Umberto Saba
Lettere sulla psicoanalisi
Editore SE – Studio Editoriale, Milano
pp. 126, € 19,00
Dei tre grandi triestini, Umberto Saba, Italo Svevo (pseudonimo di Aron Hector Schmitz) e Arturo Nathan, solo Svevo scrisse di psicoanalisi nel suo famoso La coscienza di Zeno senza mai aver fatto l’esperienza di analisi. Degli altri due, fu Arturo Nathan (Trieste, 17 dicembre 1891 – Biberach an der Riß, 25 novembre 1944), pittore italiano di origine ebraica, a consultare per primo Edoardo Weiss nel 1922, per risolvere una forma di depressione mista ad ansia esistenziale. Weiss consultò Freud sul caso, come riporta lo stesso Weiss nelle sue memorie contenute in Sigmund Freud come consulente, un piccolo libro uscito nel 1971 e prontamente tradotto da Astrolabio un anno dopo che, tra l’altro, si avvale della prefazione di Emilio Servadio – ma su Weiss e l’alba della psicoanalisi italiana non si può prescindere dal bellissimo studio di Rita Corsa, Edoardo Weiss a Trieste con Freud. Alle origini della psicoanalisi italiana. Le vicende di Nathan, Bartol e Veneziani (Alpes, Roma, 2013).
Tornando a Lettere sulla psicoanalisi, questo piccolo libro, probabilmente poco conosciuto, è in realtà una perla, una perla che si pone tra la grande letteratura del Novecento e una fase dello sviluppo della psicoanalisi italiana particolarmente critica o, per meglio dire, delicata.
Da un lato Umberto Saba, che condivide con Italo Svevo l’interesse vivo, appassionato per le scoperte freudiane e, dall’altro, un analista dimenticato, Joachim Flescher, che ai tempi dello scambio di lettere dirigeva la rivista Psicoanalisi, l’organo ufficiale della Società Psicoanalitica Italiana (una rivista che ebbe vita molto breve, solo due annate).
Le lettere che i due uomini si scambiarono vanno dall’agosto del 1946 al maggio del 1949. Non sono molte lettere ma, nel complesso, descrivono (a mio avviso) la nascita, il breve sviluppo e la morte di una intesa intellettuale e anche emotiva che non è maturata, non è cresciuta e, al contrario, si è deformata ben presto.
È Flescher che scrive per primo e lo fa per congratularsi per la difesa della psicoanalisi scritta da Saba, in risposta a una lettera al direttore di Benedetto Croce, pubblicata sulla rivista Fiera Letteraria, in merito ai rapporti tra psicoanalisi e poesia.
Flescher continuerà nelle lettere successive a elogiare Saba: “Lei, che considero il più competente in psicoanalisi fra i non professionali” (p. 13), “Caro Mastro, le mando i primi due volumetti della ‘Collana Psicoanalitica’ in omaggio a chi sapeva così spesso e con tanto coraggio difendere la psicoanalisi” (p. 18), anche se in una lettera precedente Saba sbaglia a scrivere il nome dello psicoanalista, dicendo di non ricordare bene come si scrive, scusandosi – scuse che Flescher non accetta, pur se in tono scherzoso…
Poi le cose si complicano. A fronte di alcune notizie che Saba offre all’analista circa la sua salute mentale, Flescher risponde con una specie di lezione di tecnica analitica (lettera del 25 gennaio 1949) e in una missiva successiva Saba fa cenno a Edoardo Weiss (con cui aveva fatto l’analisi dal 1929 al 1931, anno in cui Weiss lasciò Trieste per Roma): “alludo all’affetto che provavo, e provo ancora, per il libretto Elementi di psicoanalisi del dott. Weiss. Egli occupava un tempo, il posto che lei occupa oggi; era il ‘leader’ dei psicanalisti italiani” (p. 22), esprimendo poi una visione critica circa l’uso dell’elettroshock di cui Flescher aveva scritto, in chiave positiva, nel suo libro Psicoanalisi della vita istintiva (Scienza Moderna, Roma, 1948) – ma vedi anche, di Joachim Flescher, Psicoanalisi e profilassi del suicidio (Scienza Moderna, Roma, 1949) entrambi pubblicati nella Collana Psicoanalitica in cui uscirono anche le traduzioni, sempre a cura di Flescher, di due saggi di Freud.
Alcuni commentatori hanno visto in questa confessione di Saba a Flescher il nucleo del successivo deragliamento della loro relazione, imputando a Saba di aver sviluppato una sorta di transfert problematico su Flescher, resuscitando alcune situazioni non risolte di ambivalenza vissute nell’analisi con Weiss. Io credo, invece, che il punto cruciale stia nella risposta astiosa e distruttiva che Flescher scrive nella lettera del 20 febbraio 1949, esprimendo giudizi molto negativi su Weiss, e citando anche i commenti non certo positivi che Weiss aveva pubblicato sulla rivista Psychoanalytic (non “Psychiatric”, come è riportato nel testo) Quarterly su ciò che Flescher aveva scritto in merito alla terapia di shock.
Lasciando al lettore la possibilità di formarsi un giudizio proprio sullo scambio di opinioni che riguardano la triade Saba, Weiss, Flescher, riporto alcune, laconiche parole di Umberto Saba in risposta alle critiche espresse da Flescher su Edoardo Weiss: “Caro amico, ho ricevuto la sua lettera. Mi ha fatto un po’ male sentir parlare male di Weiss… Il peggio è che la sua lettera ha ravvivato un antico sintomo, contro il quale non posso sperare, qui a Trieste, nessun aiuto” (p. 27). Aggiungo che l’asetticità che si legge nelle successive lettere di Flescher – frasi, che sintetizzo, come ‘non capisco perché i miei commenti le abbiano fatto male’, oppure ‘ non era necessario scomodare la psicoanalisi per ottenere un risultato così limitato in lei come paziente’… – vista con gli occhi di oggi, appare davvero difficilmente commentabile. Alla fine, arrivati alle ultime missive, se ne esce con il sospetto che, se da un lato Edoardo Weiss non dimostrò di essere un clinico particolarmente brillante, almeno nella relazione con Saba, pure Joachim Flescher non sembra brillare di doti di comprensione empatica né di rispetto della deontologia professionale.
Ma il libro contiene anche altri documenti di interesse, oltre naturalmente al testo con cui Saba difese la psicoanalisi dalle critiche di Benedetto Croce. Infatti, nella Appendice II sono riportate cinque lettere di Saba a Edoardo Weiss (scritte tra il 1949 e il 1955) e due lettere di Weiss a Linuccia Saba datate 1964.
Chiude il libro un poderoso apparato di Note e un interessante commento di Arrigo Stara (curatore del volume) dal titolo Un’istoria che non intenderanno.
Infine, credo importante segnalare tre titoli di grande interesse che sono stati pubblicati nel corso degli anni dall’editore SE – Studio Editoriale di Milano:
Diario di una giovinetta. Dagli undici ai quattordici anni e mezzo (pubblicato nel 2018 e tradotto da Elena Spagnol), un testo controverso scritto dalla psicoanalista austriaca Hermine Hug-Hellmuth (Vienna: 31 agosto 1871 – 9 settembre 1924), una delle pioniere dell’analisi infantile.
Il caso Ellen West, il famoso resoconto di Ludwig Binswanger, principale esponente dell’analisi esistenziale e della psichiatria fenomenologica (traduzione di Carlo Mainoldi, con una nota di Umberto Galimberti), pubblicato nel 2011.
E, ancora, un altro classico, a firma dello psicologo austriaco Bruno Bettelheim, La Vienna di Freud (e altri saggi), pubblicato nel 2018, che contiene numerosi lavori scritti nel tempo dall’autore e suddivisi in tre sezioni dal titolo Freud e la psicoanalisi, Dei bambini e di me stesso, e Degli ebrei e dei campi di concentramento (traduzione di Adriana Bottini)
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