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PROGETTO DI PREVENZIONE

19 Gen 13

Di FRANCESCO BOLLORINO

 

W.Bartolini,M.Baldi,M.Bini,T.Capecchi,R.Corsi,L.Frati,M.Marchi,

M.Poggiali,P.Poli,R.Ravoni,F.Sbarzagli,S.Truschi,C.Tani,H.Zampieri

Introduzione

Il progetto è nato dal Corso di Formazione organizzato dalla Scuola di Prevenzione J. Bleger di Rimini in collaborazione con il Dipartimento di Salute Mentale della ASL10 Firenze zona Mugello.

Come ricercatori, direttamente coinvolti nella zona, abbiamo elaborato un progetto con un ottica etnografica individuando come elementi di valutazione il pregiudizio e il disagio mentale. I materiali utilizzati sono stati un questionario e alcune interviste.

La ricerca sul campo è stata svolta in una piccola frazione (Luco di Mugello) di circa 1200 abitanti, che a nostro parere poteva essere rappresentativa della zona. La ricerca verrà successivamente estesa all’intero territorio del Mugello.

Ipotesi di ricerca

Lo scopo primario della ricerca sul campo è stato quello di capire cosa gli abitanti di Luco pensassero della salute – malattia mentale. Capire quanta informazione e conoscenza, piuttosto che disinformazione e luoghi comuni, girasse intorno a questo argomento.

Abbiamo elaborato diverse proposte di ricerca, decidendo infine per la distribuzione nei luoghi di aggregazione di un questionario e di intervistare persone dal ruolo sociale particolarmente significativo.

Materiali e metodi

Il questionario, anonimo, riportava le seguenti caratteristiche del compilatore:

 

  • Età
  • Sesso
  • Professione
  • Titolo di studio
  • Da quanto tempo vive a Luco.

Questi parametri sono stati di fondamentale importanza per l’elaborazione dei risultati. Le domande erano 18, di cui 2 aperte (1), riportanti più opzioni di risposta. Abbiamo volutamente evitato l’uso di parole troppo "tecniche" per favorire la comprensione delle domande a chiunque compilasse il questionario(2).

 

  1. La prima domanda aperta era la numero uno: "Cosa significa stare in buona salute?"; l’altra era la numero 18: "Quali sarebbero secondo lei i mezzi migliori per integrare socialmente le persone con disturbi mentali?", dove oltre a tre opzioni abbiamo lasciato dello spazio per altre eventuali risposte.
  2. Ai ricercatori sono state mosse delle critiche soltanto da una ragazza che considerava le domande troppo semplicistiche (era una laureata in psicologia), salvo poi dichiararsi d’accordo quando le sono state spiegate le ragioni di tale scelta.

 

Altro materiale utilizzato, in un secondo tempo, sono state delle interviste fatte ai due medici di base che fanno ambulatorio a Luco, e al farmacista.

 

Questionari.

I ricercatori, dopo aver individuato i punti di aggregazione principali del paese, hanno effettuato due uscite sul campo alla distanza di otto giorni l’una dall’altra (1). I questionari sono stati consegnati alle persone che frequentavano un circolo ricreativo, un bar ristorante, un negozio di parrucchiera, una sezione di partito.

Il metodo di lavoro è stato il seguente:

 

  • Presentazione dei ricercatori e informazioni sulle finalità della ricerca
  • Invito alla compilazione dei questionari
  • Ritiro dei questionari
  • Inserimento degli stessi in un’urna per garantire ulteriormente l’anonimato.

Il momento più delicato della ricerca è stato la negoziazione d’ingresso, dovuto principalmente ad una certa diffidenza da parte delle persone contattate, soprattutto per quanto riguarda i gestori degli esercizi. Diffidenza che si è poi risolta in accettazione o, in alcuni casi, in sopportazione del gruppo di ricercatori. Abbiamo notato che la maggior parte dei questionari sono stati compilati da persone giovani, vuoi perché più numerosi tra gli avventori (2), vuoi perché è sembrato scattare il fattore curiosità, vuoi perché forse era la prima volta che qualcuno li coinvolgeva in una ricerca facendoli sentire importanti e non più e soltanto "giocatori di carte" e/o consumatori.

Interessante la reazione del gestore del circolo ricreativo il quale, dopo aver dato il permesso di distribuire i questionari, ha invitato i ricercatori a spostarsi da un tavolo che avevano "occupato" nella saletta della televisione adibita al gioco delle carte e a bar, per trasferirli in un salone, praticamente deserto, che un tempo veniva utilizzato come cinema – teatro. Il suddetto gestore non ha ovviamente riempito il questionario. Migliore accoglienza abbiamo avuto nella sezione di partito, dove i partecipanti ad una riunione si sono dimostrati molto interessati alla ricerca, nel bar ristorante e nel negozio di parrucchiera.

Interviste.

Dopo l’elaborazione dei dati emersi dai questionari abbiamo sentito la necessità di svolgere delle interviste a delle persone particolarmente importanti per la vita del paese e che avessero attinenza con la ricerca. Contattiamo così i due medici di base che fanno ambulatorio a Luco, il dott. Betti e il dott. Mercatali e il farmacista dott. Franciulli. Le interviste si sono basate su un numero inferiore di domande rispetto al questionario e si sono svolte, previo appuntamento concordato con i medici di base, all’ambulatorio della U.O. Salute Mentale Mugello. Il dott. Franciulli è stato invece intervistato alla farmacia di Luco. Le impressioni ricevute dai ricercatori sono state più che positive, sia per quanto riguarda la disponibilità dimostrata e le risposte date, sia per quanto riguarda l’interessamento verso la ricerca e i suoi sviluppi futuri.

 

(1) La prima il 25 ottobre, la seconda il 2 novembre 2002. I gruppi di ricercatori erano formati di tre – quattro individui al massimo.

(2) Soprattutto al circolo ricreativo, dove l’età media degli avventori era sotto i 30 anni.

 

Risultati

I questionari raccolti complessivamente nelle due uscite sul campo sono stati 68, di cui 2 completamente vuoti ed 1 riportante soltanto le caratteristiche del compilatore.

Fasce di età:

. 17 – 35 anni (30 maschi, 15 femmine)

. 36 – 55 anni (7 maschi, 7 femmine)

. oltre 55 anni (6 maschi, 1 femmina).

Titolo di studio:

  • Medie inferiori (34)
  • Medie superiori (30)
  • Laurea (2)
  • Licenza elementare (1)

Di seguito riportiamo le 18 domande con le relative percentuali (tra parentesi) di risposte dei 65 questionari utili ai fini della ricerca. Da buona parte delle risposte è stato possibile ricavare dei grafici che illustrassero visivamente tali percentuali. Inoltre abbiamo preso in considerazione le risposte date dalla fascia di età dai 17 ai 20 anni.

 

Per quanto riguarda questa domanda non è stato possibile visualizzare un grafico con le percentuali, perché le risposte sono state molto diverse l’una dall’altra. Si passa da ‘mangiare bene’, a ‘non avere problemi fisici’, a ‘stare in armonia con se stessi e gli altri’, a ‘capire il limite della normalità’, a ‘avere buoni rapporti con persone e cose’. La definizione più ricorrente è quella di ‘stare bene fisicamente e mentalmente, in armonia con se stessi e gli altri’ (1).

Curiosa la risposta di uno studente diciassettenne che trova nell’attività sessuale e nel fumare la definizione di salute.

  1. Cosa significa stare in buona salute?
  2. Se dovesse soffrire di qualche disturbo nervoso a chi si rivolgerebbe?

Le sei opzioni inserite nel questionario erano le seguenti:

  • Medico curante (56%)
  • Pronto soccorso (1%)
  • Familiari (6%)
  • Psicologo (22%)
  • Psichiatra (9%)
  • Altri (6%)

 

 

(1) Definizione non molto distante da quella data dall’Organizzazione Mondiale della Sanità (O.M.S.): "uno stato di completo benessere fisico, mentale e sociale e non la semplice assenza di malattia o infermità".

Il dato più evidente è quel 56% di persone che si rivolgerebbero al medico curante nel caso soffrissero di un disturbo nervoso (1). Ci sono sembrate perciò utili le interviste a coloro che nel paese svolgono tale professione. Le percentuali relativamente basse alle opzioni Psicologo e Psichiatra ci sono apparse come indice di timore, scarsa conoscenza (2), forse di una certa dose di diffidenza, verso queste figure professionali.

Abbiamo visto anche che la fascia di età dai 17 ai 20 anni ha indicato il medico curante nel 60% delle risposte, i familiari nel 20% e lo psicologo e lo psichiatra al 10%. Le altre due opzioni non sono state considerate.

 

  1. Ha mai avuto esperienze di malattia mentale?

 

  • Sì (19%) (3)
  • No (78%)
  • Non so (3%)


Se sì:

  • personali (12%)
  • familiari (24%)
  • parenti (16%)
  • amici (16%)
  • conoscenti (32%)

 

(1) "[…] l’ambulatorio del medico di base rappresenta, generalmente, per i pazienti con disturbi emotivi, la sede del primo contatto con il Servizio Sanitario […] i pazienti con disturbi psichici che si rivolgono al medico di base sono circa 10 volte più numerosi di quelli che entrano in contatto con i Servizi Psichiatrici e 50 volte più numerosi di quelli che vengono ricoverati nei reparti psichiatrici ospedalieri […] più di un terzo dei pazienti che si rivolgono al medico di base presenta disturbi emotivi ed il 15 – 25 % presenta disturbi di tipo depressivo od ansioso". Anna Saltini: ‘Il riconoscimento dei disturbi emotivi nella medicina di base: il ruolo della comunicazione medico – paziente". Quaderni italiani di psichiatria.

(2) Il 37% degli italiani non sa neppure cosa sia uno psichiatra. Un altro 40% ammette di averne un’idea molto vaga e di non saper distinguere fra psichiatra, psicologo, psicoanalista, neurologo. Inoltre, se soltanto 1 italiano su 10 (circa 4,6 milioni di adulti) ammette di aver avuto a che fare con uno psichiatra nella sua vita, appena il 27% indirizzerebbe ad uno psichiatra un familiare o un amico che mostrasse sintomi di malattia mentale, ma consiglierebbe piuttosto uno psicologo o, in misura maggiore, il medico di famiglia. Prima ricerca demoscopia su "Italiani e psichiatria", condotta da Astra per la Società Italiana di Psichiatria.

(3) Nella Classificazione Internazionale delle Malattie dell’ O.M.S. si segnala che, nell’arco di un anno, il 20% della popolazione adulta presenta uno o più dei disturbi mentali elencati. Tra i più frequenti:

– Disturbi d’ansia, soprattutto attacchi di panico

– Forme depressive che colpiscono tutte le fasce d’età

– Situazioni di comorbidità, dove depressione e disturbi d’ansia coesistono

– Disturbi della personalità

– Anoressia e bulimia

– Psicosi schizofreniche

– Disturbi mentali della popolazione anziana, come la demenza. Dal sito www.italiasalute.it

"La depressione presto sarà la terza patologia del mondo, ma le problematiche oggi più diffuse e in rapido aumento sono i disturbi alimentari , problemi d’ansia e attacchi di panico". C.I.S.P., Centro Italiano Sviluppo Psicologia.

 

 

  1. Secondo lei si può guarire da un disturbo mentale?
  • Sì (60%) (1)
  • No (16%)
  • Non so (24%)

Diversamente hanno risposto i giovani dai 17 ai 20 anni. Per il 50% di loro non si può guarire, per un 40% sì, mentre un 10% ha risposto che non lo sa.

 

  1. Se ne avesse la possibilità offrirebbe un lavoro ad una persona con disturbi mentali?

 

  • Sì (43%)
  • No (11%)
  • Non so (46%)

Dai 17 ai 20 anni: 20% sì, 10% no, 70% non so.

 

  1. Affitterebbe un appartamento ad una persona con disturbi mentali?

 

  • Sì (32%)
  • No (32%)
  • Non so (36%)

Dai 17 ai 20 anni: 20% sì, 40% no, 40% non so.

 

  1. Andrebbe ad abitare in un appartamento sapendo che il suo vicino è un malato mentale?
  • Sì (65%)
  • No (13%)
  • Non so (22%)

Dai 17 ai 20 anni: 60% sì, 30% no, 10% non so.

 

(1)Dai disturbi mentali si può guarire. Le cure oggi si basano su un approccio multi disciplinare e , come dimostra la ricerca scientifica, sono efficaci. Terapia psicologica, farmacologia e interventi di riabilitazione psico-sociale consentono un miglioramento nel 70-80% dei casi di depressione. Per l’ansia, migliorano o risolvono il 60-80% dei disturbi di panico. Del 50-70% è la percentuale di miglioramento per la schizofrenia e del 50-80% nei casi di anoressia o bulimia. E’ però fondamentale fare una diagnosi tempestiva, e che il paziente venga curato fin dai primi sintomi. Dati tratti da "Ansia e disturbi affettivi, fra le dieci patologie più diffuse al mondo", articolo di presentazione della Giornata Mondiale della Sanità dedicata alla salute mentale, 28 marzo 2001.

"A noi interessa […] che la malattia mentale venga recepita dal mondo dei media e quindi anche dal grande pubblico per quello che essa è, slegata cioè dai concetti di cronicità e di malattia non curabile legata allo stereotipo del manicomio"prof. Alberto Siracusano, Ordinario di Psichiatria all’Università di Tor Vergata a Roma.

 

  1. Se in un luogo pubblico incontra una persona che parla da solo a voce alta, con toni minacciosi, gesticolando:
  • fa finta di niente (55%)
  • fugge (0%)
  • interviene (5%)
  • resta a guardare (11%)
  • chiede l’intervento di altri (23%)
  • altro (6%)

Dai 17 ai 20 anni sono state prese in considerazione solo due opzioni di risposta: fa finta di niente (73%), resta a guardare (27%). (1)

 

  1. Secondo lei quali sono i segni e i comportamenti tipici che si hanno in una persona con disturbo mentale?

 

  • confusione mentale (28%)
  • isolamento sociale (25%)
  • comportamenti strani (21%)
  • paura degli altri (10%)
  • comportamento diffidente (9%)
  • abbigliamento eccentrico e/o trasandato (4%)
  • altro (3%)

 

  1. Pensa che chi soffre di malattia mentale possa usufruire degli stessi diritti degli altri ?
  • Sì (72%)
  • No (11%)
  • Non so (17%)

Dai 17 ai 20 anni: 70% sì, 10% no, 20% non so.

 

  1. Il malato mentale è imprevedibile?
  • Sì (70%)
  • No (5%)
  • Non so (25%)

Dai 17 ai 20 anni: 70% sì, 0% no, 30% non so.

 

  1. Si ritiene in grado di avere un rapporto con persone con disturbi mentali?
  • Sì (47%)
  • No (23%)
  • Non so (30%)

Dai 17 ai 20 anni: 40% sì, 30% no, 30% non so.

(1) "Ci si ignora reciprocamente, senza guardarci in viso, senza comunicare, badando egoisticamente ai propri affari, fingendo di non vedere chi si trova in difficoltà: è fastidioso prestargli attenzione, aiutarlo, a volte può essere pericoloso. L’indifferenza non è una virtù, non va confusa con la discrezione o il rispetto della libertà altrui. Si è persa la solidarietà perché probabilmente si è perso il senso di appartenenza a un luogo che ci lega alle persone intorno a noi". Riccardo Merlo, Università di Bologna.

"[…] i giovani devono essere ascoltati perché non costituiscono solo un problema, ma soprattutto una grande risorsa. La società degli adulti – in primo luogo – deve rimboccarsi le maniche per creare una reale partecipazione nei confronti del mondo giovanile, per fornirgli le opportunità, i riferimenti e le occasioni con cui esprimere tutte le potenzialità che possiede". Don Luigi Ciotti, "Il silenzio e il dialogo", Rai Educational 03 marzo 1999.

 

  1. Pensa di essere aggiornato sui problemi della malattia mentale?
  • Sì (13%)
  • No (82%)
  • Non so (13%)

Dai 17 ai 20 anni: 100% no.(1)

  1. Pensa che le attuali cure siano più efficaci di quelle del passato?
  • Sì (62%)
  • No (8%)
  • Non so (30%)

Dai 17 ai 20 anni: 60% sì, 20% no, 20% non so.

 

  1. Secondo lei il malato mentale deve rimanere chiuso in una struttura?
  • Sì (6%)
  • No (75%)
  • Non so (19%)

Dai 17 ai 20 anni: 10% sì, 60% no, 30% non so.

 

  1. Pensa che sia stato giusto chiudere i manicomi?
  • Sì (36%)
  • No (30%)
  • Non so (34%)

Dai 17 ai 20 anni: 20% sì, 40% no, 40 % non so.

 

  1. Secondo lei quando i manicomi erano aperti c’erano meno problemi?
  • Sì (19%)
  • No (37%)
  • Non so (44%)

Dai 17 ai 20 anni: 20% sì, 20% no, 60% non so.

 

  1. Quali sarebbero secondo lei i mezzi migliori per integrare socialmente le persone con disturbi mentali?
  • attivazione delle strutture private (12%)
  • attivazione dei servizi sociali del Comune (26%)
  • creazione di strutture diurne con proposte di attività ricreative e/o lavorative (54%)
  • altro (8%)

(1)Solo un’informazione corretta, puntuale e coscienziosa è capace di aiutare a comprendere i disagi psichici e a superare lo stigma della malattia mentale e tutte le paure che ne conseguono. La conoscenza è , infatti, la miglior arma contro il pregiudizio […] . Da "Psichiatria & Mass Media", Conferenza Tematica Nazionale della Società Italiana di Psichiatria, Roma, dal 26 al 28 giugno 2002.

"[…] dare maggiore diffusione a informazioni semplici e corrette sulle malattie mentali anche nelle scuole ed evitare il rischio di interpretazioni riduzionistiche della malattia mentale". Psichiatria e salute mentale: raccomandazioni. Comitato Nazionale per la Bioetica.

Intervista al dott. Betti Daniele.

Domanda. Che cos’è per lei la prevenzione?

Risposta. Una famiglia "sana". La famiglia come processo armonico della vita, anche se può diventare un elemento patologico e di disturbo. Penso ad esempio ai figli di genitori separati, che hanno più problemi.

D. Secondo lei perché le persone si rivolgono al medico di base invece che al Servizio di Salute Mentale?

R. Senz’altro perché hanno fiducia nel medico di famiglia. Il Servizio non lo conoscono e ne hanno paura o perlomeno timore. Lo vedono come un’etichetta.

D. Quando si rivolgono a lei, che tipo di domande fanno e come entrano in argomento?

R. Di solito è il medico che intuisce le difficoltà e le fa emergere.

D. E’ la persona che soffre di disturbi a rivolgersi a lei, oppure viene delegato un familiare?

R. Prevalentemente è un familiare, ovviamente quando la famiglia è presente.

D. Quale fascia di età si rivolge più spesso a lei: giovane, adulto, anziano? Più donne o più uomini?

R. La fascia di età è tra i 40 – 60 anni, e sono prevalentemente donne.

D. Lei propone uno specialista o cerca autonomamente una soluzione?

R. Propongo lo specialista nei casi molto complessi.

D. E il suo consiglio viene accettato?

R. Si, accetta.

D. Le persone sono d’accordo ad iniziare una terapia farmacologia oppure sono restii, ad esempio per timore della dipendenza o degli effetti collaterali?

R. Di solito sono d’accordo ad iniziare una terapia. Vanno tranquillizzati.

D. I pazienti inviati dallo specialista poi tornano a riferirle gli sviluppi?

R. Si, tornano.

D. Secondo lei si può guarire di un disturbo mentale?

R. Si, almeno a livello sintomatico, ma ci sono il 90% di ricadute nel tempo.

D. Il 62% delle persone che hanno risposto alla domanda del questionario inerente le attuali cure, pensano che siano più efficaci rispetto al passato. Lei che ne pensa?

R. Per quanto riguarda gli effetti collaterali sono d’accordo, ma sull’aspetto terapeutico no. Spesso funziona meglio il vecchio farmaco.

 

Intervista al dott. Mercatali Luca

D. Che cos’è per lei la prevenzione?

R. Non sono a conoscenza del progetto che state portando avanti, comunque per me la prevenzione ha due livelli: Sociale (situazione socio-familiare) e Diagnosi precoce dove il medico deve riconoscere il problema.

D. Secondo lei perché le persone si rivolgono al medico di base invece che al Servizio Salute Mentale?

R. Le persone difficilmente riconoscono il problema psichiatrico e quindi si rivolgono al medico di base, la cui funzione è importante.

D. Quando si rivolgono a lei, che tipo di domande fanno e come entrano in argomento?

R. Si rivolgono soprattutto per le forme di depressione.

D. E’ la persona che soffre di disturbi a rivolgersi a lei, oppure viene delegato un familiare?

R. A volte vengono delegati i familiari, ma non è un fatto costante. Dipende dalle patologie.

D. Quale fascia di età si rivolge più spesso a lei: giovane, adulto, anziano? Più donne o uomini?

R. Sono più donne, anche perché più disponibili a riconoscere il problema. Più volte l’uomo delega la moglie ad andare dal medico. La fascia di età è ampia: dai ragazzi di 20 anni alle persone oltre i 70.

D. Lei propone lo specialista o cerca autonomamente una soluzione?

R. Prima di inviare al Servizio provo a trattare da solo. Quando invio ci sono a volte un po’ di resistenze. Sembra però che coinvolgendoli maggiormente riescano ad accettarlo. Naturalmente un po’ c’è la paura, ma facendogli vedere la fine del trattamento l’accettano meglio.

D. I pazienti inviati dallo specialista poi tornano a riferirle gli sviluppi?

R. Si, soprattutto i nuovi casi. Si crea un legame, anche perché io telefono al Servizio prima di inviare qualcuno.

D. Secondo lei si può guarire di un disturbo mentale?

R. Si può guarire, ma rimanendo a rischio di ricadute. Si può trovare un equilibrio.

D. Il 62% delle persone che hanno risposto alla domanda del questionario inerente le attuali cure, pensano che siano più efficaci rispetto al passato. Cosa ne pensa lei?

R. Prima venivano utilizzati a dosaggi più bassi, adesso no. Non ho una grande esperienza dei vecchi farmaci.

(si riferisce sempre a malattie come la depressione).

 

 

Intervista al dott. Franciulli Teodosio.

Domanda. Cos’è per lei la prevenzione?

Risposta. E’ percepire il disagio ed intervenire.

D. Quando si rivolgono a lei che tipo di domande fanno e come entrano in argomento?

R. Non hanno difficoltà ad entrare in argomento, nessun imbarazzo.

D. Quale fascia di età si rivolge più spesso a lei: giovane, adulto, anziano? Più donne o più uomini?

R. Le persone più anziane, che si muovono poco. Comunque sopra i 50 anni. I medici fanno molto poco ambulatorio a Luco e le persone sono costrette ad andare all’ambulatorio di Borgo San Lorenzo, e di conseguenza ritirano i farmaci in una farmacia lì vicina.

D. Quali sono i farmaci più richiesti?

R. I più richiesti, i più prescritti, sono prevalentemente antidepressivi e ansiolitici.

D. Secondo lei, si può guarire da un disturbo mentale?

R. Forse sì, se viene recepito precocemente il disagio.

D. Il 62% delle persone che hanno risposto alla domanda del questionario inerente le attuali cure, pensano che siano più efficaci rispetto al passato. Cosa ne pensa lei?

R. Sono senz’altro più efficaci i farmaci attuali.

D. Nota un atteggiamento diverso nelle persone che fanno uso di questi farmaci (imbarazzo, disagio)?.

R. Non c’è nessun atteggiamento di disagio. C’è piuttosto una difficoltà nel reperimento dei farmaci. Le persone sono obbligate a recarsi alla farmacia dell’ospedale, perché così viene fatta la richiesta da parte dei medici del Servizio.

Conclusioni

Analizzando il materiale che abbiamo raccolto in questa ricerca sul campo ci siamo resi conto della mancanza di informazione in materia di salute – malattia mentale che la netta maggioranza delle persone ha dimostrato di avere. Disinformazione che tocca addirittura il 100% nei soggetti dai 17 ai 20 anni (domanda 13).

Questo dato, collegato al 70% di risposte affermative alla domanda 11 Il malato mentale è imprevedibile?, ci fa pensare che forse di quest’ultimo si è creata nel tempo una figura da barzelletta e/o da protagonista di cronaca nera. Troppo spesso infatti gli articoli di giornali e i notiziari televisivi sono infarciti di termini quali "follia omicida", "raptus", "depressione", "psicopatico", che niente hanno a che fare con l’informazione ma che piuttosto ricercano l’audience, il sensazionalismo.

Infatti, nella maggior parte dei casi, a compiere delitti sono persone sane di mente.

Soltanto in 10 – 15 casi su 100 gli autori di un delitto sono dichiarati infermi di mente.(1)

Altro dato da considerare è quel 55% del campione che fa finta di niente se incontra una persona chiaramente disturbata (vedi domanda 8). Percentuale che sale al 73% nei giovani dai 17 ai 20 anni che come alternativa hanno indicato, per il rimanente 27%, la risposta resta a guardare.

Non nascondiamo che questi risultati così alti ci hanno colpito e portato a formulare l’ipotesi di un rifiuto nei confronti delle persone con disturbi mentali, tanto da renderli invisibili o, nel migliore dei casi, da osservare con curiosità.

Oltretutto ciò è palesemente in contrasto con il 47% del campione che si ritiene in grado di avere un rapporto con persone con disturbi mentali (domanda 12).

Delle contraddizioni si notano anche collegando la domanda 15 (dove un 75% di persone è contrario a rinchiudere il malato mentale in una struttura) e la domanda 16 (dove i favorevoli alla chiusura dei manicomi sono soltanto il 36%).

E’ chiaro che i dati fin qui raccolti andranno ulteriormente elaborati ed interpretati integrandoli e confrontandoli con quelli futuri che raccoglieremo su tutto il territorio del Mugello.

Intendiamo inoltre promuovere delle iniziative di informazione sulla salute – malattia mentale, con un primo incontro a Luco di Mugello, perché siamo convinti che la conoscenza è la migliore arma contro lo stigma e i pregiudizi.

Per concludere vogliamo fare un appunto sulla proposta di legge "Norme per la prevenzione e la cura delle malattie mentali" dell’ on. Maria Burani Procaccini.

Questa legge è un passo indietro per la psichiatria, indicando di fatto la riapertura di tanti piccoli manicomi. L’unica preoccupazione è la "sicurezza sociale", con conseguente ghettizzazione dei malati di mente.

Significativo è l’articolo 15 che tratta della prevenzione:

Art. 15.

(Prevenzione)

 

1. Per l’individuazione precoce delle situazioni di rischio psicopatologico e dei disturbi psichici, il Ministro della salute, con proprio decreto, stabilisce le modalità di realizzazione di specifici programmi atti alla diffusione di appropriati e soddisfacenti interventi  presso le scuole, ad iniziare da quelle materne. I programmi devono prevedere procedure di screening e preparazione degli insegnanti.

 

(1)Fonte: Qui Italia, 9 marzo 2002, psicappunti.it

Quindi individuare e selezionare, aprendo fin dalla scuola materna un futuro psichiatrico ai bambini con difficoltà.

Inutile dire che per noi la prevenzione è ben altro. E’ cercare di assicurare le migliori condizioni educative, lavorative, sociali, culturali, di assistenza sanitaria, di coinvolgimento delle amministrazioni pubbliche, di scambio di idee ed esperienze, di momenti di incontro in cui la cittadinanza assuma un ruolo attivo rispetto alle problematiche. Questo e altro è secondo noi la prevenzione.

"La prevenzione in psichiatria è sempre stata difficile perché in psichiatria la prevenzione osserva la qualità della vita, come è la comunicazione, quali sono i contesti, come è il livello economico della gente. Per tutto questo insieme di elementi e per la quantità di causalità esterne è difficile fare prevenzione. Ma non è che non ci sia"

dott. A.J.Bauleo. Convegno internazionale Mass Media e Salute Mentale, Firenze, 4 – 5 ottobre 2001.

Breve commento al Progetto di prevenzione: la salute mentale nel Mugello

Il progetto di prevenzione "la salute mentale nel Mugello" ripropone alcuni problemi centrali in psichiatria in quanto indaga gli stereotipi relativi alla malattia mentale, alla separazione tra normalità e malattia e alla cura.

Emerge dalla ricerca "sul campo" un certo livello di pregiudizio e di timore nei confronti della malattia mentale, soprattutto nel segmento più giovane del campione indagato che, peraltro, ha la percezione di avere una scarsa informazione. Sembrerebbe che, maggiori conoscenze sulla malattia mentale, si acquisiscano con il passare degli anni come conseguenza diretta dell’esperienza (es. vicissitudini di malattia personali o familiari).

È quindi l’esperienza che spinge a rivedere la rigida distinzione (scissione) tra normalità e malattia, più di quanto possono fare la scuola e i mass media ?

In effetti i mass media continuano a interessarsi di malattia mentale prevalentemente in occasione di clamorosi eventi di cronaca. L’immaginario che ne risulta identifica la sofferenza mentale con la follia tout court e con la perdita di controllo.

Anche per questo non stupisce che il 40% dei soggetti dai 17 ai 20 anni pensi "non sia stato giusto" chiudere i manicomi.

La netta scissione tra normalità e malattia, come ben sappiamo di per sé rassicurante (Picohn Riviere), appare uno stereotipo ben radicato, accanto all’idea del contenitore per la follia, il manicomio, anche in chi è nato dopo la 180.

Il fatto che solo pochi si rivolgerebbero allo psichiatra in caso di problemi mentali potrebbe essere conseguenza dell’idea della netta separazione tra normalità e malattia (andare dallo psichiatra identificherebbe il malato), ma anche del fatto che lo psichiatra rappresenta una figura ignota e distate.

Sarebbe interessante approfondire quanto ciò riguardi solo lo psichiatra "pubblico" o anche il professionista privato. Emerge d’altro lato la centralità del medico di famiglia come punto nodale della salute della comunità e quindi l’importanza della sua formazione.

Alla luce delle osservazioni fatte, non è strano che certe proposte di legge suggeriscano un modello "medico" di prevenzione basato "sull’individuazione precoce delle situazioni di rischio psicopatologico" grazie a "procedure di screening e preparazione degli insegnanti". La prevenzione come miglioramento del tessuto sociale, della "qualità della vita, della comunicazione, dei contesti"(A. Bauleo) richiede elevati livelli di approfondimento e un’integrazione tra tecnici e politici realizzabili solo in poche isole felici.

Dr. Francesco Biondi

Psichiatra Psicoterapeuta

Membro IIPSA – EFPP

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COMMENTO di M. Cristina Calendi – Psicologa-psicoterapeuta

Sono due gli aspetti che emergono dai dati della ricerca e che mi hanno colpito particolarmente.

Il primo riguarda il disorientamento dei giovani (che sono la maggior parte) del campione intervistato: infatti agli items che indagano la rappresentazione del malato o della malattia mentale (4, 10, 11) e a quelli che invitano ad esprimere un proprio comportamento ipotetico verso il malato o la malattia mentale (5, 6, 7, 12), le risposte "non so" non scendono mai al di sotto del 10%. Sembra di percepire lo sforzo di non essere ghettizzanti e prevenuti, ma anche l'incapacità -derivata da disinformazione e diseducazione- di trovare una collocazione accettante nel tessuto sociale e nel proprio ambito, di coloro che sono "malati mentali". Forse, se il questionario avesse utilizzato la formula "disagio emotivo", i risultati sarebbero stati ben diversi.

Il secondo è la distanza che si percepisce fra le risposte del questionario e quelle delle interviste ai professionisti della salute. I due medici e il farmacista, pur articolando variamente le loro risposte, probabilmente a seconda delle sensibilità personali e delle informazioni in loro possesso, collocano la malattia mentale nel novero dei disagi psico-emozionali-affettivi-mentali: uno infatti si riferisce prevalentemente alla depressione; entrambi i medici di base, quindi non specialisti, dicono che in prima istanza tentano un intervento terapeutico e solo nei casi più gravi, probabilmente quelli che il campione del questionario intende con "malatto mentale", invia al servizio specialistico. Mentre il campione del questionario sembra (ma dagli item non è chiaro) riferirsi al malato mentale come al "matto" che pensa e fa cose strane, cioè allo psicotico.

In questi due aspetti mi pare di riconoscere il paradosso che il disagio psichico porta con sè e a cui costringe chiunque, professionista o semplice cittadino, si trovi ad averlo vicino.

Da un lato l'estrema complessità tecnica di pensare degli interventi efficaci nel trattamento e nella riabilitazione -quindi la necessità di un pensiero estremamente specialistico e professionalizzato-, dall'altro la necessità di una maggiore integrazione nel tessuto sociale e quindi del confronto dialettico con un "comune sentire" da cui però non possiamo aspettarci competenze specialistiche che spesso non sono possedute neppure dai limitrofi agli addetti ai lavori. Per esempio, l'item che indaga l'imprevedibilità del comportamento del malato mentale, con il suo 70% di risposte affermative credo che segnali anche l'incapacità delle persone comuni di riconoscere i segnali precursori di una crisi di comportamento (non solo l'immagine giornalistica del raptus) che conseguentemente viene percepita come imprevista e incontrollabile; mi chiedo quanti psicologi o medici non specialisti di servizi psichiatrici (penso, ad esempio, agli psicologi che operano nella scuola e ai cardiologi) sarebbero in grado di riconoscere l'iter di svolgimento di una crisi psicotica e gli innumerevoli segnali che la persona emette prima di produrre dei comportamenti bizzarri o distruttivi. E quanti di questi poi saprebbero come intervenire se vedessero qualcuno che parla da solo o gesticola infuriato? Io faccio la psicoterapeuta da 20 anni, e non credo che saprei cosa dire o fare se mi trovassi in questa situazione, mentre credo di sapere soltanto cosa non fare; non posso aspettarmi che il mio giornalaio sia più competente e quindi più sicuro del proprio agire.

Credo che anche questa ricerca preliminare segnali un dato ormai consolidato ma che purtroppo è in controtendenza rispetto le linee programmatiche della maggioranza governativa e cioè che la diversità tanto più la si integra e tanto meno è diversità, con ciò diminuendo la portata di disagio individuale e sociale in chi la vive e nel contesto. Viceversa, tanto più la si isola in interventi pseudospecialistici, tanto più cresce stigma e sofferenza personale e sociale, in un circolo vizioso che non solo esclude qualsiasi ipotesi di prevenzione, ma produce ed amplifica la sofferenza. Le vecchie "scuole speciali" per l'handicap ne sono state un efficace esempio.

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