al senso, di non trasgredire, e questa legge fondamentale assolutamente incontrovertibile e primaria per qualsiasi società e cultura che si rispetti: “è la legge della interdizione dell’incesto” (Etica, pag. 83.) Intorno a questa legge universale, fondamentale ma altrettanto semplice e contemporaneamente complessa ruota la psicoanalisi la sua storia e la clinica stessa: “Tutto lo sviluppo della psicoanalisi lo conferma in modo sempre più pesante, pur dandogli sempre meno rilievo. Voglio dire che tutto ciò che si sviluppa al livello dell’interpsicologia madre bambino, e che mal si esprime nelle così dette categorie della frustrazione, della gratificazione e della dipendenza, non è altro che un immenso sviluppo del carattere essenziale della cosa materna, della madre, in quanto occupa il posto di questa cosa Das Ding.” (Etica della psicoanalisi, pag.84).
E il narcisismo come si colloca in questo programma?
In che modo domina questa Legge? Attraverso la tenuta dei meccanismi simbolici della Legge edipica legata al Nome del Padre che regola l’identificazione e differenziazione del soggetto all’oggetto feticcio che fa sì che il soggetto assorbe e costruisce, attraverso quel dispositivo che è il fantasma che lo rappresenta nella realtà – il feticcio è uno dei nomi che assume l’oggetto piccolo a del fantasma.
Il cedimento sociale della Legge simbolica del Nome del Padre ha favorito l’instaurazione, nel discorso sociale, in questi ultimi anni progressivamente, la diffusione del tratto perverso del feticcio, incarnato in un oggetto merce specifico e materico che ha la caratteristica di assomigliare all’abbaglio illusorio, aleatorio e contemporaneamente necessario, tipico del feticcio e naturalmente tipico delle illusorie promesse della Madre, all’origine della vita del soggetto, in un periodo e in uno spazio in cui l’Altro materno può dire tutto e il contrario di tutto e il senso avrebbe lo stesso significato: mettiamo in serie le madri e la loro funzione, dal Mito di Narciso come Madre natura, che ha dotato Narciso di una bellezza incomparabile, Nemesi la madre vendicatrice che lo inchioda alla visione della sua bellezza, la madre reale dell’esempio clinico che sostiene la bellezza di Angelo presso di lei per non separarsi interiormente dal figlio.
La proprietà della madre reale sono le proprietà del suono della parola dell’Altro materno più che del senso – questo comparirà in un secondo momento con l’instaurazione dell’inscrizione dell’infans (colui che non parla ancora) nel linguaggio simbolico dell’Altro nel quale il suono riemergerà nella differenza che caratterizzerà l’incidenza della parola sull’essere e sul carattere di ogni soggetto parlante.
Il concetto di fantasma è necessario alla rifondazione della psicoanalisi operata da Lacan: esiste il fantasma legato al soggetto che contiene il tratto perverso della struttura nevrotica, per esempio nel farsi feticcio per garantirsi il desiderio o l’amore dell’Altro. Mentre esiste il fantasma nella struttura perversa del Discorso del Capitalista corrispondente al godimento della merce sociale come modalità dominante il Discorso senza parole.
Dunque, abbiamo come risultato la somma del tratto feticistico perverso incarnato nel fantasma del soggetto nevrotico e le caratteristiche feticistiche dell’oggetto-merce che il soggetto consuma attraverso il godimento corporeo del consumismo. Questo legame d’identificazione all’oggetto avviene attraverso il fantasma inconscio del soggetto in cui è presente nelle scelte amorose il tratto oggettuale perverso del corpo di donna (oggetto piccolo a) che richiama l’antico legame tra il bambino, il fallo immaginario e la madre con il quale il bambino tappava la sua mancanza e insoddisfazione.
È necessario interrogarsi se nella società attuale domina il fantasma perverso del soggetto nevrotico oppure la struttura perversa del soggetto. E a questo punto è necessario distinguere tra i pazienti che vengono in analisi e che sono in conflitto con il proprio tratto perverso dominato dal Super-Io che spinge il soggetto a godere di questo tratto perverso incarnato nel feticcio, godimento che si traduce in atti e comportamenti altalenanti e frammentari accompagnati da recriminazioni e dolorosi sensi di colpa e soprattutto presi dal sintomo infernale della paura di desiderare, dai pazienti che invece sono visibili ed esposti all’uso e consumo feticistico dell’oggetto che non si fanno problemi, incertezze e sensi di colpa ma che conducono la loro esistenza all’insegna del godimento tamponando l’angoscia con l’assunzione sempre più eccessiva dell’oggetto stesso. I soggetti più esposti appartengono alla classe adolescenziale la quale è dominante all’interno del Discorso del capitalista, loro si sostengono con l’oggetto feticcio-smartphone rifiutando qualunque tipo di interrogazione analitica sulla verità dell’eccesso di godimento che li implica come soggetti.
In ogni caso sia il feticismo delle merci, sia il feticismo legato a una parte del corpo di donna adorata dal soggetto come unico godimento, presentano in comune il concetto freudiano di sopravalutazione dell’oggetto-sessuale e questa sopravalutazione dell’oggetto feticistico permette a Lacan di interrogarla con l’etica della psicoanalisi (l’Etica coincide con la clinica mostri) che, a differenza della morale, infatti eleva l’oggetto specifico del godimento alla dignità della Cosa.
Pertanto, l’oggetto merce come l’oggetto sessuale, è un oggetto sopravalutato e assume la caratteristica fondamentale perversa del più di vedere perché fa vedere di più di quanto in effetti ci sia e mostri . Ciò implica come il feticcio faccia vedere-mostri, al soggetto con cui è legato sempre di più in modo biunivoco, fa vedere ciò che non c’è oppure fa vedere ciò che c’è sopravalutando la dimensione estetica come valore totalizzate, assoluto e prezioso. Il feticcio-merce ha la funzione sociale dunque per il soggetto di condensare il godimento in un oggetto che assume le caratteristiche di assoluta necessità e dipendenza: per esempio come ho già detto lo smartphone per la comunicazione sociale, la droga, qualunque essa sia, per il godimento tossico del corpo del soggetto allo scopo di perdere i sensi (lo sballo nella festa ) oppure più direttamente tutti i tipi di strumentazione erotica, fornita dalla industria tecnologica, impiegata nelle relazioni sessuali dove è il godimento personale l’obbiettivo da raggiungere facilmente senza fatica e con un coinvolgimento emotivo minimo e sotto controllo. In questo modo ciò che viene fatto fuori e cancellato è il desiderio che è una funzione del soggetto che valorizza invece il vuoto e la mancanza che rimanda all’età del Nome del Padre, mentre il godimento feticistico dell’oggetto ci rimanda all’età del dominio dei figli senza padri. I figli si stanno abituando a questa condizione, così come i padri, tanto è vero che nel Mito di Narciso ci sono queste caratteristiche nel senso che ognuno guarda a sé stesso, è fissato sulla propria immagine speculare senza comunicare.
In questo quadro il Mito di Narciso è il Mito corrispondente al discorso del capitalista fondato sul tratto perverso del feticcio. Infatti, Questo degrado, se analizziamo gli elementi del nostro discorso, in realtà si riducono all’Uno del feticcio che per la sua struttura invade l’intero spazio di questo discorso perché l’Uno-feticcio è compatto non ha buchi e mancanze. Il tratto feticcio del Mito di Narciso è lo specchio d’acqua del lago in cui Narciso si vede e scopre la sua bellezza che non aveva mai visto. Le capacità riflessive dello specchio sono state sottolineate da Lacan quando afferma che l’Io non è mai padrone a casa sua perché l’Io è un altro, ovvero l’Io si scopre e si conosce solo nel suo riflesso speculare così come nel Mito, Narciso scopre la sua bellezza attraverso lo specchio. Allora abbiamo un allineamento immaginario che caratterizza questo Mito:
1) abbiamo lo specchio (del lago) che riflette e che porta con sé l’immagine di Narciso 2) abbiamo l’immagine di Narciso riflessa nello specchio del lago 3) abbiamo Narciso in carne ed ossa che si specchia nello specchio del Lago 4) infine abbiamo la bellezza di Narciso riflessa nella immagine di Narciso catturata dallo specchio del lago. Tutto qui, si può capire la povertà di questo Mito. Non c’è storia, c’è solo la sopravalutazione abbagliante della bellezza di Narciso che il potere dello specchio riflette nella immagine di sé. L’oggetto feticcio non corrisponde alla bellezza che richiama l’atteggiamento estetico verso il mondo di cui parla Jaspers, ma è lo specchio e le sue proprietà, è lo specchio come manufatto artigianale, misterioso, vero e proprio artifizio usato per riflettersi, per vedersi ovunque. In questo mito la povertà dei contenuti si allinea alla perversione sociale fondata sul feticcio come lo smartphone che replica, in una immagine reale e infinita a dismisura lo spettacolo del mondo. Narciso vede solo la bellezza di sé e non vede ciò che lo specchio del lago riflette intorno a sé, perciò è fissato e concentrato sulla immagine di sé che il lago-specchio gli rimanda e cancella automaticamente il resto; a Narciso non interessa la bellezza del lago e dell’acqua, gli interessa solo ciò che lo specchio d’acqua gli dà a vedere cioè la sua immagine mitizzata, mentre lo spettatore contemporaneo gode nel vedere lo spettacolo onni-vedente dei contenuti riflessi nell’oggetto feticcio smartphone e il suo godimento consiste nel marchio che, in ogni contenuto visto nello specchio- feticcio, l’uomo ritrova sempre la propria immagine riflessa, come uomo del disastro che guarda, senza che questo guardare rimandi ad altro ovvero sia la metafora di qualcosa d’altro, ma sia semplicemente l’immagine reale di ciò che è ossia il mezzo per osservare con distacco la perversione scopica distribuita tra l’esibizione e il voyerismo. Sia il Narciso del Mito che lo spettatore contemporaneo guardano dalla stessa posizione di immobilità e ciò che vedono attraverso l’oggetto feticcio-specchio e l’oggetto smartphone è uno spettacolo caleidoscopio come somma di frammenti di un corpo unico allineato a un senso dove tutto è comune e eguagliabile, omogeneo per bellezza nel Mito di Narciso o omogeneo per il segno che comunica allo spettatore: un senso comune di indifferenza che arriva a essere alla fine un non-senso.
E la capacità di questo allineamento designa la potenza dominante nella cultura contemporanea dell’immaginario su cui si fonda sia il Narcisismo dello Stadio dello specchio, sia il Mito di Narciso come il trionfo dello sguardo sostenuto dal feticcio specchio. In questo trionfo dell’immaginario, o “epidemia dell’immaginario” come afferma Žižek, dell’Io del soggetto contemporaneo, l’unico sentimento avvertito e plausibile che si può riscontrare nel soggetto stesso, compatibile a questo trionfo, è il “sentimento barbarico” che si può desumere da Pasolini quando in Petrolio parla di un popolo moderno chiamato Godoari dal quale si costruisce il Mito moderno dei Godoari, l’unico e l’ultimo Mito che oggi abbia un senso. Il popolo dei Godoari è indicato da Pasolini come quel popolo che rappresenta per caratteristiche specifiche, un popolo barbarico che ha invaso lo spazio sociale con comportamenti degradanti visibili in ogni area urbana e periferica (rifiuti). Questa degrado si è omologato a un normale stile di vita quotidiana fino ad arrivare a essere un modo di pensare fondato sull’immaginario epidemico, sul feticcio oggettuale che regola sia la visione del mondo che il consumo economico pulsionale del corpo: “Sì, la borghesia neocapitalista riesce sempre in qualche modo a eliminare, tra i suoi figli, quelli che non sono né ubbidienti né disubbidienti. Il mondo della produttività, la società dei consumi, li escludono a loro modo. L’ordine esige l’ubbidienza totale.” (P.P. Pasolini, Saggi sulla politica e sulla società, Mondadori, 2003, pag. LXII).
Il termine medio, la borghesia neocapitalista, è portatrice dell’invasione del modo di pensare e di comportarsi, è portatrice della “contaminazione” della lingua, delle intrusioni omologanti dell’intera massa o secondo i nostri termini psicoanalitici legati al Mito, ha omologato il Narcisismo con le differenze cliniche che ho sottolineato, al Mito di Narciso, dove la produzione dello specchio-feticcio è il moltiplicatore epidemico dell’immaginario e del modello ottico, mentre attraverso lo smartphone ha ottenuto il risultato di un’ubbidienza totale perché ci sia un ordine sociale generale dominante. E per ordine si deve intendere una perfetta forma geometrica che ha il potere di omologare con il fascino della estetica qualsiasi differenza sostanziale. Anche la logica aristotelica ci viene in aiuto a comprendere questa operazione fondata sul termine medio, legata al Mito di Narciso. Infatti, c’è una figura della logica-medievale detta appunto Barbara fondata sul sillogismo cioè su un modo di pensare formale, ma applicabile alla realtà delle cose per trarne il massimo della omologazione e della eguaglianza che elimini ogni differenza. La figura sillogistica Barbara è formata da una premessa universale positiva, da una universale positiva conclusiva praticamente uguali e da un termine medio che favorisce questa uguaglianza: “se ogni B è C e ogni A è B allora ogni A è C” ovvero se ogni uomo è (un) Narciso e ogni specchio è un uomo (in quanto vi si riflette) allora ogni specchio è un Narciso”.
La conclusione affermativa universale è che lo specchio nella società contemporanea per le sue caratteristiche riflessive legate all’immaginario è un oggetto feticcio che esalta il Mito di Narciso perché è la sopravalutazione dell’immagine stessa e dunque fa di ogni uomo uno specchio riflettente l’immagine dell’altro, del simile, nei suoi comportamenti e nei segni comunicativi. Al tempo stesso lo specchio è presente come un feticcio in ogni merce e gli dà quell’abbaglio estetico necessario per far risplendere l’immagine dell’uomo, così favorisce la sopravalutazione dell’immagine dell’oggetto merce corrispondente (più di vedere) dove si rispecchia il narcisismo presente in ogni uomo, cioè nel suo fantasma che si riflette, come nel Mito di Narciso, nell’oggetto feticcio(specchio). Siamo in una società di specchi dove ogni cosa si riflette nell’altra, non siamo in una società di quadri dove ogni cosa si presta a essere il punto di riferimento simbolico che promuove non un’immagine ma una riflessione che induce ogni soggetto a una interrogazione, a formulare una domanda.
Si capisce, da questo giro asfittico e labirintico senza sbocco e movimento, il profondo legame esistente tra il Mito di Narciso e la perversione che caratterizza il discorso moderno dei legami sociali. Cancellato dalla cultura la funzione del Nome del Padre si assiste all’invasione velenosa e tossica della Cosa (la Madre) sotto forma dell’oggetto feticcio che modifica le caratteristiche e la posizione dell’oggetto piccolo a. Infatti, quest’ultimo, causa il desiderio del soggetto che si sposta nel vuoto, mentre il feticcio, come specchio, riflette in ogni oggetto la seduzione e il fascino del possesso e dunque ottura e occupa, sta al posto dell’oggetto piccolo a e, come smartphone, ha il potere di moltiplicare la quantità di oggetti concreti e materici in immagini reali, che aumentano il desiderio del soggetto di possederli tutti
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