Il nuovo papa Leone XIV ha iniziato il suo cammino. La breve durata dell’ultimo conclave appaiono indicare una forte convergenza sul cardinale americano Prevost, ritenuto il più capace di interpretare le esigenze e le necessità di una Chiesa internazionale. Le immagini e le testimonianze ci mostrano un papa sereno e convinto di poter interpretare al meglio questo ruolo sulla scia di papa Francesco, con il presupposto di un forte appoggio dei suoi confratelli. Il rimando è quello di un papa tonico e disponibile, in netta contrapposizione con il cardinale interpretato qualche anno fa da Michel Piccoli nel bellissimo film “Habemus Papam”, angosciato dalla prospettiva di diventare papa, così come appaiono molto diverse le vicende del drammatico conclave rappresentato nel film “Conclave” del 2024 diretto da Edward Berger (https://www.psychiatryonline.it/rubriche/mente-ad-arte/conclave-il-film-spunti-immaginari-sul-conclave-reale/).
In “Habemus Papam” (2011) di Nanni Moretti, alla morte del Papa i cardinali si riuniscono in conclave in Vaticano per eleggere il nuovo pontefice. Dopo alcune votazioni inconcludenti, viene eletto a sorpresa il cardinale Melville (Michel Piccoli), un uomo anziano, mite e poco ambizioso. Atterrito dalla prospettiva di diventare papa, nel momento in cui dovrebbe affacciarsi alla loggia a seguito del tradizionale annuncio “Habemus Papam”, Melville ha un improvviso attacco di panico e si rifiuta di uscire ad accogliere gli applausi della gente radunata in piazza San Pietro e si rifugia all’interno del Vaticano.
L’apparato generale della Santa Sede entra in crisi. Il portavoce cerca di contenere la situazione comunicando ai media che l’annuncio sarà posticipato per motivi tecnici. Intanto, viene chiamato uno psicoanalista laico (interpretato dallo stesso Moretti) per aiutare il Papa a superare il blocco psicologico. Ma ogni tentativo di terapia si scontra con la rigidità del contesto e l’isolamento imposto dalle regole del conclave.
Nel frattempo, Melville approfitta di un momento di distrazione per fuggire dal Vaticano. Si ritrova libero di camminare per le strade di Roma come un uomo qualunque. Inizia così un percorso personale, durante il quale riflette sul peso della responsabilità che gli è stata assegnata e sulla propria fragilità.
Mentre i cardinali restano chiusi in Vaticano, tenuti all’oscuro di tutto e intrattenuti persino con un torneo di pallavolo, Melville si confronta con il suo passato, le sue paure e il senso del suo ruolo. Alla fine, dopo un lungo girovagare, viene riportato in Vaticano per assolvere al suo incarico.
Nel drammatico finale, davanti alla folla in attesa e ai cardinali, Melville rinuncia però pubblicamente al pontificato, dichiarando di non essere in grado di assumere il peso di quel compito. Il film si chiude lasciando una riflessione amara e profonda sulla solitudine del potere, sul senso di responsabilità e sui limiti dell’individuo di fronte alle istituzioni.
Storicamente il film “Habemus papam” si pone in un periodo storico di crisi del papato. Molti critici e spettatori hanno visto nel personaggio del cardinale Melville una figura ispirata a papa Luciani, eletto papa come Giovanni Paolo I nel 1978 e morto solo 33 giorni dopo, lasciando una scia di mistero, emozione e incompiutezza. Luciani, come Melville nel film, era noto per la sua umiltà e ritrosia ad accettare il ruolo papale. Le cronache dell’epoca raccontano che rimase sconvolto alla notizia della sua elezione. Pur non dichiarandolo apertamente, Habemus Papam si può leggere come una rievocazione simbolica di quel papa, uomo spirituale travolto da un incarico troppo grande. D’altra parte il film può anche rappresentare uno specchio di una crisi generale della figura del pontefice, anticipando in qualche modo la rinuncia al papato di Ratzinger (papa Giovanni Paolo II) avvenuta qualche anno dopo, vicenda che viene affrontata nel film “I due papi” (2019) diretto da Fernando Meirelles (https://www.psychiatryonline.it/rubriche/mente-ad-arte/i-due-papi-lo-sguardo-del-cinema-sulla-chiesa-del-papa/).
In “Habemus Papam” Michel Piccoli interpreta magistralmente il papa appena eletto ed in piena crisi da sovraccarico di responsabilità, con ansia crescente, attacchi di panico e fuga per le strade di Roma alla ricerca di aria fresca fuori dalle stanze claustrofobiche del Vaticano, per poi arrivare ad una rinuncia finale. Bilanciando una drammaticità con la grande ironia di Moretti, “Habemus Papam” sottolinea ancora una volta l’enormità dell’incarico che si assume diventando papa e il profondo logorio che ne deriva.
La Chiesa qui è vista come un’istituzione rigida, paradossale e autoreferenziale, a tratti grottesca. Al contempo esiste una sottile ironia indirizzata ad un’altra grande istituzione, la psicanalisi. Attraverso una sorta di rappresentazione del teatro dell’assurdo, la psicanalisi in effetti finisce per diventare più oggetto di amenità che di efficacia, dimostrando i suoi limiti quando è disinnescata del suo contesto relazionale. Contribuisce ad un clima surreale sia il paradosso di uno psicoterapeuta ateo (e piuttosto sicuro di sé) rinchiuso nel Vaticano a curare un Papa riluttante, sia la sua seduta con il papa attorniato dagli altri cardinali, il suo disquisire di psicofarmaci con cardinali che ne fanno ampio uso, il suo ridursi all’organizzazione di un torneo di pallavolo tra cardinali per passare il tempo, le dissonanze tra il linguaggio clinico e la dimensione spirituale, che rendono l’intervento terapeutico quasi grottesco.
“Habemus papam” esplora comunque in primo luogo l’angoscia esistenziale personale del potere spirituale e il peso della rappresentanza divina. Il papa eletto è un uomo che non riesce ad accettare il ruolo che gli viene imposto, e la sua rinuncia finale non è solo un gesto umano, ma anche una critica simbolica alla macchina ecclesiastica che soffoca l’individuo. Il nuovo papa presenta sintomi psichiatrici con un vero collasso identitario, e il Vaticano appare come una fortezza impenetrabile, incapace di comprendere o sostenere l’uomo dietro il simbolo. La sua rinuncia è un atto tragico di libertà personale, ma anche un fallimento collettivo.
A pochi giorni dalla sua elezione, la speranza è che papa Leone XIV non si trovi solo come il cardinale Melville, ma possa al contrario costruire un percorso attraverso il dialogo e la collaborazione più ampia possibile. Non sarà un compito facile, dato che abbiamo avuto testimonianza delle difficoltà che gli ultimi papi hanno avuto nel gestire alcune conflittualità interne alla Chiesa.
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