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Morte a Venezia: bellezza, desiderio e dissoluzione.

27 Ott 25

I. Due opere, un’ossessione

Morte a Venezia è una delle rare opere in cui la trasposizione cinematografica non solo regge il confronto con il testo letterario, ma lo espande, lo trasfigura, lo traduce in un altro linguaggio dell’anima. La novella di Thomas Mann, pubblicata nel 1912, è un racconto breve e densissimo, che narra la discesa di Gustav von Aschenbach — scrittore tedesco, austero e solitario — nella fascinazione per il giovane Tadzio, durante un soggiorno a Venezia. Il film di Luchino Visconti, uscito nel 1971, ne conserva la struttura narrativa, ma ne modifica il protagonista: non più uno scrittore, ma un compositore, ispirato a Gustav Mahler. E soprattutto, ne amplifica la dimensione visiva, musicale, sensoriale.

Entrambe le opere sono meditazioni sulla bellezza, sul desiderio, sulla morte. Ma se Mann costruisce un testo simbolico e intellettuale, Visconti lo trasforma in un poema visivo, in un requiem estetico. Il film non è solo un adattamento: è una variazione, una interpretazione, una confessione.

II. La bellezza come perturbante

In Mann, Tadzio è figura angelica e inquietante: incarnazione della bellezza platonica, ma anche oggetto di desiderio proibito. Aschenbach lo osserva, lo segue, lo idealizza. Il suo desiderio non è mai esplicitato, ma è presente in ogni gesto, in ogni pensiero. È un desiderio che non può essere detto, che deve essere sublimato, rimosso, negato. Il racconto è una parabola dell’eros come forza distruttiva, come malattia dell’anima.

Visconti, invece, rende visibile ciò che Mann lascia nell’ombra. Il volto di Tadzio (Björn Andrésen, morto proprio oggi all’età di 70 anni), la sua grazia androgina, il suo corpo che si muove tra le calli e la spiaggia del Lido, diventano oggetto di contemplazione estetica e desiderio erotico. Il protagonista (Dirk Bogarde), silenzioso e disfatto, è un corpo che si disgrega, che si dissolve nella bellezza. La musica di Mahler — soprattutto l’Adagietto della Quinta Sinfonia — accompagna questa discesa nella fascinazione e nella morte.

La bellezza, in Visconti, non è solo ideale: è perturbante, è abiezione, è malattia. Il volto di Tadzio è al tempo stesso angelico e inquietante. Il desiderio non è più solo sublimazione: è ossessione, è perdita di sé.

III. Venezia come spazio psichico

In entrambe le opere, Venezia non è solo ambientazione: è spazio psichico, è metafora dell’inconscio. La città è decadente, umida, labirintica. È il luogo dove il protagonista si smarrisce, dove il tempo si ferma, dove la morte si avvicina. La peste (nel racconto, il colera; nel film, una malattia non nominata) è il simbolo del contagio del desiderio, della corruzione della forma, della dissoluzione dell’identità.

Visconti amplifica questa dimensione: la città è filmata come un corpo malato, come un sogno febbrile. I colori sono lividi, i movimenti lenti, i suoni ovattati. Il protagonista si trucca, si tinge i capelli, cerca di fermare il tempo. Ma il tempo lo travolge.

IV. La tintura che cola: la verità del corpo

La scena finale è una delle più potenti della storia del cinema: Aschenbach muore sulla sdraio, mentre Tadzio si allontana verso il mare. Ma ciò che rende questa sequenza indimenticabile è un dettaglio apparentemente marginale: la tintura dei capelli, sciolta dal sudore e dal sole, che cola sul volto del protagonista.

Quel rivolo scuro non è solo un effetto visivo: è la resa definitiva del corpo, la caduta della maschera, la dissoluzione dell’ideale. L’uomo che aveva cercato di fermare il tempo, di imbalsamare la bellezza, di tingere la vecchiaia per inseguire un’illusione, viene smascherato dalla natura stessa. Il sole, simbolo di vita e di verità, scioglie l’artificio. La morte non è solo fisica: è estetica, è simbolica, è psichica.

In chiave psicoanalitica, quel gesto di tingersi i capelli è un atto narcisistico estremo: un tentativo regressivo di tornare a un’immagine ideale di sé, di riappropriarsi di una giovinezza perduta. Ma è anche un atto di seduzione, un tentativo disperato di farsi guardare da Tadzio, di essere degno del suo sguardo. Quando la tintura cola, è come se il Reale irrompesse nel Simbolico: l’Io crolla, l’immagine speculare si frantuma, il desiderio si rivela impossibile.

V. Lettura psicoanalitica: eros, narcisismo, dissoluzione

Morte a Venezia è un testo psicoanalitico per eccellenza. Il desiderio di Aschenbach è narcisistico: Tadzio non è un altro, è un sé idealizzato, è l’immagine della giovinezza perduta, della perfezione irraggiungibile. Il desiderio non è rivolto all’altro, ma al proprio ideale. È un desiderio che non può essere agito, che deve essere contemplato, che conduce alla dissoluzione.

La malattia, la morte, la decadenza fisica del protagonista sono la manifestazione somatica di questo conflitto. Il corpo si disgrega perché l’Io non regge la tensione tra principio di realtà e principio del piacere. Il desiderio non simbolizzato diventa sintomo, diventa malattia, diventa morte.

Visconti, con la sua sensibilità visiva e musicale, rende questa dinamica psichica con una potenza straordinaria. Il film è una seduta analitica muta, una rêverie visiva, una confessione senza parole.

VI. Il corpo contemporaneo: estetica, simulacro e dismisura

L’ossessione per la bellezza che attraversa Morte a Venezia trova nel presente un riflesso tanto inquietante quanto amplificato. L’ideale estetico, che nel racconto di Mann e nel film di Visconti si manifesta come un assoluto distante, sublime e inattingibile, oggi si è frammentato in una costellazione di immagini quotidiane, replicabili, manipolabili e consumabili. La bellezza non è più, come per Aschenbach, un’entità trascendente che rapisce e distrugge; è diventata un linguaggio pervasivo, una valuta sociale, un codice identitario che permea ogni gesto, ogni schermata, ogni algoritmo. L’estetica del corpo, da luogo del desiderio e del limite, si è trasformata in un regime di visibilità ininterrotta, dove il corpo non è più abitato, ma esibito e curato come superficie di riconoscimento.

Nella società ipermediale, la relazione tra desiderio e bellezza non passa più attraverso la contemplazione, ma attraverso la produzione e la condivisione incessante di immagini. Il corpo contemporaneo, filtrato e ritoccato, diventa il luogo in cui si consuma la tensione tra realtà e rappresentazione. Se il volto di Aschenbach che cola sotto la tintura rivelava la fragilità dell’ideale, oggi la dissoluzione si compie attraverso l’eccesso di immagini: la bellezza si consuma nella ripetizione, nella saturazione, nella perdita di distanza. La decomposizione non è più fisica ma simbolica: non si dissolve il corpo, ma il suo senso.

Il desiderio, che in Visconti restava silenzioso, inespresso, persino inconfessabile, è oggi reso visibile e dichiarato. Ma la sua visibilità lo svuota di profondità: ciò che era perturbante diventa performativo, ciò che era abissale diventa contenuto. La pornografia del sé che abita i social media rappresenta, in fondo, la stessa dinamica che Mann intuì più di un secolo fa: l’impossibilità di separare il desiderio dall’annientamento. Solo che, nel presente, l’annientamento non è più la morte fisica, ma la perdita del mistero, dell’interiorità, dell’alterità che rendeva il desiderio creativo e tragico.

La figura di Tadzio, simbolo di una bellezza assoluta e irraggiungibile, oggi sarebbe probabilmente un profilo digitale, un volto di influencer che esiste solo nella misura in cui viene guardato. Ma proprio in questa trasparenza – in questa illusione di accessibilità totale – si nasconde la stessa ambiguità che tormentava Aschenbach: il desiderio di possedere ciò che, per sua natura, non può essere posseduto. L’immagine digitale, come Tadzio, invita alla contemplazione e contemporaneamente la nega, perché si offre solo come superficie. L’algoritmo è la nuova Venezia: una città-labirinto fatta di riflessi, dove ogni volto è uno specchio e ogni sguardo trova un doppio che lo rimanda all’infinito.

Da un punto di vista psichico, questa nuova estetica del corpo ha effetti profondi sulla costruzione del sé. La cura ossessiva della forma fisica e la ricerca dell’immagine perfetta alimentano un narcisismo non più individuale, ma sistemico: una “narcisizzazione” collettiva, sostenuta dal mercato e dai dispositivi tecnologici, che trasforma la bellezza in un imperativo morale. Il corpo, da luogo di esperienza e limite, diventa un progetto senza fine, un oggetto di ottimizzazione continua. In questa prospettiva, l’eros stesso viene anestetizzato: non è più spinta vitale verso l’altro, ma auto-referenza estetica, desiderio di desiderabilità.

Laddove Aschenbach muore nel tentativo di raggiungere un’idea assoluta di bellezza, l’individuo contemporaneo rischia una morte diversa: quella dell’autenticità. La maschera che in Visconti si scioglie sotto il sole veneziano, oggi non cade mai del tutto — si rinnova, si aggiorna, si filtra. L’angoscia del decadimento si è trasformata in una strategia di controllo, in un esercizio estetico di negazione dell’imperfezione e del tempo. Ma, come nel film, la verità del corpo — la sua finitezza, la sua fragilità — continua a riaffiorare, inevitabile e scandalosa, sotto le vernici digitali.

In questo senso, Morte a Venezia non appartiene al passato: è una parabola del presente. Parla del nostro rapporto con il corpo, con il desiderio, con l’immagine. Ci ricorda che la bellezza, quando diventa idolo, corrode; che il desiderio, quando si fissa sull’apparenza, si svuota; e che ogni estetica, privata della sua dimensione etica, conduce alla dissoluzione. In Aschenbach, come in noi, la morte non è che la forma estrema del narcisismo: la resa definitiva al fascino sterile dell’immagine.

VII. Conclusione: il desiderio come destino

Morte a Venezia è un’opera che parla di noi, oggi. In un tempo che esalta la giovinezza, la bellezza, la perfezione, il film e il racconto ci ricordano che il desiderio è anche perdita, che la contemplazione è anche abisso, che la bellezza è anche morte.

Thomas Mann scrive un racconto simbolico e intellettuale. Luchino Visconti lo trasforma in un poema visivo e musicale. Entrambi ci parlano del desiderio come destino, della bellezza come perturbante, della morte come compimento.


Bibliografia

1. Thomas Mann e la novella originale

  • Mann, T. (1912). Der Tod in Venedig. Fischer Verlag. https://www.fischerverlage.de
  • Mann, T. (2004). Death in Venice (M. H. Heim, Trans.). Harper Perennial.
  • Large, D. C. (2003). The Skeptic’s Guide to Thomas Mann. Yale University Press.

2. Luchino Visconti e il film

  • Visconti, L. (Regista). (1971). Morte a Venezia [Film]. Warner Bros.
  • Bacon, H. (1998). Visconti: Explorations of Beauty and Decay. Cambridge University Press.
  • Bondanella, P. (2009). A History of Italian Cinema. Continuum.
  • Aristarco, G. (1972). Visconti e il cinema. Marsilio.
  • Scarpa, G. (2011). Luchino Visconti: il cinema e la vita. Bompiani.

3. Psicoanalisi del desiderio e del corpo

  • Freud, S. (1905). Tre saggi sulla teoria sessuale. Bollati Boringhieri.
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  • Lacan, J. (1973). Il seminario. Libro XI: I quattro concetti fondamentali della psicoanalisi. Einaudi.
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  • Recalcati, M. (2010). Il complesso di Telemaco. Feltrinelli.
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  • Butler, J. (1990). Gender Trouble. Routledge.

4. Estetica, simulacro e corpo contemporaneo

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  • Vigarello, G. (2004). Storia della bellezza. Laterza.
  • Didi-Huberman, G. (2001). Lo statuto dell’immagine. Mimesis.
  • Eco, U. (2007). Storia della bellezza. Bompiani.

5. Cinema e psicoanalisi

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  • Copjec, J. (1994). Read My Desire: Lacan Against the Historicists. MIT Press.

6. Studi su “Morte a Venezia”

7. Documentari e fonti commemorative

8. Studi sul perturbante e l’abiezione

  • Kristeva, J. (1982). Powers of Horror: An Essay on Abjection. Columbia University Press.
  • Royle, N. (2003). The Uncanny. Manchester University Press.
  • Creed, B. (1993). The Monstrous-Feminine: Film, Feminism, Psychoanalysis. Routledge.

9. Studi sul narcisismo e dissoluzione dell’Io

  • Kernberg, O. (1975). Borderline Conditions and Pathological Narcissism. Jason Aronson.
  • Kohut, H. (1971). The Analysis of the Self. University of Chicago Press.
  • Recalcati, M. (2018). Contro il sacrificio. Einaudi.

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