I. Un film dentro il Sessantotto
Fragole e sangue, diretto da Stuart Hagmann nel 1970, è uno dei pochi film americani capaci di restituire la temperatura emotiva del Sessantotto con una tale intensità da risultare ancora oggi disturbante. Tratto dal memoir di James Simon Kunen (The Strawberry Statement: Notes of a College Revolutionary, 1969), il film racconta la radicalizzazione politica di Simon, studente della Western University, inizialmente apolitico e appassionato di canottaggio, che si ritrova coinvolto in un’occupazione universitaria contro la guerra in Vietnam e le collusioni dell’ateneo con l’industria bellica.
“Dirgli che abbiamo un’opinione nostra è come dirgli che ci piacciono le fragole.”
Ma più che la trama, è l’atmosfera a fare di Fragole e sangue un’opera unica: il film è un documento emotivo, un affresco psichedelico e sensoriale di un’epoca in cui la politica era anche corpo, musica, amore, rabbia, utopia. Hagmann, regista proveniente dalla pubblicità, costruisce un linguaggio visivo frammentato, quasi lisergico, fatto di zoom, split screen, ralenti, dissolvenze incrociate: una grammatica cinematografica che imita la coscienza alterata di una generazione in rivolta.
Contesto storico: Stati Uniti, fine anni ’60
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Movimenti studenteschi e contestazione
Il film è ispirato alle proteste reali alla Columbia University nel 1968, dove gli studenti occuparono gli edifici contro la collaborazione dell’università con il governo e l’esercito. In particolare, la vendita di terreni destinati a una scuola per bambini afroamericani all’esercito provocò indignazione. -
Guerra del Vietnam e presidenza Nixon
Il clima politico era segnato dalla crescente opposizione alla guerra. Richard Nixon, eletto nel 1968, intensificò l’intervento militare, generando proteste diffuse tra giovani, intellettuali e attivisti. -
Diritti civili e tensioni razziali
Il film riflette anche le tensioni razziali e le lotte per i diritti civili, con riferimenti impliciti alla marginalizzazione delle comunità afroamericane.
Contesto cinematografico: Hollywood e il nuovo cinema
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Influenza di Easy Rider (1969)
Il successo di Easy Rider spinse la MGM, storicamente conservatrice, a produrre Fragole e sangue per intercettare il pubblico giovanile e contestatario. -
Cinema della Nuova Hollywood
Il film si inserisce nel filone della New Hollywood, dove registi come Arthur Penn, Hal Ashby e Dennis Hopper sperimentavano linguaggi visivi nuovi, affrontando temi politici e sociali.
II. La colonna sonora come inconscio collettivo
La colonna sonora è il vero motore emotivo del film, il suo inconscio musicale. Non accompagna le immagini: le abita, le trasfigura, le contraddice. È un controcanto psichico che restituisce la complessità affettiva del Sessantotto.
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“The Circle Game” di Joni Mitchell, nella versione di Buffy Sainte-Marie, apre il film con una dolcezza malinconica. È una canzone che parla del tempo, della crescita, della ciclicità della vita: “We can’t return, we can only look / Behind from where we came”. È il preludio perfetto a una storia che sarà anche un rito di passaggio, una perdita dell’innocenza, una presa di coscienza.
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“Give Peace a Chance” di John Lennon, cantata coralmente dagli studenti nella scena finale, mentre la polizia irrompe nella palestra per sgomberare l’occupazione. È un momento di straordinaria potenza simbolica: la canzone, intonata come un mantra pacifista, si sovrappone al rumore sordo dei manganelli, ai corpi che cadono, alle urla. La musica diventa resistenza, ma anche impotenza. È il sogno che si infrange contro la realtà del potere.
“Voglio sentire… cosa si prova a… lanciare cartacce dal retro di un cellulare della polizia.”
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“Something in the Air” dei Thunderclap Newman, prodotto da Pete Townshend, accompagna i titoli di coda. È il requiem della rivoluzione: “We have got to get it together now”. Il brano, con la sua melodia sospesa tra euforia e malinconia, chiude il film con un senso di perdita e di possibilità mancata.
Call out the instigator because there’s something in the air. Chiamate l’istigatore perché c’è qualcosa nell’aria We’ve got to get together sooner or later because the revolution’s here. Dobbiamo fare qualcosa prima o poi perché la rivoluzione è qui And you know it’s right. E tu sai che è giusto And you know that it’s right. E tu sai quello che è giusto We have got to get it together. Noi dobbiamo fare questo assieme We have got to get it together now. Noi dobbiamo fare questo assieme ora Block off the streets and houses ’cause there’s something in the air. Bloccate le strade e le case perché c’è qualcosa nell’aria We’ve got to get together sooner or later because the revolution’s here. Dobbiamo fare qualcosa prima o poi perché la rivoluzione è qui And you know it’s right. E tu sai che è giusto And you know that it’s right. E tu sai quello che è giusto We have got to get it together. Noi dobbiamo fare questo assieme We have got to get it together now. Noi dobbiamo fare questo assieme ora Hand out the arms and ammo, we’re gonna blast our way through here. Uniamo le braccia, noi dobbiamo aprirci la strada qui We’ve got to get together sooner or later because the revolution’s here. Dobbiamo fare qualcosa prima o poi perché la rivoluzione è qui And you know it’s right. E tu sai che è giusto And you know that it’s right. E tu sai quello che è giusto We have got to get it together. Noi dobbiamo fare questo assieme We have got to get it together now. -
Brani di Crosby, Stills, Nash & Young e Neil Young (“Our House”, “Helpless”, “Down by the River”, “The Loner”) costruiscono un paesaggio sonoro che è al tempo stesso utopico e elegiaco.
La musica non è mai decorativa: è struttura, è memoria, è trauma. Ogni brano è un frammento di inconscio collettivo, una traccia affettiva che sopravvive alla disillusione.
III. Politica, amore e repressione: una lettura psicoanalitica
Simon (Bruce Davison) è un soggetto in transizione: da narcisismo apolitico a desiderio politico. L’incontro con Linda (Kim Darby), attivista radicale, è il punto di svolta: l’amore diventa veicolo di politicizzazione, ma anche di perdita. La loro relazione è tenera, ma segnata da una tensione tra desiderio e ideologia, tra intimità e militanza.
Il film può essere letto come una parabola edipica rovesciata: Simon non si ribella al padre, ma all’istituzione universitaria, che incarna il potere patriarcale e bellico. L’occupazione è un atto simbolico di riappropriazione del corpo collettivo, ma anche un gesto di esposizione al trauma.
Linda: “Mi sento vulnerabile.”
Simon: “Sì, lo voglio! Lo voglio davvero.”
La scena finale è una scena primaria: la violenza della polizia è il ritorno del rimosso, la fine dell’illusione, il trauma che non può essere simbolizzato. Il canto collettivo di “Give Peace a Chance” è un tentativo disperato di mantenere il legame, di trasformare la ferita in parola. Ma la parola è sommersa dal rumore. Il film si chiude con il silenzio e con la musica di Something in the Air, che suona come un’eco lontana di ciò che poteva essere.
IV. Un film dimenticato (ingiustamente)
Fragole e sangue vinse il Premio della Giuria al Festival di Cannes nel 1970, ma fu presto rimosso dalla memoria collettiva americana. Troppo schierato, troppo “di parte”, troppo vicino ai movimenti studenteschi. Hagmann, dopo questo film, scomparve quasi del tutto dal cinema. Eppure, Fragole e sangue è un documento prezioso, un film che andrebbe mostrato nelle scuole, nei centri sociali, nei convegni di psicoanalisi.
È un film che parla di desiderio, di corpo, di musica, di repressione. È un film che ci ricorda che la rivoluzione è anche una questione affettiva, che la politica è anche erotica, che la memoria è sempre una forma di resistenza.
“Puzzi come il Presidente.”
“Mi laverò.”
Bibliografia
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