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L’agonia di un attacco di panico e la cura del Poeta: “Eleonora” di Saba

6 Ago 23

A cura di Sabino Nanni

La cura di un attacco di panico si avvale di diversi, possibili strumenti tecnici. A giudizio di chi scrive, tuttavia, l’elemento determinante, quello capace di produrre un cambiamento duraturo nel paziente, è rappresentato dalla qualità della relazione terapeutica. Non necessariamente medico e malato se ne rendono conto; tuttavia, nel caso d’interventi efficaci (se il paziente ne è recettivo), viene riprodotta, mutatis mutandis, la più antica esperienza di cura. Si tratta di ritrovare l’amore arcaico materno: un affetto talmente puro che non viene neppure riconosciuto come amore (quello adulto non è mai privo di egoismo e violenza); esso è capace di vivificare: interiorizzato, rappresenta la principale “vis sanatrix naturae”. Sommi Artisti, come Dante, Raffaello e Bach, lo celebrarono come amore per la Madonna; Saba lo ritrova in una ragazzetta che fa la cameriera in un’osteria: qui l’arte di Saba si avvicina a quella del Caravaggio.

Ecco come Saba descrive la sua crisi:

Ero entrato davvero in agonia.
Una nuvola avevo innanzi agli occhi,
e il cor batteva lugubri rintocchi.
Mancar credevo, di colpo, per via.

Forse non era che malinconia.
Ma così orrenda, ma così… Lasciamo.
Non voglio dire cose che non amo,
che fanno pena………………

A freddo, la sua capacità di giudizio adulto lo porta a definire “malinconia” la sensazione provata nel momento della crisi. Immerso in tale tipo di sofferenza, però, egli ha avvertito non emozioni descrivibili in parole, ma orribili sensazioni fisiche di agonia. Per inciso, il termine “agonia” rispecchia più fedelmente di “malinconia” la natura del malessere avvertito dal Poeta: si tratta di una sensazione di fine della vita imminente, non di una morte interiore già avvenuta, come nella grave depressione. Con un freddo linguaggio psichiatrico, potremmo definire tale malessere come “attacco di panico”.

Istintivamente Saba cerca e trova la cura più efficace in una forma infantile di sollievo:

… Voglio dire invece
come da quella morte a campar fece
l’anima mia, come da quel sì nero
flutto emerse il mio capo. Un buon pensiero
mi venne, un buon pensiero veramente.

Ed ubbidirgli non costava niente
dolore a me, niente dolore altrui.
Senza quasi volerlo, al luogo fui
dove, ai miei lenti passi, m’ha portato.

…………………………………………..

Là una fanciulla ti viene a servire,
del padre ancora e della madre amante.
O puro amore, o grazia folleggiante!
Ella ha un nome dolcissimo: Eleonora;

e un viso ancor più dolce, di pastora.

A un uomo in agonia
Davi conforto tu
…………………………………………….

E in te non so qual cosa;
una dolcezza strana,
oggi in creatura umana
quasi misteriosa.

Come l’esperienza antica della minaccia di una perdita totale non viene, più sopra, descritta col termine adulto (improprio) di “malinconia”, ma come sensazione infantile di agonia, altrettanto fa il Poeta riguardo all’esperienza del conforto. Non dice d’aver trovato, in Eleonora, qualcosa di “materno” (o, peggio, di “terapeutico”), ma una “dolcezza misteriosa”, ossia avvertita in modo vivo ma non definibile, come la può vivere un bambino molto piccolo.


Io non so s’altri scerna
quello che in te ho veduto.
Un angelo ho veduto
servire alla taverna.

Che pace in cor si spande
a vederti girare
fra i tavoli, portare
leggera le vivande.

………………………………………….
Chi mi dava, e lo ignora,
nell’agonia conforto?
senza chi sarei morto
ieri a sera, Eleonora?

Non è questo un amore,
lo so. È qualcosa d’altro,
che custodire scaltro
saprò dentro il mio cuore.

……………………………
E lo sguardo che invano
mi chiedeva: Chi sei?
Io baciata t’avrei
la portatrice mano.

…………………………
… e una danza
il tuo passo pareva
che fra noi due metteva
eterna lontananza.

Un uomo in agonia
hai confortato tu.
Non ti scordar mai più
questo, Eleonora mia.

Forse è il Poeta che, per una sua esigenza interiore, ha voluto vedere, nella giovane cameriera, “un angelo”; forse è Eleonora stessa che, istintivamente, ha risposto al suo tacito messaggio di richiesta d’aiuto con sovrumana dolcezza; o forse entrambe le cose. La ragazza non è più una semplice cameriera che porta le vivande ai tavoli, ma una Nutrice angelica che, insieme al cibo, offre l’alimento della sua grazia, offre la vita. Saba è, per Eleonora, uno sconosciuto, e così lei per lui, ma fra i due si è creato il più familiare e antico dei legami. Si crea, così, un’esperienza capace di produrre, nell’animo del Poeta, un effetto indelebile, di cui egli saprà fare tesoro nel futuro.

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