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LA LEGGE DENTRO E FUORI LE MURA DI CASA

29 Giu 25

A cura di Maurizio Montanari

Voglio lasciare casa mia è la richiesta con la quale Luna si presenta in studio.

Ha 25 anni e due genitori. Motiva la richiesta descrivendo una situazione conflittuale ove il padre, molto ricco e influente nella città, ha deciso che lei lavorerà nell’istituto di credito da lui diretto. Il suo desiderio di non voler obbedire a questo disegno non sembra inizialmente sottendere ad una domanda, né pare così grave da giustificare la sintomatologia che si mostra sin dalle prime sedute: angoscia crescente, pianti irrefrenabili, dimagrimento, svenimenti, la parola che si tramuta in una olofrase ridondante: devo distaccarmi. Messaggi in apparenza indecifrabili, viatico al fluire dell’inconscio che, saprò, già si era manifestato. Sono qua anche perché non riesco più a dormire a causa di incubi. Nei sogni il padre la tocca, la sfiora, entra in doccia con lei e la accarezza. Ne sogna il membro in erezione sul letto. Dopo pochi mesi arriva a dire mio padre ha abusato di me, ora ne ho la certezza. Ma non riesco a ricordare quando. Il trascorrere delle sedute fa riaffiorare una zona opaca, una sensazione di intimità violata, la quale chiarifica ed affina l’inziale richiesta: forse non vuole separarsi da un luogo fisico, da un destino predeterminato, ma da una scena traumatica. Scivola nell’ossessivo tentativo di datare l’evento che genera una stasi delle sedute.

Mi interrogo su come procedere per andare oltre questa impasse. Decido di prendere una posizione: Io le credo, non è cos’ importante stabilire una data per quello che le è successo, poggiando questo taglio su Freud e Lacan. Freud inizialmente si era convinto dell’origine traumatica di successive manifestazioni psicopatologiche legate ad una seduzione sessuale infantile da parte di un adulto, teoria abbandonata e sostituita da quella delle fantasie infantili attive.

Dunque, con Freud, dico a Luna che la realtà psichica è più importante di quella storica, poiché siamo in una analisi, e che il significante principale è la sua sofferenza, anche nel corpo, che va oltre la variabile tempo. Sofferenza che va interrogata. Con Lacan invece mi soffermo sull’ evidenza di un soggetto traumatizzato che ha incontrato un fare opaco e predace. Non è trauma semplicemente ciò che ha fatto irruzione a un certo momento e ha incrinato da qualche parte una struttura immaginata totale. Il trauma è dato dal fatto che certi avvenimenti vengono a situarsi in un certo posto di quella struttura. Ecco dunque spiegata la fissità di Luna, il trauma come S1 che congelava il suo movimento, fisico e nella parola. A seguito del mio taglio Luna riprende ad articolare meglio i significanti e introduce la figura della madre. La sostengo dicendo me ne ha parlato poco sin qua. All’inizio è titubante, poi accetta di spostare l’asse del suo dire. Qualunque cosa sia successa, mia madre sapeva. Non ha fatto nulla per difendermi. Questa frase è il prologo ad una lunga e dura rivendicazione nei suoi confronti, sia in seduta, che tra le mura di casa. La incalza chiedendole perché non abbia fatto qualcosa se sapeva che il padre si era solito avvicinarsi troppo. La accusa di non aver vigilato e di essere stata complice, rimasta li in quel mondo ricco ed agiato, chiudendosi gli occhi. La madre risponde che non sapeva di nessuna violenza, minimizza la cosa ascrivendola a sue ‘fantasie malate’ e la invita a superare le angosce crescenti indicandole un centro di salute mentale del paese ove ella sa che il padre è molto conosciuto ( li ti cureranno, non lo psicoanalista). Questo fa inferocire Luna la quale rifiuta il ricovero perché la parola di mio il padre in paese è legge. Questo movimento spinge Luna a dire è venuto il tempo di andarmene. Un percorso analitico non può prescindere dall’implicazione del soggetto in ciò che gli sta accadendo. Il momento di rottura del confine padre -figlia avviene probabilmente in tenera età, per cui non posso insistere su un suo coinvolgimento soggettivo, essendo lei una ragazzina in balia dell’Altro.

La scelta sulla quale la interrogo è il motivo per cui, viste da tempo le dinamiche familiari conflittuali, ella non abbia mai sentito il bisogno di allontanarsi. Il motivo è prettamente economico. I genitori le davano il denaro che le serviva per vivere. Una posizione di comodo che, sino all’irruzione dell’inconscio, le permetteva di non pensare ad un distacco. Nel giro di 10 mesi cambia regione, si iscrive all’Università trova un piccolo lavoro, conosce un ragazzo col quale, a tutt’oggi, fa coppia fissa. La struttura familiare deflagra. Il padre fa una denuncia per persona scomparsa, e io vengo convocato dalla polizia che mi domanda dove sia la ragazza e con chi abiti. Oppongo il rifiuto invocando il segreto professionale. Un mese dopo la madre viene in studio presentandosi con un nome falso. Voleva sapere ove fosse la figlia e se io ero a conoscenza della violenza subita da lei. La allontano facendomi forza anche in questo caso del segreto professionale. Anche da separati continuano il gioco perverso, come se la dipartita della figlia abbia sollevato un velo sul loro godimento basato sul controllo e la connivenza, meccanismo oggi costretto ad uscire allo scoperto e, per continuare a funzionare, obbligato a chiedere auto alla legge.

Da un lato il padre chiede alla polizia di rintracciare la figlia che si è svincolata dalle sue spire, in seguito la madre viene in studio per carpire le medesime informazioni. In ultimo la madre si reca in procura e denuncia il padre per abusi sessuali sulla figlia. Di nuovo vengo convocato per sapere se sono a conoscenza della violenza, e di nuovo oppongo il segreto professionale. La legge italiana obbliga a violare il segreto professionale qualora si venga a conoscenza che il proprio paziente abbia commesso o subito un reato perseguibile d’ufficio Ma io, con Freud, non ho testimonianza di fatti databili.

Rifletto su questo ultimo passaggio all’atto: dubito si tratti di una vendetta verso il padre, visto il loro sodalizio connivente. Più facile ipotizzare il tentativo materno di invalidare le accuse di violenza della figlia davanti alla legge per ribadirne lo statuto di oggetto. La lex perversa ha continuato ad agire anche quando i membri erano ormai divisi, con Luna avviata verso un processo di distacco. L’equilibrio della coppia si basava sulla presenza della figlia come fulcro di questa impalcatura.

La mia posizione in seduta si è articolata su diversi passaggi.

Dapprima il credere alle sue parole l’ha sganciata dal trauma portandola ad una rinuncia a datarlo. In seguito ho chiesto la sua posizione nei confronti della madre dandole la possibilità di esplorare la sua complicità col padre.

In ultimo l’ho sostenuta nell’atto di uscire di casa. Poi mi sono recato davanti alla legge.

Entrambe le posizioni, dentro e fuori lo studio, sono state assunte per difendere Luna, come soggetto, dal tornare nella pozione di oggetto del godimento dall’Altro familiare, con entrambi i genitori attori attivi di questo maneggio.

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