Riccardo Dalle Luche – Sara Bargiacchi
LE DEPRESSIONI INVISIBILI
La malinconia nel terzo millennio: una lettura clinica e fenomenologica.
GIOVANNI FIORITI EDITORE ROMA 2005
Riccardo Dalle Luche, medico, psichiatra e psicoterapeuta di formazione fenomenologica, ha dato alle stampe un libro dedicato al tema della depressione, scritto in collaborazione con Sara Bargiacchi , frutto di una quarantennale esperienza clinica e riflessione epistemologica sui nodi più problematici di una malattia mentale che, nonostante i notevoli progressi in ogni ramo del sapere per curarla, rimane ancora molto complessa dal punto di vista diagnostico, prognostico e terapeutico, talora non riconosciuta come tale o fraintesa con altri disturbi psichici. Il testo, scritto in un linguaggio chiaro e colloquiale, si articola in due parti: la prima, preceduta da un Prologo e una Introduzione, è composta da dieci capitoli ed è dedicata ai modelli psicopatologici e clinici dei disturbi affettivi, mentre la seconda, più breve ( un altro prologo e tre capitoli) passa in rassegna tutte le diverse modalità terapeutiche utilizzate nella pratica corrente.
Il primo Prologo è costituito dalla lettera di una paziente, nella quale troviamo l’originale espressione depressioni invisibili , cui il saggio è dedicato, che ben si attaglia alla titolazione, connotandone l’intendimento generale. Nell’Introduzione si chiarisce, preliminarmente, di voler rimediare ad una lacuna dell’ odierna letteratura specializzata in quanto “ manca nei manuali attuali una descrizione fenomenologica minuziosa di quello che in prima persona ci riferiscono i pazienti e una riflessione critica su cosa sia questa condizione morbosa tra le più dolorose degli esseri umani ” (p1).Fin dall’inizio si dichiarano precipue finalità didattico-divulgative, con l’intento di fornire a studenti e ad un più vasto pubblico non solo le nozioni cliniche fondamentali ma anche di restituire i vissuti dei pazienti, soprattutto di quelli che patiscono delle forme sintomatologicamente meno eclatanti, “ invisibili ”, appunto.
Già a partire dal primo capitolo si propongono temi che poi vengono ripresi e approfonditi nei capitoli successivi, chiarendo subito che, contrariamente al senso comune, in realtà la depressione ha poco a che spartire con la tristezza, poiché quando essa si manifesta nella sua forma più seria “ il paziente è afflitto dal più penoso dei sentimenti depressivi, l’assenza di sentimenti”(p.5), pertanto, paradossalmente, non prova tristezza, talora lamentandosi, addirittura, di non riuscire neppure a piangere! Nel prosieguo, troviamo la prima e classica distinzione nosografica delle due principali forme depressive : quella “maggiore”, o psicotica, e quella “minore”(ex nevrotica), nonché le altre variegate distimie. Pur essendo caratterizzate da sintomi specifici, sui quali torneremo, talvolta si assiste alla sovrapposizione dei quadri clinici , complicando il problema della valutazione poiché non esiste un vero e proprio sintomo patognomonico che consenta sempre e comunque di fare una esatta diagnosi differenziale, come accade invece in medicina, laddove un determinato segno clinico è l’espressione di una ben individuata patologia(ad esempio, le manifestazioni esantematiche del morbillo o macchie di Koplik ).
Ad uno sguardo più generale, ovvero sotto l’aspetto clinico-epistemologico, vengono affrontati i temi centrali che riguardano il profilo di una delle malattie mentali più tipiche che coinvolge l’intera gamma della sfera affettiva nelle sue multiformi manifestazioni, dalle elementari cenestesi corporee e vitali ai vissuti emozionali, fino ai sentimenti psichici superiori come l’amore, l’odio , il desiderio , la nostalgia, richiamando direttamente le riflessioni del filosofo M. Scheler ma che, indirettamente, ci riconducono all’analisi delle passioni che R. Cartesio e B. Spinoza svolsero quattro secoli fa.
Particolare attenzione viene poi dedicata, nel secondo capitolo, ai disturbi dell’ umore, di fondamentale importanza dal punto di vista medico poiché su tali nozioni si costruiscono i modelli clinici utili per comprendere anche manifestazioni più gravi, come la melanconia o la bipolarità.
L’umore è uno condizione mentale “ di difficile e non univoca definizione” (p.19), rappresentando “ il tono affettivo di fondo che permea e modula lo stato d’animo di un individuo e le sfere della volontà e dei comportamenti” (ivi), ed è stato trattato dai grandi autori della medicina antica e moderna (Ippocrate, K. Schneider, Janet, Tatossian, Binswanger, solo per citare i nomi più famosi): esso è lo stato emotivo di fondo che condiziona l’espressione e il valore positivo o negativo dei sentimenti, ed anche la regolazione (inibizione e disinibizione) delle emozioni. Un concetto molto complesso, insomma, mai esaurito teoreticamente che coinvolge la totalità dell’ esistenza e, a questo proposito , si citano sia il concetto heideggeriano di Befindlichkeit (che il filosofo di Messkirch introduce nel paragrafo 29 di Essere Tempo) sia quello aristotelico di sensorium commune del De anima, proprio per sottolinearne l’intrinseca dimensione ontologica(p.22)
Le multiformi e variegate espressioni fenomeniche della depressione, che i modelli nosografici dei vari DSM ascrivono alla categoria dei “ disturbi dell’umore ”, sono state oggetto di quantificazione attraverso scale di valutazione e relativi punteggi ma tale tentativo si è rivelato spesso fallimentare: qui incontriamo il nodo filosoficamente più delicato, connesso allo statuto epistemologico della stessa psichiatria, alla quale l’Autore ha dedicato, negli anni ,specifici e notevoli contributi1: “ dobbiamo trarre la consapevolezza che dopo duecento anni di pratica e di studi, lo statuto medico della psichiatria è sempre molto precario, almeno concettualmente ”( p.32). Queste aporie teoretiche rimandano alla vexata quaestio circa la “natura “ della malattia mentale, fenomeno né interamente psicologico né interamente somatico, che riconduce, in ultima analisi, ai complessi rapporti tra dimensione psichica e dimensione corporea, ai quali lo stesso pensiero filosofico ha dedicato secoli di riflessioni, da quelle aristoteliche sui rapporti tra anima e corpo, al “dualismo cartesiano”, fino agli orientamenti husserliano-heideggeriani delle psicopatologie fenomenologico-esistenziali novecentesche. Ogni posizione che tende alla assolutizzazione della componente corporea rispetto a quella psichica, e viceversa, appare ancora del tutto parziale, non ancora sufficiente nello sforzo di cogliere la profonda essenza del ” fenomeno ”. Al di là tali questioni filosofiche, sul piano clinico va considerata l’urgenza di far fronte agli aspetti più problematici della malattia depressiva, pertanto l ’ Autore pone l’esigenza necessaria di un “ modello psicopatologico integrato”(p.50), nominando nel contempo altri grandi maestri della tradizione (Kraepelin, Janet, Tellembach, Binswanger, Tatossian) alla cui lezione è ancora importante richiamarsi.
Tornando alle manifestazioni sintomatologiche e alle forme prototipiche della depressione come malattia in sé, cui sono dedicati gli altri capitoli della prima parte, si riprendono e approfondiscono concetti clinici già introdotti nel primo capitolo, richiamando la classica distinzione tra depressione maggiore o psicotica , più grave, e depressione persistente (ex depressione nevrotica ), in apparenza meno grave ma non per questo meno difficile a curare. La prima forma è di natura sostanzialmente “biologica” e risponde bene ai trattamenti psicofarmacologici ; talvolta , nei casi più gravi, possono presentarsi ideazioni deliranti, come accade nelle forme melanconiche e nella nota sindrome di Cotard, in cui il paziente arriva a negare l’esistenza degli organi interni ; anche il serio problema del suicidio va sempre tenuto presente in queste situazioni.
La seconda forma viene “ erroneamente considerata minore, in quanto può essere, per la sua cronicità, fonte di grave e persistente danno per la salute della persona ” (p.73), non risponde altrettanto bene al trattamento farmacologico e necessita di un supporto psicoterapeutico costante e prolungato nel tempo. Talora i pazienti riescono a mascherare la profonda sofferenza psichica al punto da apparire “normali” nella vita di relazione, il che rende “ invisibile ”, appunto, il disturbo depressivo, come è testimoniato dalle lettere di pazienti riportate nel libro.
Talvolta però nella, pratica quotidiana, come già ricordato, i quadri possono sovrapporsi, rendendo così problematica, una rigorosa diagnosi differenziale.
Nel panorama clinico si distingue anche la “psicosi maniaco-depressiva” esemplarmente descritta da Emil Kraepelin tra Ottocento e Novecento, caso di malattia del tutto peculiare, manifestandosi in “ forme bipolari”, caratterizzata da un andamento ciclico in cui ad una fase maniacale, punteggiata da episodi vari di esaltazione maniacale, nei quale il paziente può compiere le azioni più singolari e spregiudicate, segue uno stato depressivo :“ La ciclicità delle fasi, con l’alternanza tra fase depressive e fase maniacali può essere la più varia, ma a volte la malattia presenta nel singolo individuo una periodicità relativamente precisa, ad esempio in determinate stagioni, oppure con ricadute in lassi di tempo regolari ”(p.98).
Il sesto capitolo riveste una particolare importanza dal punto di vista medico-diagnostico poiché descrive accuratamente le forme prototipiche della depressione, fra le quali troviamo aspetti meno tipici e perciò sottodiagnosticati, magari mascherate da un corteo di sintomi somatici ,oppure le forme che si manifestano nei di disturbi dell’alimentazione, che affliggono in modo particolare il sesso femminile( ciclo anoressia-bulimia), peraltro già gravato da altre manifestazioni in particolari condizioni( gravidanza, post-partum, periodo mestruale)
Nei capitoli successivi il testo si arricchisce di ulteriori esposizioni dettagliate del “ polimorfismo depressivo ”, fornendo un quadro veramente completo di ogni aspetto clinico-psicopatologico , dando conto, in modo sintetico ed efficace, del dibattito scientifico e diagnostico-terapeutico contemporaneo, senza trascurare gli aspetti più squisitamente filosofici e letterari, relativi agli scrittori che hanno sofferto di disturbi depressivi.
La seconda parte, interamente dedicata alla terapie, si apre con il Prologo di un’altra paziente che, ai fini di un trattamento efficace, sottolinea la necessità che il terapeuta riesca ad andare ‘ oltre il farmaco’ poiché “ solo chi sa accogliere quel dolore dà conforto e apre il varco a qualsiasi terapia ” (p 125). Le parole della paziente introducono la complessa e centrale questione dell’approccio psicofarmacologico nella terapia della depressione e sul ruolo del medico stesso. Come già accennato, soprattutto, ma non esclusivamente, il ruolo dei farmaci è imprescindibile nel caso della depressione maggiore e dei disturbi bipolari : esiste tutta una classe di tradizionali farmaci ‘ antidepressivi ’( IMAO e triciclici) che, scoperti più di 60 anni fa, dimostrano ancora tutta la loro efficacia terapeutica, nonostante i numerosi effetti collaterali. A partire dagli anni ’80,” grazie anche a imponenti operazioni di marketing internazionale “ (p.137) sono stati introdotti altri farmaci, basati, sostanzialmente, sulla inibizione della funzione neuromediatrice della serotonina nelle sinapsi cerebrali, i cui vari recettori vengono bloccati attraverso vari meccanismi di azione. L’ipotesi scientifica qui sottesa è ,ovviamente, il legame biochimico causale tra livelli di serotonina e ‘malattia ’depressiva, così come i livelli di glucosio nel sangue determinano la condizione di diabete mellito. Ultimamente, poi, è stato introdotto un altro farmaco ,l’esketamina, a somministrazione intranasale, che, grazie alla capacità di annullare, in modo transitorio e parziale, la coscienza “ viene sempre più associata alla psicoterapia(…) per potenziarne l’efficacia ” p(138). Il panorama della psicofarmacologia si è dunque ampliato e complicato notevolente, pertanto il medico deve dimostrare una particolare abilità nella somministrazione di vecchi e nuovi farmaci, contemperando benefici ed effetti collaterali ( l’antico adagio primum non nocere è ancora valido), con la capacità “ sartoriale “ di confezionare un ‘cocktail ’ di farmaci su misura per il paziente, attitudine che si può sviluppare solo dopo anni di pratica clinica. Al tempo stesso ,però, la pratica farmacologica non può essere disgiunta dalla consapevolezza della sua limitata efficacia “ Nessuno ha mai dimostrato un’efficacia diretta degli antidepressivi sul tono dell’umore o identificato una pillola della felicità, come si diceva ai tempi dell’uscita della fluoxetina ”(ibidem). Resta fermo, in ogni caso, il ricorso alla somministrazione di farmaci nei casi più gravi di depressione maggiore e nelle sue varianti bipolari, dove , per esempio, un ‘ vecchio farmaco ’ come i sali di litio dimostra ancora la sua validità nella stabilizzazione dell’umore e nella capacità di ridurre il rischio di suicidio.
Arrivando alle Riflessioni finali l’Autore propone alcune considerazioni prospettiche circa l’inquadramento e il trattamento di questa specialissima ‘malattia’, la cui causa, in ultima istanza,” è sostanzialmente biologica ” (p.159). Al tempo stesso, tuttavia, la depressione, è un fenomeno tipicamente umano e, benché possa manifestarsi anche nei mammiferi superiori( come scimmie e cani) non bisogna mai dimenticarne la dimensione coscienziale ed esistenziale: “ il depresso è lucido e profondo, a volte portatore di uno sguardo acuto e penetrante sul mondo attuale ” (p.160), dai vissuti depressivi, infatti, sono scaturite opere letterarie, artistiche e filosofiche. Il paziente depresso, dunque, richiede una ‘atteggiamento fenomenologico ’ basato sull’ascolto empatico, egli è l’Alter-Ego rispetto al quale il terapeuta deve entrare i risonanza emotiva, coglierne le esigenze profonde, offrire un aiuto professionale ma non distaccato: solo in questo modo è possibile arrivare ad una comprensione più autentica e “ scientifica ” della depressione, superando l’astrattezza delle stesse categorie diagnostiche della nosografia psichiatrica. L’ Autore, quindi, giunge alle seguenti conclusioni: benché “ l’ampia gamma dei disturbi depressivi resta ancora non sufficientemente definita, non riconosciuta e non adeguatamente trattata(…)la depressione va sempre e comunque ascoltata e saputa ascoltare”.
Una lettura agile e stimolante, che rivela uno sguardo aggiornato e critico sui disturbi depressivi, in grado di offrire, al tempo stesso, una panoramica esaustiva anche sui cambiamenti antropologico-sociali in una società sempre più “ liquida “ , disancorata dalle tradizionali strutture relazionali e caratterizzata da fenomeni inediti (generazioni e nomadismo digitali, cambiamenti dei ruoli e dei generi, etc.) che incidono non poco sulle multiformi manifestazioni cliniche della depressione.
1 Tra i più recenti lavori ricordiamo R. Dalle Luche, Principi di psicoterapia clinica e fenomenologica, Mimesi, 2021
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