Percorso: Home 9 Le Rubriche 9 Il film “Fuori” e la storia di Goliarda

Il film “Fuori” e la storia di Goliarda

26 Mag 25

A cura di Matteo Balestrieri

Il carcere, da sempre luogo fisico di reclusione e privazione, si rivela nel cinema contemporaneo anche spazio di riflessione etica, trasformazione personale e crisi sociale. Tre film italiani recenti – “Fuori “(2025) di Mario Martone, “Grazie ragazzi “(2023) di Riccardo Milani e “Ariaferma “(2021) di Leonardo Di Costanzo – affrontano il tema della detenzione da prospettive differenti ma profondamente complementari.

Pur muovendosi su piani narrativi e stilistici diversi, le tre opere mettono al centro la tensione tra costrizione e libertà interiore, tra individuo e istituzione, tra silenzio e possibilità di espressione. Attraverso figure come la scrittrice incarcerata, l’attore che insegna teatro ai detenuti, o il secondino costretto a convivere con l’ergastolano, questi film disegnano un mosaico complesso in cui il carcere smette di essere solo sfondo e diventa protagonista simbolico della condizione umana.

Analizzarne le trame, i personaggi e i linguaggi permette di comprendere come il cinema italiano contemporaneo stia restituendo al pubblico una visione meno stereotipata e più profonda della realtà carceraria, fatta di relazioni, fragilità e inattese forme di libertà.

In particolare, il film “Fuori” (2025) attualmente nelle sale cinematografiche ripercorre la storia della scrittrice Goliarda Sapienza, scrittrice anticonformista e figura controversa del panorama culturale italiano, la cui bravura è stata riconosciuta solo dopo la sua morte nel 1996. Il suo capolavoro “L’arte della gioia” fu infatti pubblicato postumo in Francia, mentre solo recentemente si è destato un interesse verso la sua opera in Italia.

Il film “Fuori”, bene interpretato da Valeria Golino nella parte della scrittrice, e da Matilda De Angelis ed Elodie nella parte delle amiche, racconta la vicenda del carcere e soprattutto il periodo seguente, quello fuori dalla prigione, nel quale le tre si ritrovano tra alti e bassi.

Il film è ispirato al libro autobiografico L’università di Rebibbia” di Goliarda Sapienza. Il regista Martone adotta un approccio intimista, focalizzandosi sulle dinamiche interpersonali e sull’evoluzione emotiva dei personaggi. L’ingresso in prigione rappresenta un punto di rottura ma anche di rivelazione per Goliarda. Lì incontra un mondo umano e profondo, abitato da donne ai margini, criminali ma anche vittime di condizioni sociali degradate. In particolare instaura un legame intenso con Roberta, una giovane detenuta tossicodipendente, e con Barbara, una ragazza fragile. La convivenza tra le donne si trasforma in un’esperienza quasi comunitaria: nonostante le sbarre, tra loro si costruisce una forma di solidarietà e sorellanza.

Uscita di prigione, Goliarda si confronta con il vuoto della libertà e comprende che l’esperienza carceraria l’ha trasformata: ha imparato ad ascoltare, a fidarsi, a guardare il mondo con occhi diversi. I legami nati “dentro” si prolungano anche “fuori”, in una sorta di continuità emotiva che mette in crisi le distinzioni convenzionali tra libertà e prigionia. In primo piano c’è la solidarietà femminile, la trasformazione personale attraverso l’esperienza carceraria e la ricerca di autenticità nelle relazioni. I personaggi maschili non hanno rilievo, scompaiono nel racconto, mentre Goliarda si incaponisce nel cercare di capire un mondo femminile estraneo alla sua cultura ed estrazione sociale, più libero ma anche molto fragile e collegato alla malavita.

Inevitabilmente il film fornisce lo spunto per andare a scoprire la reale scrittrice Goliarda Sapienza. Per avere un quadro interessante della sua personalità fuori del consueto, si può guardare l’intervista che ha rilasciato nel 1994 (https://youtu.be/QqvhOl_4nRA?si=f4nFGdPcEruFxEW). Donna anticonformista e scandalosa immersa in un mondo altoborghese che frequentava mal volentieri, Goliarda nel 1979 aveva rubato la collana di un’amica nobile. Sui motivi di tale furto lei ha dato spiegazioni molto contraddittorie: ha affermato che, anche per rivalsa, stava mettendo alla prova i sentimenti della sua amica per capire se l’avrebbe denunciata, tuttavia si deve anche considerare che aveva un problema economico, essendo senza soldi e senza lavoro. Forse lo fece pure come atto eversivo, dissacrante, una ribellione a quel conformismo alto borghese che non sopportava più. Infine ha detto, forse per provocazione, che l’ha fatto per andare in carcere e conoscere così questa realtà che la affascinava.

Anche sulla durata della detenzione in carcere per il furto c’è molta incertezza. In L’università di Rebibbia Goliarda Sapienza racconta la sua esperienza carceraria ma non specifica esplicitamente la durata esatta della sua detenzione. Il testo si concentra più sulle dinamiche umane e sociali all’interno del carcere che su dettagli cronologici precisi. Diverse fonti esterne al libro indicano che la scrittrice trascorse alcuni mesi nel carcere di Rebibbia nel 1980. Lei però ha affermato che è stata condannata a 4 mesi con la condizionale. La voce italiana di Wikipedia menziona in effetti una detenzione di soli cinque giorni. Questa discrepanza potrebbe derivare da diverse interpretazioni o da errori nelle fonti. Ma forse ci sono altre ragioni. Per esempio, il marito Angelo Pellegrino dice che fu detenuta solo per cinque o sei giorni, ma che lei non voleva dirlo, perché avrebbe sminuito l’importanza di quello che aveva da dire sul carcere.

In realtà lei il carcere lo aveva studiato bene, perché figlia di genitori anarchici e antifascisti e sorella di numerosi fratelli, alcuni morti a causa della mafia e del regime fascista. Rimane tuttavia la sensazione, avvalorata dal film, che l’esaltazione dell’esperienza nel carcere sia stata un’espressione intellettualistica e idealizzata di un vissuto di rapporti e comunicazioni sinceri, tanto che non tanto importante era l’esperienza della carcerazione in sé, quanto invece il suo contrasto con la falsità dei rapporti che lei viveva fuori. Goliarda ha in effetti scritto: «Sono da così poco sfuggita all’immensa colonia penale che vige fuori, l’ergastolo sociale distribuito nelle rigide sezioni delle professioni, del ceto, dell’età, che questo improvviso poter essere insieme – cittadine di tutti gli strati sociali, cultura, nazionalità – non può non apparirmi una libertà pazzesca, impensata».

In sintesi quindi l’esperienza del carcere, lunga o corta che sia stata, è stata un momento fondante della vicenda personale di Goliarda, la quale ha utilizzato una metafora per esprimere in modo paradossale l’equivalenza prigione-libertà e il fuori come prigione, per rappresentare la sua necessità di entrare in contatto con la vitalità di un mondo in cui tutti sono inclusi e accettati.

Loading

Autore

0 commenti

Invia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

Caffè & Psichiatria

Ogni mattina alle 8 e 30, in collaborazione con la Società Italiana di Psichiatria in diretta sul Canale Tematico YouTube di Psychiatry on line Italia