L’ultraottuagenario David Cronenberg torna sugli schermi con un film esplicitamente autobiografico, come lo erano nascostamente i primi, fino a Crash1, e ne ripropone tutti i temi in una vesta aggiornata, soprattutto per il largo uso di devices digitali che appaiono sullo schermo, e l’utilizzo assolutamente straordinario della AI per gli effetti speciali sui corpi vivi, morenti o ridotti a salme in vari stadi di decomposizione. Nel 2017 il regista ha perduto l’amata moglie dopo 42 anni di matrimonio e di collaborazione lavorativa. Qui mette in scena un suo alter ego, Karsh, interpretato da un longilineo e palestrato Vincent Cassel, palesemente non troppo a suo agio negli scenari meta fantascientifici cronenberghiani, ma che ha il pregio di una non comune somiglianza fisica col regista. Perduta la moglie, ha escogitato un sistema tecnologico, i sudari elettronici, che, avvolgendo le salme, consentano ai visitatori dei cimiteri-tech di osservare i loro defunti in decomposizione. Non solo, ne ha fatto una start up internazionale, dotata di ristoranti di lusso intracimiteriali, in attesa di essere esportata, chissà perché, Islanda e Ungheria; su questa impresa si poserà l’attenzione profanativa e distruttiva di vari gruppi ecoterroristi ma anche dei servizi segreti russi e cinesi interessati a acquisire dati sui vivi attraverso i morti. Su questa parte spionistica alquanto confusa, che ricorda la seconda parte di Videodrome (1982), ci asteniamo dal commentare, focalizzando, invece, da psichiatri, la questione della singolare e aggiornata forma di elaborazione del lutto grazie alla tecnologia. Avevamo visto già nella bella serie Afer life (2019) di Ricky Gervais, l’utilizzo dei tablet per rievocare i giorni felici con la moglie, ed anche le fasi finali della malattia che l’avrebbe portata a morte (ormai le morti oncologiche sono comunemente social). Qui si va ben oltre: l’osservazione intrasepolcrale necrofilica é, inizialmente, l’unica forma di investimento libidico di cui Karsh è capace, in grado di alleviare il suo dolore mentale. Ma nello sviluppo seguiranno altre inaspettate possibilità che riaccendono la sua libido: esperienze oniroidi e allucinatorie nelle quali la moglie (il fantasma della moglie, il suo spettro) compare nella sua nudità integrale, mostrando in immagini che bucano lo schermo, cha “spaccano” (come diceva il protagonista di Videodrome, produttore di una piccola TV locale), le mutilazioni, le ferite dovute alle cure sperimentali del medico che la cura, Dr. Ecker (nonché, scoprirà Karsh, suo ex amante); segue la relazione con una cliente coreana non vedente, Soo-min, il cui miliardario marito è in fase terminale, che instaura con lui un rapporto puramente tattile, non visivo. Infine il processo di reinvestimento libidico prosegue con la sostituzione della moglie con la somigliantissima sorella Terry (interpretata dalla stessa attrice, Diane Kruger), con la quale si accoppia nello stesso esatto modo che con la moglie , ottenendo il medesimo orgasmo, come Cronenberg insiste a mostrare: era stata lei a dirle del tradimento di Rebecca col Dr. Ecker per cui il corpo della cognata è anche un feticcio della moglie ma, nello stesso tempo, consente di vendicarsi per il tradimento col Dr.Ecker. Gli oggetti di investimento libidico di Karsh sono quindi non solo intercambiabili, ma combinabili, si con-fondono gli uni con gli altri: non sono la moglie morta ma la richiamano in qualche modo. Siamo quindi complessivamente sul piano degli “oggetti compositi” di winnicottiana memoria e degli espedienti perversi che già nel nostro saggio del 19942 avevamo individuato psicoanaliticamente come una modalità di reinvestimento libidico, comportamenti necessari per esorcizzare la morte psichica, la psicosi, in molti dei primi film di Cronenberg. Spunti psicotici compaiono nella relazione con Hunny, la sua assistente virtuale sullo smartphone; Terry gli induce il sospetto che sia hackerata e quindi diviene un ‘oggetto persecutorio, ma si trasforma anche prima in un pupazzo-Koala morbido e rassicurante, poi nell’avatar della moglie mutilata che si esibisce in un ballo seduttivo. Nel finale, la fuga in aereo in Ungheria insieme a Soo-min con le stesse ferite e mutilazioni dellla moglie rappresentare il compimento della elaborazione del lutto.
Siamo quindi pienamente nell’area della relazione tra perversione e psicosi (termini che del tutto ingiustamente sembrano essere scomparsi dall’attuale discussione psichiatrica e psicoanalitica) che ha fatto grande il cinema dei corpi e degli investimenti e spostamenti libidici del migliore Cronenberg. Il suo cinema rappresenta quella inesorabile commistione tra reale, fantasia e allucinazione che è il nucleo più profondo e indifferenziato dello psichismo pulsionale: un mix inestricabile di percezione e fantasma, di logica simmetrica e asimmetrica, direbbe Matte Blanco3
Ma se i contenuti sono altamente significativi sul piano psicoanalitico, la bellezza del film sta soprattutto negli aspetti formali: la fotografia strabiliante di Douglas Koch, la musica sontuosa del grande compare di Cronenberg, Howard Shore, nell’eleganza dei costumi e dell’abbigliamento di Karsh, negli arredamento dei vari contesti, tra i quali spicca un appartamento di ispirazione giapponese (con tanto di letto circondato dall’acqua e dalle carpe koi), nel quale Karsh vive e sperimenta le sue allucinazioni perverse. L’eleganza formale del film fa dimenticare certi eccessi di sceneggiatura e nei dialoghi. Le immagini del film restano impresse in profondità, cosa molto rara nella produzione cinematografica contemporaneo.
1 R. Dalle Luche, A. Barontini. Transfusioni. Saggio di psicopatologia dal cinema di David Cronenberg. Mauro Baroni, 1994.
2 R.Dalle Luche, A. Barontini, id.
3 I. Matte Blanco, L’inconscio come insiemi infiniti. Saggio sulla bi-logica, Einaudi, 1981.
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