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Il giudice onorario minorile

2 Apr 13

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Risale agli anni trenta l’istituzione di un tribunale specializzato per i minorenni. Il legislatore lo creò come collegio composto da giudici professionali e da esperti dell’assistenza sociale: i giudici onorari. Attribuì a giudici professionali e onorari le stesse funzioni deliberanti. Negli anni, i compiti di tutela dei minori di questo tribunale si estesero sempre più e il giudice onorario, inizialmente scelto tra filantropi e benefattori, divenne sempre di più una figura professionalmente qualificata. Oggi troviamo tra i giudici onorari psicoterapeuti, educatori, assistenti sociali, pediatri.

Il libro di Piera Serra disegna l’identità di questo componente del tribunale per i minorenni nelle cui prestazioni si coniugano diritto e scienze del comportamento. È un libro di cui si sentiva la mancanza. Esso definisce, per la prima volta in modo organico ed esaustivo, la funzione del giudice onorario, cioè di un esperto nel compito di aiutare le persone che fanno riferimento o si rivolgono al tribunale specializzato per i minorenni: le aiuta a sviluppare le fondamentali capacità di rispetto dell’altro, intervenendo, in caso di gravi carenze, con gli strumenti messi a disposizione dalla legge.

Credo che non sia pertanto casuale il fatto che Piera Serra sia psicologa e psicoterapeuta, ma anche che abbia dovuto fare un faticoso lavoro di ri-contestualizzazione della propria identità professionale per adattarla a specifici modi ed esigenze di esprimerla e di esercitarla.

In questo lavoro è stata aiutata non solo da colleghi onorari, ma anche, fattivamente, dai giudici professionali, alcuni dei quali hanno collaborato al libro: giuristi minorili tra i più qualificati nella ricerca e nella formazione, come Elisa Ceccarelli, già presidente del tribunale dei minorenni di Bologna; Luciano Spina, giudice del tribunale dei minorenni di Trento; Piercarlo Pazè, direttore di Minorigiustizia, che ha impostato la parte strettamente giuridica del lavoro.

L’aiuto maggiore, però, Piera Serra l’ha avuto sia dai numerosi casi che ha seguito nei suoi dieci anni di pratica presso il tribunale dei minorenni di Bologna, sia dalla sua capacità di coniugare la prassi ad una rigorosa riflessione teorica, al fine di intrecciare i vari fili che compongono l’identità di una figura che ora viene finalmente definita, anche grazie a questo libro, nel suo giusto spessore, nel suo profilo specifico, nei suoi necessari limiti.

Non a caso ho parlato di limiti. L’operatività del giudice onorario è infatti limitata sotto vari punti di vista. Anzitutto dalla sua posizione contrattuale, che ne prevede la presenza per un tempo massimo di nove anni (con una riconferma, ogni tre anni, da parte del Consiglio Superiore della Magistratura, in conformità ad una graduatoria trasmessa dal competente Presidente del tribunale dei minori). Secondariamente perché deve adattare la propria operatività ad una situazione molto diversa da quella d’appartenenza. Il fine è di contribuire con le proprie conoscenze e la propria sensibilità professionale alla comprensione dei fattori psicologici, pedagogici, medici e sociali che entrano in gioco in tutte le decisioni assunte dal tribunale nell’interesse dei minori.

Tali decisioni vengono sempre assunte, in forma collegiale, da giudici professionali e onorari, anche se l’onorario può essere delegato, dal collegio di cui fa parte, a svolgere, in parziale autonomia, alcuni interventi nel settore amministrativo, penale o civile. Il campo d’intervento, nel primo di questi settori, è generalmente quello di supportare l’affidamento ai servizi sociali del minore sottoposto alla misura della "libertà assistita". Nel secondo settore, il campo d’intervento è quello di seguire il minore che ottiene la misura alternativa della "messa alla prova", in collaborazione con gli operatori dei servizi del ministero e del territorio. Nel terzo settore, il campo d’intervento è piuttosto esteso: si tratta di formulare le valutazioni necessarie al pronunciamento dell’idoneità delle coppie all’adozione nazionale e internazionale, di predisporre gli abbinamenti del minore in stato d’abbandono con le coppie idonee a adottarlo, di promuovere sia i colloqui che concludono il periodo di un anno d’affido pre-adottivo sia i colloqui con le persone adottate che desiderino conoscere le proprie origini.

Alla descrizione di tutti questi interventi Piera Serra accompagna il racconto di brevi ma efficaci illustrazioni cliniche, come a voler prendere per mano il lettore e rendergli più facile il compito di seguirla giacché, soprattutto nella prima parte, la trattazione richiede un notevole sforzo d’astrazione e di contestualizzazione. Nella prima parte, infatti, descrivendo il profilo del giudice onorario minorile, argomento privo finora di letteratura, l’autrice entra in argomenti complessi, che possono potenzialmente mettere l’onorario in conflitto con le altre professioni e con il luogo in cui esercita le proprie funzioni.

I temi che affronta sono tra loro molto diversi. Il primo è quello del confronto tra l’attuale statuto epistemologico della scienza, del quale l’onorario per scelta professionale è portatore e che, almeno in campo psicologico, si è profondamente modificato negli ultimi anni, assumendo sempre più connotazioni "costruttivistiche", rispetto al tradizionale, sano, ma ormai obsoleto, principio di "realtà" vigente in un tribunale. Il secondo, cogente, è quello del rischio che può correre l’onorario se non sa adattare con flessibilità la propria identità e il proprio fare professionale d’appartenenza alle diverse situazioni in cui sta operando. Il terzo è legato all’affermarsi di una capacità d’analisi della risposta emozionale alla situazione di giudizio — degli imputati e degli altri attori coinvolti, tra i quali gli stessi giudici — e pertanto alla necessità di un costante lavoro sul proprio coinvolgimento emotivo. Il quarto è il tema della deontologia professionale dell’onorario, che deve saper rispettare, oltre al proprio codice deontologico, anche quello del giudice professionale.

Tutto questo per arrivare infine ad un’effettiva integrazione, non solo di diversi professionisti, ma anche di diverse culture, nella consapevolezza e nella necessità di attuare quella convergenza d’obiettivi, patrimonio di entrambi (onorari e professionali), nell’assistenza non solo all’infanzia e all’adolescenza, ma anche alla maternità e alla paternità, spesso segnate da tragiche e dolorose vicende di vita.

Di tutto questo si occupa nello specifico la seconda parte del libro. In questa recensione mi limito, però, a segnalare solo un argomento in modo particolare. Quello della ricerca e della rivelazione delle proprie origini, tema al quale Piera Serra sta ancora lavorando. Non penso che sia necessario chiamare in causa Paul-Claude Racamier, anche se l’Autrice — non solo per il taglio della sua ricerca ma anche per la sua originale capacità di mettere insieme creativamente paradigmi sistemico-relazionali e psicoanalitici — lo evoca, per comprendere l’importanza che hanno la consapevolezza e l’elaborazione di questo lutto originario per la nascita di un’identità sana in ciascuno di noi.

In conclusione, credo che questo libro possa interessare tutti, anche se, dal titolo, appare rivolto solo a un pubblico specializzato.

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