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Sette domande a Jimmie C. Hollande

17 Set 12

Di teresagrassi.mail

 

Jimmie C. Holland, M.D. rappresenta una figura centrale nella fondazione e nello sviluppo della psiconcologia come sub-specialità dell’oncologia, quest’ultima dedicata allo studio delle variabili psicologiche, sociali e comportamentali del cancro. È direttore del Dipartimento di Psichiatria e Scienze Comportamentali al Memorial Sloan-Kettering Cancer Center (MSKCC), dove è titolare della Cattedra Wayne E. Chapman di Psichiatria Oncologica. Sotto la sua direzione nell’ultimo ventennio il Dipartimento di Psichiatria del MSKCC ha sviluppato il più ampio programma di training clinico e ha la ricerca and spearheaded research sulle dimensioni psicologiche del cancro. Jimmie Holland è inoltre Professore e Vice-Direttore del Dipartimento di Psichiatria presso il Weill Medical College della Cornell University.

La Dr.ssa Holland è stata Presidente fondatrice delle Società Americane e Internazionali di Psico-Oncologia (ASPBOA e IPOS). Dal 1977 al 2001, ha diretto il Psycho-Oncology Committee of the Cancer and Leukemia Group B, gruppo pioniere nello studio delle problematiche psicosociali del cancro e della qualità della vita negli esiti dei trattamenti. Oltre ad essere co-editor della rivista Psycho-Oncology, la Dr.ssa Holland è stata editor del primo trattato di Psicon-Oncologia, nel 1989 e, nel 1998, di Psycho-Oncology, revisione aggiornata del settore, seguito, due anni dopo, da The Human Side of Cancer rivolto ai pazienti e alle famiglie.

La Dr.ssa Holland ha conseguito il diploma superiore alla Baylor University di Waco, Texas, e la laurea in Medicina alla Baylor University School of Medicine di Houston. Ha effettuato il proprio internato presso il St. Louis City Hospital e ha conseguito la specializzazione in Psichiatria presso il Malcolm Bliss Mental Health Center di St. Louis e il Massachusetts General Hospital. Ha avuto titoli accademici alla SUNY School of Medicine di Buffalo, all’Albert Einstein College of Medicine, dove ha lavorato come psichiatra di consultazione e collegamento al Montefiore Hospital, prima di arrivare al Memorial Sloan-Kettering Cancer Center e al Cornell University Medical College.

Nel 1994, la Dr.ssa Holland ha ricevuto la Medaglia d’Onore per la Ricerca Clinica da parte dell’American Cancer Society. Nell’anno seguente è stata nominata Fellow all’Institute of Medicine, National Academy of Sciences. Nel 2000, ha ricevuto il Presidential Commendation dell’American Psychiatric Association.

 

L’INTERVISTA

 

DOMANDA (D)Qual è lo stato della psico-oncologia in oncologia? È destinata a rimanere una sottospecialità singola, o si scinderà in suddivisioni più piccole, relative ad aree specifiche, quali la prevenzione del cancro, il trattamento clinico, o le cure palliative?

RISPOSTA (R):La psico-oncologia tratta due aspetti del cancro: 1) le risposte psicologiche alla malattia da parte dei pazienti, dei loro familiari e dei medici dal momento della diagnosi attraverso il trattamento e la sopravvivenza al cancro, fino alla terapia palliativa; 2) i fattori psicologici, sociali e comportamentali che contribuiscono al rischio di contrarre il cancro ed alla sopravvivenza.

Sono convinta che sia importante mantenere la specialità di psico-oncologia perché essa può focalizzarsi su tutte queste aree di cura e ricerca. Ciò assicura la presenza di una rete di psico-oncologi in tutto il mondo, che possano unire gli sforzi per formare nuovi clinici e studiosi e per sostenere questo campo della medicina ottenendo risorse atte a supportare la ricerca e la formazione.

Uno dei possibili pericoli presenti nel nostro campo è il fatto che, al maturare della specialità, i ricercatori ed i clinici tendano a concentrarsi su un aspetto particolare, per esempio quello della prevenzione del cancro, e finire per identificarsi maggiormente con altri studiosi della prevezione piuttosto che con gli altri psico-oncologi. Allo stesso modo, gli psico-oncologi che lavorano nell’area della terapia palliativa tendono a fare riferimento più a medici che si occupano di terapia palliativa in altre discipline, come, ad esempio, ricercatori che studiano il dolore, oncologi, sacerdoti.La situazione ideale per gli psico-oncologi sarebbe di mantenere una duplice identità: all’interno della psico-oncologia come un tutto unico, ed all’interno dei loro rispettivi campi di competenza.

 

D: La psico-oncologia ha quasi 30 anni. Quali sono i più importanti traguardi raggiunti? Quali gli obbiettivi per il futuro?

R: La psico-oncologia ha raggiunto lo stato di sottospecialità riconosciuta dell’oncologia, con i propri strumenti di valutazione della qualità della vita e dei fattori psicosociali, con i propri corsi di formazione ed un curriculum, con i propri data base scientifici ed un calendario di ricerca.Essa ha avuto un forte impatto sulla attività clinica focalizzando l’attenzione sugli aspetti psicologici della cura del paziente.

Comunque, l’aspetto psicologico dell’assistenza è ancora molto meno preso in considerazione e rispettato come campo di ricerca scientifica. Ciò, probabilmente, origina dallo stigma che per lungo tempo ha accompagnato la malattia mentale.

Queste posizioni rendono difficile ottenere le necessarie risorse per progredire e sviluppare il nostro campo di studio.

È necessario trovare supporto per la formazione, la ricerca e la clinica, per migliorare l’assistenza ai pazienti ed espandere il programma di ricerca.

 

D: Il lavoro degli psico-oncologi ha migliorato la cura dei pazienti?

R: Dati provenienti dagli Stati Uniti indicano che circa il 30% dei pazienti ambulatoriali soffre di significativi livelli di stress, eppure molto meno del 10% di essi riceve ufficialmente un qualsiasi tipo di intervento psicologico. Si tratta di una grave carenza che deve essere affrontata ponendo degli standard minimi per i servizi psicosociali nei centri di cura del cancro e negli ospedali.

 

D: Il campo della psichiatria ha meno interesse nella cura delle malattie organiche, vedendo la propria missione primaria nella cura del paziente psichiatrico e nella psichiatria di comunità. Come si può modificare questo dato di fatto?

R: Gli psichiatri che operano nel campo delle patologie organiche (e quelli che si occupano di cancro) non si trovano a proprio agio nella definizione comune e tradizionale di psichiatria. Devono vivere "tenendo un piede nella medicina ed un altro nella psichiatria". Di conseguenza, è vero che essi non sono totalmente membri di nessuna delle due discipline.

La psico-oncologia ha gli stessi problemi: trovarsi dentro l’oncologia eppure al di fuori di essa, portando punti di vista della psichiatria all’oncologia. Credo che la psico-oncologia sopravviverà meglio nella sua più forte identità di sottospecialità dell’oncologia.

 

D: Come si possono convincere le altre specialità della necessità della psichiatria nella cura del paziente?

R: Credo che i pazienti siano i nostri migliori sostenitori. Dovremmo fare di più per utilizzare il loro forte convincimento che l’aspetto psicologico della cura è tanto importante quanto quello fisico.

 

D: Come si potrà far sì che tutti gli ospedali dispongano dell’assistenza psichiatrica per i pazienti malati di cancro?

R: Alcuni hanno l’opinione che l’assistenza psicologica sia dispendiosa e richieda molte figure professionali per essere attuata.

Io credo invece che se gli operatori delle cliniche e degli ospedali acquistassero più familiarità con l’insieme dei servizi psicosociali (salute mentale, assistenza infermieristica, lavoro sociale, volontariato dei pazienti, sacerdoti, terapia creativa, come il disegno, la musica e la scrittura), indirizzerebbero i pazienti verso le risorse già esistenti e disponibili, e pertanto, questo tipo di cura non graverebbe significativamente sul costi generali.

 

D: Come è possibile far sì che gli oncologi divengano più consapevoli dei problemi psicologici dei loro pazienti?

R: La formazione degli oncologi si basa sempre di più su come meglio comunicare con i pazienti e su come indagarne e riconoscerne la presenza di stress.Gli infermieri sono eccellenti osservatori dello stress nei pazienti e possono facilmente portarlo all’attenzione degli oncologi. La vera necessità è una più stretta connessione tra gli operatori primari ed i professionisti del servizio di salute mentale, per far sì che il paziente venga facilmente indirizzato a questi ultimi evitandogli la sensazione di essere stato marchiato come "malato di mente".

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