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Il contributo di Ferdinando Barison alla Psicopatologia fenomenologica della schizofrenia

10 Gen 13

Di FRANCESCO BOLLORINO

di Giovanni Gozzetti ( Padova 1998)

 

INTRODUZIONE

RIASSUNTO

L'Autore espone una sintesi critica del pensiero psicopatologico di Ferdinando Barison, prospettandone un collocamento nell'ambito della analoga ricerca fenomenologica europea.

SUMMARY

In this paper the Autor makes a critical syilthesis of the psychopathological tought of Ferdinando Barison and suggests a connection with analogous phenomenological research in Europe.

 

 Ferdinando Barison è morto i1 17 novembre 1995, era nato a Padova il 9 aprile 1906. Conseguì la libera docenza in malattie Nervose e Mentali giovanissimo, prima di essere richiamato come Ufficiale medico ed inviato all'isola di Creta. Dopo aver vinto la nomina a Direttore dell'Ospedale psichiatrico a Imola, Ferrara e Padova optò per quest'ultima sede, che diresse dal 1947 al 1971. Fondò il Centro Medico Psicopedagogico e ne fu responsabile, una struttura per la cura di disturbi gravi, che fu un vertice della assistenza e della ricerca; l'interesse per la psicopatologia infantile continuò per tutta la sua vita, testimoniato da pubblicazioni personali e della sua allieva Dott.ssa Silvana Del Monaco.

Già negli anni 50 si aprì al territorio, dapprima cogli ambulatori in tutta la Provincia e poi colle esperienze di Settore. Fu il primo Direttore in Italia ad introdurre in Ospedale la psicologia clinica, primo Consulente verso la fine degii anni 50 fu la Prof.ssa Dolores Passi Sognazzo, attuale Professore ordinario di Tecniche di indagine della personalità; presso il suo Istituto ogni mercoledì il prof. F. Barison ha tenuto un Seminario permanente sul test di Rorschach, interrotto dalla sua dipartita.

Insegnò come Professore stabilizzato Neuropsichiatria infantile presso la facoltà di Medicina dell'Università di Padova (sezione staccata di Verona) dal 1969 al 1976, e Psicopatologia come incaricato nella facoltà di Psicologia di Padova, oltre a numerosi insegnamenti presso le scuole di specializzazione di Modena, Verona e Padova.

Presso la Clinica psichiatrica dell'Università di Padova, ospite del Direttore Prof. L. Pavan, tenne ogni anno più Seminari di Psicopatologia.

È stato v. Presidente della Società Italiana di Psichiatria, Socio onorario della stessa e Socio fondatore e Presidente onorario dell'Associazione per il Rorschach.

Ha fondato e diretto la Rivista Psichiatria Generale e dell'Età Evolutiva, il cui Direttore attuale è il suo allievo Prof. Giovanni Gozzetti.

In Barison, come ha scritto L. Patarnello suo allievo e docente presso la facoltà di Psicologia, "lo studio della psichiatria e la sua organizzazione istituzionale rappresentano le due facce della stessa medaglia… egli è stato il rappresentante di un sapere e di un potere illuminato che in Italia avrebbe dovuto aspettare un bel po' per realizzare una psichiatria umanistica come sapere ed una psichiatria umana come potere".

La ricchissima produzione scientifica di Barison che comprende anche neurologia, neuropsichiatria infantile e organizzazione assistenziale, ha due filoni di preminente interesse: la schizofrenia ed il Rorschach.

Barison fu uno psicopatologo dotato di una singolare originalità, le sue osservazioni sono sempre colte dal vivo dell'esperienza, passava ore nel dialogo con pazienti, scrivendo poi dettagliatamente in cartella.

Egli prescriveva a sé stesso ed ai suoi collaboratori l'uso dei tratti descrittivi, con aggettivazioni della vita di ogni giorno, al posto di locuzioni semeiologiche standard per redigere le cartelle, in modo da rendere bozzetti vivi, quasi dei ritratti, quello che nei vecchi manicomi era la fotografia, doveva diventare un esame-colloquio vissuto, che permettesse alla sola lettura di riconoscere il paziente.

La sua originalità non scaturisce solo da genialità e passione, ma trova il suo fondamento nella sua scelta di dare sempre preminenza all'esperienza del colloquio col malato. Era un attento lettore, che si alzava prestissimo per studiare e desiderava spesso condividere le sue letture con chi tra gli allievi aveva voglia e possibilità di partecipare, ricordo la traduzione di primo mattino della Die beginnende Schizophrenie di Klaus Conrad.

Quando scriveva un articolo si basava innanzitutto sulle esperienze sue e dei suoi collaboratori vissute nell'incontro coi malati e solo successivamente consultava la letteratura. Ogni esperienza dialogica riproponeva quel novum, quel plus che sempre lo appassionava.

Credo che ogni volta egli riusciva a ritrovare quella "area del silenzio e dello stupore misterioso che si accompagna ad ogni incontro dialogico", come ha scritto Eugenio Borgna, verso il quale negli ultimi anni ha sentito affinità, consonanze, e una comune passione e immersione in una Stimmung musicale, che ha permesso loro un trovarsi – ritrovarsi a1 di 1à delle generazioni.

Un'altra profonda affinità nel vivere e condividere la conoscenza del mondo del malato si è avverata negli incontri con Gaetano Benedetti (emerito Università di Basilea) l'ultimo dei quali a Verona, presso l'Ospedale S.Giuliana, organizzato dall'allora Direttore (ora tornato alla facoltà di Psicologia di Padova) Prof. Giorgio Maria Ferlini, suo allievo. I1 loro interesse è centrato sull'incontro ed il dialogo come modalità di ricerca di una compenetrazione di senso, di una verità condivisibile, che origina, come scrive Benedetti come "una scoperta comune… una verità duale che non è evidentemente una verità soggettiva. La verità terapeutica trascende il singolo soggetto nella dualità ed è inoltre obbiettiva nella misura in cui induce delle trasformazioni obiettive nella persona del paziente che ritrova sé stesso e nella persona del terapeuta che progredisce nel suo sé, attraverso l'arricchimento fornitogli dal paziente".

Una recente recensione gli da l'occasione di esprimere la sua ammirazione: "Benedetti quando parla e quando scrive, conduce nei mondi che racconta affascinando sempre, perché luci sempre nuove sorgono ad illuminarli".

Per passare ora al tema del mio intervento: una fugace ed incompleta rassegna della sua opera, è necessario un tentativo di collocazione del suo pensiero nell'ambito del divenire della conoscenza psicopatologica europea.

 

ATTUALITA' DEL PENSIERO DI F. BARISON

La ricerca sulla schizofrenia di Barison ha mirato sempre a cogliere il senso (in senso fenomenologico e non empirico, Schau) nelle espressioni e manifestazioni dei pazienti. Per collocare la sua posizione occorre ricordare che allora, ed in parte anche ai giorni nostri, la schizofrenia veniva considerata una entità morbosa, una vera e propria malattia del tutto identica ad una malattia corporea, in conformità al pensiero dell'ottocento, codificato da Emil Kraepelin. Egli I'aveva individuata colla denominazione emblematica di dementia praecox, una similitudine colla demenza, esito di un grave processo atrofico cerebrale)e concettualizzata come una malattia endogena (nata dentro), eredo-costituzionale, la cui sintomatologia derivava da un gioco tra penetranza genetica e fattori acquisiti, e con un decorso, che nella maggior parte dei casi portava ad uno stato di un particolare tipo di deficit chiamato appunto Difetto schizofrenico.

Nonostante che attualmente si ritenga che il concetto di malattia o di entità morbosa non sia formulabile nel campo della psichiatria, in termini rigorosamente scientifici, e che possa rappresentare al massimo un costrutto pratico, definito da criteri di affidabilità tra osservatori (quando è possibile validati con metodi statistici di Cluster o di analisi fattoriale), utile ai fine di impostare una terapia e una assistenza, l'esito in difetto, o la presenza costante di difetti o sintomi negativi, viene preso in considerazione e fa parte della moderna psichiatria, specialmente Nord-Americana, basti fare il nome di Nancy Andreasen, che ci ha onorato di una conferenza presso la Clinica Psichiatrica di Padova.

In questo orizzonte Barison, fin dalle sue prime ricerche, rappresenta una netta presa di posizione divergente, non nel senso che egli si ponga nella alternativa artificiosa biologico-psichico, piuttosto che la mette à coté ed invece sempre valorizza l'elemento Plus, il positivo ed il creativo nella sintomatologia e nella espressione schizofrenica.

La sua ricerca approfondisce in modo autonomo e originale quanto K. Jaspers (prima di ricoprire la cattedra di filosofia, fu professore di Psichiatria, sempre ad Heidelberg), H.W. Gruhle (già emerito Università di Bonn) e poi J. Wyrsch (già emerito Università di Basel), tra gli altri, avevano sostenuto intorno alla creatività dello schizofrenico, colta da Barison non come fare dell'arte, ma quasi come essere "arte".

Per K. Jaspers la comprensione fenomenologica (statica e non genetica) arriva ad un limite al di là del quale il conoscere diviene un sentire ineffabile: "Si vede che in verità nessuna funzione psichica manca definitivamente… Si osserva che negli schizofrenici si hanno sindromi non schizofreniche, che però hanno quella particolare sfumatura; così si hanno sindromi maniacali e depressive, intinte in una atmosfera schizofrenica ma che non riusciamo ad afferrare, enumeriamo però una quantità di dettagli, oppure diciamo incomprensibile, ed ognuno comprende questo insieme solo in una nuova esperienza personale, a contatto con tali malati".

Ed ancora: ''È un fatto straordinariamente impressionante: questa sublime comprensione, questo sconvolgente gioco melodico mai ritenuto possibile, questo impeto creativo (come in Van Gogh e Hoderlin), queste particolari esperienze di fine del mondo e di creazione del mondo, queste rivelazioni spirituali e questi gravi, quotidiani sforzi nei periodi di trapasso dalla salute alla malattia. Ciò non si può comprendere affatto col carattere della psicosi che strappa chi ne è colpito dal suo mondo di prima- come se un evento di radicale distruzione dell'individuo fosse oggettivato simbolicamente da lui stesso. Si parla di un rilasciamento dell'esistenza, dell'anima, ma ciò è soltanto una similitudine. La visione del mondo nuovo che sorge come fatto reale, è tutto ciò che finora possiamo raggiungere".

Quello che ha scritto J. Wyrsch nel 1949 sarebbe ora chiamato un approccio ermeneutico: "nella schizofrenia i sintomi vanno sempre al di là di ciò Che rappresentano e se si procede per astrazione e li si isola dal quadro clinico scompare il loro carattere trascendente e tutto ciò che conferisce loro l'impronta schizofrenica… In questa creazione di un mondo proprio alla quale non giungono tutti i malati appare un qualcosa che non viene apprezzato dal punto di vista dell'uomo benpensante, cioè la capacità di creare…così che non si può negare che anche negli schizofrenici di estrazione sociale comune, quindi non artisti, qualche cosa di nuovo e creativo si fa strada accanto alla distruzione del mondo e della persona…".

Barison ha sempre preferito l'incontro con l'uomo schizofrenico comune: non artista e non colto. La sua indipendenza ed originalità hanno la prima autentica origine nel primato, che ha sempre dato all'incontro col malato, e sono state garantite non solo dalla sua etica e genialità, ma anche dalla lealtà accademica, basti pensare che nel primo importante lavoro, fatto allora da un giovane sconosciuto poco prima dell'esame di docenza si discosta dal pensiero dominante sul linguaggio nella schizofrenia.

Appunto il primo originale contributo scritto a 28 anni nel 1934 sull'Astrazione formale del pensiero nella schizofrenia si stacca da tutti gli studi precedenti, perché, come sottolineato da Sergio Piro nel suo libro sul Linguaggio schizofrenico, si deve a Barison la prima e la piu importante descrizione della caratteristica tendenza schizofrenica verso le forme di pensiero e di linguaggio formalmente astratte ed indebitamente generalizzate. È questo il sintomo consistente nell'astrazione formale del pensiero; necessita per chiarire che non s'intende qui parlare né, dell'astrazione quale si presenta nel pensiero dell'uomo normale, né, della tendenza che ha lo schizofrenico a staccarsi dalla realtà delle cose, a introvertirsi, a ricercare schemi ideologici astratti. Barison mette in guardia acutamente dalla confusione tra processo formale di astrazione e contenuti astratti come il razionalismo morboso descritto da Minkowski; l'astrazione formale del pensiero è invece una caratteristica tendenza ad esprimersi a livello astratto, anche quando il contenuto del pensiero è costituito da fatti concreti, singoli, materiali. Lo schizofrenico tende a rendere con espressioni astratte e generalizzate quanto potrebbe dirsi con termini più concreti e più adeguati. L'interpretazione che ne diede allora fu di un tentativo di difesa (si direbbe ora di coping) contro la dissociazione delle idee, come una sorta di riparazione istintiva del pensiero schizofrenico alle dissociazioni intervenute tra le idee.

I dati formulati da Barison appaiono in contrasto colla più accettata teoria di Goldstein della perdita delle attitudini astratte.

L'illustre psichiatra nordamericano Silvano Arieti nella seconda edizione della sua Interpretazione della Schizofrenia (1974) ha ripreso dandovi largo spazio questo lavoro giovanile di Barison.

Henry Ey' dopo la sua lettura venne a trovare Barison a Ferrara, dando inizio alla loro amicizia.

È molto importante per comprendere l'evoluzione del suo pensiero psicopatologico lo studio del 1953 sul manierismo schizofrenico apparso sull'Evolution Psychiatrique e tradotto a cura di Heny Ey.

Tra le qualità fondamentali del manierismo: parassitismo come complicanza aggiunta al comportamento, espressività, e intenzionalità si sofferma su quest'ultima.

I termini di volontà e di intenzionalità sono in questo saggio usati nel loro semplice ed abituale significato. Scrive: "Questa qualità intenzionale del manierismo riguarda un aspetto fondamentale del pensiero schizofrenico e non vi è motivo per non prenderla in considerazione a proposito di quei comportamenti motorii universalmente assegnati dagli psichiatri come manierati e affettati implicando necessariamente in tal modo che essi derivino da una intenzionalità. Non si tratta di derivare il manierismo dall'atimia, da una carenza di impulsi affettivi che toglie ogni modulazione e armonia, ogni flessibilità fino a farne un marionettismo saccadico e meccanico, come scriveva E. Bleuler, perché perfino nel marionettismo vi è un plus nel senso di Gruhle, un valore di intenzionalità che ricerca il complicato ed il superfluo.

 

ANDERS E APATIA

Come si vede il suo pensiero s'ispira e concorda con quello che Gruhle chiama "diverso volere", "volutamente inconsueto", e col cogliere piuttosto che un momento Minus, il PIus o "l'essere altro o altrimenti"; questi termini e particolarmente "altro", o "essere altrimenti", nella versione tedesca (sostantivata) di "Anders", rimarranno un motivo costante della sua operafino agli ultimi lavori.

Ma l'essere diverso Anders ad ogni costo assume fin da questo lavoro una connotazione, ancorata profondamente ad una radice creativa unica e singolare: l'essere diverso della schizofrenicità; infatti dice: "Al fondo del manierismo spunta questa ironia schizofrenica che ingloba ambiente e soggetto al tempo stesso, ironia che sembra emergere da un profondo distacco scettico da sé stessi e soddisfare un desiderio calcolato di non mendicare, né dall'ambiente, né, da sé stessi, un benché minimo movimento di compassione.

Ed anche in quella che vien considerata apatia o deterioramento il vero motore è sempre il conformismo e formalismo e "l'analisi rivela spesso una grande ricchezza di fenomeni affettivi e l'atimia apparente non è che il frutto di una sovrapposizione attiva di istanze e comportamenti ispirati ad una sorta di rispetto per un'autorità astratta, per una forma di burocrazia assoluta.

I1 manierismo è una teatralità il cui scopo evidente è quello di annientare la realtà espressiva di sfuggire il senso diretto deviando continuamente l'accento espressivo su di una cascata di comportamenti parassitati la cui efficacia espressiva viene a sua volta svuotata di senso… La teatralizzazione del tentativo di derealizzare la realtà, questa è l'essenza del manierismo… come un modo di essere al mondo, di essere nei riguardi dell'altro, un modo in cui le peculiarità sembrano essere lo stile di un'esistenza che risulti il più possibile irreale. L'espressione diventa la meno espressiva possibile, quasi per togliere ogni realtà alla realtà dei sentimenti e per sfigurarla ostentatamente sotto la maschera di falsi sentimenti. A questo incalzare di derealizzazione va aggiunto un ulteriore sottinteso espressivo, se si ammette l'ipotesi che il malato giochi con se stesso un ruolo, quello del personaggio che rappresenta il nucleo piu profondo della sua personalità schizofrenica".

Barison conclude chiedendosi se tutto il comportamento schizofrenico non possa essere considerato come manierismo.

Anche qui Barison (siamo nel 1953) apre all'orizzonte della psicopatologia fenomenologica profondità e prospettive – un vero mistero della superficie – che precorrono i tempi, penso all'affermazione che H. Maldiney farà nel 1976 come in tutte le psicosi si assista alla conversione della presenza in rappresentazione, affermazione mitigata da Tatossian col dire che ciò potrebbe valere per le sole forme deliranti della melancolia e della schizofrenia. Nella melancolia, ad esempio, Freud tra i primi constata una peculiare tragica teatralità, che a me ricorda certe espressioni del coro nelle tragedie greche e sostiene: "I1 malato ci descrive il suo Io come assolutamente indegno, incapace di fare alcunché e moralmente spregevole; si rimprovera, si vilipende si aspetta di essere respinto e punito. Si svilisce di fronte a tutti…".

Mi sembra particolarmente interessante ricordare che W. Blankenburg, autore caro a Barison sul cui pensiero tenne alcuni dei consueti seminari nella Clinica Psichiatrica di Padova, ha piu volte scritto (1991) che "numerosi schizofrenici non riescono a tollerare – al pari della maggior parte degli esseri umani che accettano con naturalezza di vivere nella deiezione (nel Das Man, nell'On, nel si dice) – questo abituale oblio e ordinario coinvolgimento nel quotidiano. Ed è per la loro incapacità di ricorrere a quei compromessi che sono ovvi e un tutt'uno col vivere nel mondo in autentico della deiezione, che sono portati a quelle rigide alternative che Binswanger ha descritto sotto il nome di esaltazione fissata e di stramberia. Non è tanto l'inautenticità che li caratterizza, ma questa incapacità di potersene appagare nella vita quotidiana". Questa comparazione con Blankenburg avrebbe avuto forse piu valore nel confronto coi lavori piu recenti, ma come si vedrà c'è in Barison una straordinaria continuità di pensiero.

Barison si spinge ancora piu in 1à nella analisi del manierismo, trovando come l'essere schizofrenico, la schizofrenicità raggiunga rapporti intimi colla creatività "Si è schizofrenici quando ci si rivela teatralmente a se stessi e agli altri… Quale differenza esista tra l'attività artistica e questa precisa espressività irreale dello schizofrenico. L'arte ci sembra essere l'espressione pura di una realtà sovrumana, mentre il manierismo è espressione dell'irrealtà, in quanto negazione fondamentale di ogni realtà, poiché proprio qui sta l'ultima parola del mondo schizofrenico, di essere nella sua essenza teatralità in quanto negazione della realtà".

Dopo l'apparizione nel 1956 del noto saggio di Binswanger sulle Tre forme di esistenza mancata; Esaltazione fissata, stramberia e manierismo è stato possibile rilevare le differenze: per Barison il manierismo non è un angolo di sosta prima del naufragio dell'esistenza coll'aggrapparsi in un ultimo sforzo ai modi convenzionali della pubblicità del "si dice, si pensa", del "Das Man", della deiezione nel senso di Heidegger. Non si tratta di. un conformismo, una convenzionalità esasperata come ultima ancora di salvezza, ma piuttosto di un proprio modello, il più assoluto possibile. Barison pone al centro quello che Binswanger aveva posto alla periferia. Per quest'ultimo la presenza manierata privilegia il periferico e l'esterno a spese di ciò che è centrale ed interiore, essa vuole elevarsi, ma grazie ad un altro da sé. Così che, per Binswanger, l'intenzione cosciente del manierismo è quella di manifestarsi in modo artificioso e perciò rifiuta ogni analisi in termini di volontà o non volontà nel senso del "voler essere altrimenti" di Gruhle. Sembra proprio che Binswanger riduca il voler essere altrimenti – Anders – ad un non poter essere che altrimenti, il suo pensiero, come ha scritto Barison (1990), traduce il momento Minus piuttosto che il momento Plus.

In un lavoro pubblicato nel 1961 sull'Evolution Psychiatrique: Art et Schizophrenie, tornando sul manierismo come una condotta espressiva che mette in rapporto l'osservatore con lo strano o assurdo schizofrenico, ne accentua decisamente il carattere creativo: "si ha l'impressione di qualche cosa di diverso, di nuovo che non è un Minus, ma un Plus. Una espressione oscura di qualcosa che ci sfugge: un assurdo che non solo è nuovo per il pensiero normale, ma che sempre nuovo ad ogni nuova osservazione; è qualcosa è, esiste, che vive nel comportamento del paziente; è qualcosa che esercita sull'osservatore sperimentato una attrazione del tutto particolare. Il comportamento dello schizofrenico costituisce dunque, nel suo nucleo assurdo e strano, una creazione di forme nuove, che sono esse stesse una realtà vivente… In altre parole è come dire che possegga una caratteristica produttiva creativa sentita dall'osservatore come propria all'opera d'arte".

Non parla minimamente dello schizofrenico vero artista, ma di quello comune, incolto di arte e filosofia e del suo vivere quotidiano in una maniera strana.

I comportamenti favorevoli allo studio di questo strano schizofrenico (Barison abbrevia in "schizo") sono il manierismo, la schizofasia, le interpretazioni originali al test di Rorschach, ed ancora lo strano che può aggiungersi alla coscienza di significato delirante.

Nel manierismo non coglie solo la polemica attiva contro la realtà, come viveva detto in modo vicino a Gruhle, ma andando al di là, c'è ancora un misterioso residuo, non dissimile da quello inerente al fatto artistico.

Per Barison la schizofasia possiede spesso un carattere lirico evidente: alle volte esprime temi sentimentali, altre volte si sente bene che esprime qualche cosa, ma non si saprebbe dire che cosa. Può capitare anche di trarre dalla serie schizofasica, più o meno oscuramente, un significato razionale o, in certi casi, può succedere "che la serie schizofasica non evochi che paesaggi vaghi che danno spesso l'impressione di devastazione e di deserto… Ma tutto questo non è in fondo che del lirismo, del lirismo più o meno ermetico, che non si discosta sostanzialmente dalla vera poesia. Naturalmente manifestazioni retoriche, oratorie, ricordi di sermoni, di preghiere, di orazioni sacre e profane vi si aggiungono di frequente e le si deve considerare a parte. Noi sentiamo che questo lirismo non è tutto, c'è al di sotto un residuo fatto di una estraneità particolare, che usa metafore e più ancora analogie, come è proprio della poesia, della poesia moderna particolarmente.

È una estraneità che impiega il motto singolare come un motto nuovo, cioè facendo astrazione dal suo significato usuale e spingendosi talora fino all'assoluto. La novità neologica e la tendenza verso il nulla che si unisce al lo strano schizofrenico si ritrova nella lirica moderna, basti pensare a Rimbaud ed a Eliot. Nello stesso modo come per il gusto estetico noi sentiamo questo quid ineffabile che costituisce l'essenza dell'irrazionale-arabesco-poetico, sentiamo nelle manifestazioni schizofasiche l'ineffabile residuo cheè lo strano schizofrenico."

Osserva che a differenza dal poeta che prende ispirazione dalla vita di tutti i giorni e crea qualcosa che è ormai al di fuori della vita stessa, lo schizo esprime nello strano un vivere engagé, in una realtà deformandola, non evadendola, ma piuttosto distruggendola. Così che la deformazione schizo investe proprio intimamente la maniera di vivere quotidiano del soggetto, mentre la deformazione artistica si realizza in forme che si staccano dalla vita del soggetto stesso.

Osservazioni che anticipano e ricordano quanto poi scriverà Blankerburg (1965) in un'ottica husserliana, colla comparazione del delirio schizo al sonetto " Tronco arcaico di Apollo" di Rilke: c'è in ambo i casi una trasformazione del rapporto Sé-Mondo nel quale il Sé abituale è messo fuori gioco con una specie di appello ad un altro Sé, ad un altro progetto, ad un'altra organizzazione trascendentale (come si vede, passando all'empirico, ricorda il diverso volere 1'Anders). Nello schizofrenico la trasformazione del Sé è irreversibile e totalmente passiva e la trascendenza obbiettiva del mondo sopraffà la trascendenza del Sé. Nel poeta la trasformazione non si da come un avvenimento subito ma un compito, così che, in altre parole, il poeta resta progettante-progettato.

 

IL CIRCOLO ERMENEUTICO

Verso la metà degli anni 80 il pensiero di Barison si accosta decisamente e manifestatamente all'approccio ermeneutico. Sembra così che la sua ricerca sulla schizofrenia fin dall'inizio indirizzata ai metaforico, al cogliere al di là, scopre e trova il suo terreno di approfondimento.

Ecco come parla del suo cammino di ricerca: "Se la tensione verso il completo irripetibile esserci del singolo costituì uno dei motivi conduttori della mia vita psichiatrica dagli inizi, l'altro fu un interesse altrettanto vivo e precoce per la schizofrenia come modo di vivere. E nella maturità del mio pensiero psichiatrico da tale interesse si andò sempre più delineando il tema, che tuttora rappresenta I'asse della mia psichiatria e dei miei collaboratori della profonda analogia tra opera d'arte e schizofrenia".

Nei numerosi interventi e conferenze a livello nazionale e specialmente in quelli organizzati dai suoi vecchi e nuovi allievi – era sempre circondato da giovani -, interveniva costantemente a portare i suoi nuovi interessi.

"Ermeneutica" è per lui, rigore e precisione filosofica, ravvivata dal ricorso ad esempi tolti dalla pratica clinica e psicoterapica.

Scrive: "Una psichiatria ermeneutica è quella che cerca di comprendere i malati con i "come se" (a proposito di un bambino autistico: "gioca con una cosa come un artigiano intento ad un lavoro delicato") e con le metafore. Anche i termini di uso corrente: dissociazione, atimia, frantumazione del sé, altro non sono che delle metafore. Si tratta di una specie di giro avvolgente che lo psichiatra tenta verso un nucleo, che resta indicibile, ma è altamente significativo; del resto avviene qualcosa del genere quando cerchiamo di cogliere l'essenza di qualsiasi personalità anche normale. Questo nucleo indicibile, ma significativo appartiene in fondo (se applichiamo concetti dell'ultimo Heidegger) al linguaggio non denotativo, al disvelarsi-nascondersi dell'essere, così ben simbolizzato nella radura nel bosco".

Con straordinaria chiarezza espositiva, come scrive in un recentissimo libro (1997) Eugenio Borgna, Barison spiega cosa significa circolo ermeneutico: "il circolo ermeneutico è chiaramente descrivibile in giurisprudenza. La legge è valida soltanto nell'interpretazione, che il singolo giudice ne dà, nel singolo caso in quanto irripetibile; a sua volta la legge viene modificata dalle applicazioni, che i giudici ne danno via, via. Il circolo ermeneutico è proprio questo: un continuo divenir consistente nell'interazione del tutto sulle parti e delle parti sul tutto l'ermeneutica è quindi storicizzazione. Al contrario le leggi scientifiche sono immutabili, a meno che si sostituiscano tra loro".

Tutto ciò è profondamente vero: i nostri concetti psicopatologici o sono metafore nostre o sembrano tali quelle attinte dai nostri malati e perfino le definizioni della psicoanalisi hanno un significato profondamente metaforico, si pensi, ad esempio, a Transfert dal tedesco Über-Tragung che vuol dire passare al di là, traslare.

Ed ancora: "Nel dialogo ermeneutico c'è l'incontro di due orizzonti che si fondono producendo un cambiamento di entrambi nel momento dell'interpretazione, si verifica un aumento di essere come dice Gadamer. In questo senso si accomunano un esame clinico ed un primo atto psicoterapeutico. L'interpretazione vera è quella che modifica entrambi. Non mettersi nei panni dell'altro ma viverlo in quanto si apre a me, nell'aprirsi che è nuovo anche per lui in quanto inerisce all'evento nuovo dell'incontro".

Barison ammonisce e rimarca come in quest'epoca della psichiatria domini un privilegio accordato allo sfondo: famiglia, ambiente e sistemi, rispetto al dialogo vero, aggiungerei un allontanamento dalla conoscenza problematica, allusiva e metaforica per appoggiarsi alla sicurezza aproblematica della tecnica, per poi giungere, in un tempo successivo a costruire su di essa una teoria della tecnica. Si passa così di moda in moda, da ideologia a ideologia, tutte sempre più vere, sempre più avanzate e più moderne, nel continuo oblio del fondamento dialettico di ogni pensiero e tanto più dell'incerto pensiero psicopatologico. Rimanendo ancora in questa aura dialettica che ho appena evocato, rammento che Barison si appoggia costantemente a quello che può essere ritenuto il polo della prassi nella fondazione della sua concezione psicopatologica, che è certamente l'incontro e si conforma ed ha ben presenti queste parole di Heidegger: "Noi siamo un colloquio. L'essere dell'uomo si fonda nel linguaggio, ma questo accade autenticamente solo nel colloquio… ma che cosa significa allora un colloquio? Evidentemente il parlare insieme di qualcosa. E in tal modo che il parlare rende possibile l'incontro.

Il poter ascoltare non è una conseguenza che derivi dal parlare insieme, ma ne è piuttosto al contrario il presupposto. Un colloquio noi lo siamo dal tempo in cui vi è il tempo. Entrambi l'essere un colloquio ed essere storicamente hanno lo stesso tempo si appartengono l'un l'altro e sono il medesimo".

Ogni incontro autentico ha in sé, la verità di un tempo non fugace, non effimero, che poggia sulla storia personale, una verità pensata, pesata nel tempo. Maldiney dice: "Novità, alterità, realtà emergono l'una attraverso l'altra in ogni incontro".

Dall'incontro dialogico deve sorgere quella verità che è il nuovo orizzonte, "L'interpretazione ermeneutica è quindi un evento. A fronte di una scena capitale reale che può non esserci stata, ciò che conta è la scena capitale che il paziente ci fa vivere con lui".

Tutte le sue precedenti ricerche vengono illuminate e trasformate in questo continuo svelarsi e ricoprirsi, in questa luce-ombra ermeneutica, specialmente quelle tematiche a lui più care, scrive: "Come assurdo schizofrenico intendo il carattere costitutivo dell'esistenza dello schizofrenico che consiste in una deformazione, in un straniamento di tutto il mondo interiore ed esteriore; una specie di estatico modo di esistere; sia negli atti e negli atteggiamenti del semplice usuale contesto giornaliero sia negli sviluppi patologici abnormi che di questo straniamento sono espressioni secondarie.

Ed ecco uno dei motivi del mio interesse per lo Heidegger ultimo, che permette un approfondimento della mia ricerca sull'analogia arte-schizofrenia, in quanto heideggerianamente sono i poeti i portatori della verità dell'essere. nell'assurdo schizo noi cogliamo una creatività distorta dal solipsismo. È noto come nell'ultimo Heidegger l'essere per la morte è sostituito dalla mortalità inerente al continuo disvelarsi-nascondere dell'essere: e quindi nell'opera d'arte". Ed ancora "l'esperienza estetica è modello per descrivere il salto nell'Abdgrund della mortalità nella quale sempre siamo" (Vattimo 1983). Ed ecco come per lui il cogliere nello schizo la analogia con l'opera d'arte, corrisponda "a quel senso della morte che sia la clinica che la testologia hanno sempre avvertito nello schizo: evidentemente sono due le vie del nostro aprirsi alla verità dell'essere: a) il traslucere dell'essere nell'uscire dalle nebbie depossibilizzanti della banalità di ogni giorno o di patologie come ad esempio la nevrosi e b) il particolare assurdo schizo, che più che altri disturbi della schizofrenia esce dagli ambiti della psicopatologia per sviluppi di ermeneutica filosofica".

Lo spostamento dell'interesse verso l'essere anziché verso l'esistente vede l'autentico non tanto come l'assolutizzarsi dell'ipseità, che Barison chiama un valore da tardo romanticismo. "Nella fondazione del Dasein, cioè dell'esistente, è un aprirsi – ritraendosi – dall'essere che illumina l'esistente, come avviene nella 'Lichtung'; ia radura. Se l'esistente ha le sue fondamenta nell'essere, il fondamento è abissale. Il mistero è l'incalcolabilità dell'essere. 1l nostro approccio al mondo della malattia psichica rivolto alla ricerca di queste 'radure', in cui traspare l'essere, ci sembra qualche cosa di più possentemente fondato che non la ricerca di un assolutizzarsi di un ipotetico personale esistere".

 

IL CONFRONTO CON LA PSICHIATRIA U.S.A.

In una serie di studi, compreso un numero unico di Psichiatria generale dell'età evolutiva, da lui curato sulla cosiddetta apatia schizofrenica, rimarca che quello che lui chiama Anders per il pensiero Nordamericano, sarebbe solo disordine, aleatorietà, entropia, rumore; è chiaro il riferimento, con quell'accento polemico che gli piaceva, a Nancy Andreasen, che aveva conosciuto a Padova. Ormai, aggiunge, sulla scia del pensiero Nordamericano, domina anche da noi il "decorso", inteso come un assioma divenuto luogo comune: produttività negli episodi acuti e viceversa difetto nella cronicità.

Ed afferma che: "Soltanto gli ingenui possono credere che tale psichiatria ispirata all'empirismo e al pragmatismo anglosassone, abbia soppiantato la psichiatria europea, ne fanno fede gli attuali studi tedeschi sulla schizofrenia, e del resto chi voglia approfondire la psicopatologia delle depressioni non può prescindere dall'opera di Tellenbach".

È preoccupato da questa enfasi che viene posta sui sintomi negativi, gli .è cara la sua ipotesi, per la quale l'esistenza schizo è sempre in ogni parte del decorso caratterizzata dall'Anders. "La tumultuosità della produzione di esperienze allucinatorie dell'esperienza di fine del mondo, di Wahnstimmung andrebbero intesi come una specie di reazione all'irrompere improvviso della schizofrenicità, cioè un modo di vivere del tutto diverso da ogni altro, e che sconvolge il rapporto cogli altri. Questa produttività sintomatologica non compare nel decorso lento, senza per questo collocarla tra i sintomi negativi, quando il paziente ha il tempo di apprendere quella specie di compromesso coll'ambiente che è la completa chiusura autistica".

Ma tornando al dialogo dice: "Non si può comprendere senza entrare in un rapporto che è il primo passo della psicoterapia, cioè di un mutamento esistenziale coinvolgente operatore e paziente sia sul piano del Mit-Sein in modo autentico, che sul piano del rapporto transferale e controtransferale, anche se vi sia per avventura una sola intervista; qualsiasi siano nel tempo e nelle diverse circostanze gli svolgimenti di tale rapporto".

È pienamente d'accordo con quanto afferma W. Blankenburg, che identifica la comprensione ermeneutica col "Verstehen" jaspersiano (comprensione statica o fenomenologica di Jaspers), e vede nella comprensione ermeneutica una convergenza di fenomenologia e psicoanalisi, così che comprensione ermeneutica e coppia transfert-controtransfert hanno chiare similitudini.

Mi pare di grande importanza quanto afferma Blankenburg e Barison condivide, si pensi cosa significhi alla lettera per la psicoanalisi la coppia transfert-controtransfert: con Racker e poi Etchegoyen, per far riferimento a due trattatisti di tecnica psicoanalitica, un transfert nevrotico trova una sua rispondenza in un controtransfert nevrotico e così si dica per il transfert perverso o per quello psicotico. Ma cosa vuol dire questa particolare risonanza del terapeuta? Non vuol dire che egli divenga perverso o psicotico, ma piuttosto che egli si sente come se lo fosse. I temi e sentimenti che nascono nel transfert, non hanno una evidente chiara connessione collo svolgimento concreto della relazione psicoterapeutica, il loro rapporto con essa, come per primo ha scoperto Freud, awiene senza un motivo apparente, ma ricordo che senza motivo apparente ohne Anlass per Gruhle e Schneider è anche il significato nuovo che si aggiunge nella coscienza di significato delirante: due modalità di illuminazione o di svelamento, che hanno un rapporto dialettico tra loro: l'una nella direzione del reale condiviso, l'altra nella direzione di un solipsismo egocentrico. I1 legame dialettico contiene in ogni polo di questa alternativa una dimensione ridotta dell'uno e dell'altro polo, così che il terapeuta, non eccessivamente difeso, ha la possibilità di sperimentare nel "come se" ermeneutico l'effettivo condividere l'umano destino dello psicotico, pur mantenendo una Ich-Spaltung terapeutica.

Il suo interesse per l'incontro e dialogo ermeneutico è un tutt'uno di comprensione e psicoterapia, la quale è prima di tutto accettazione: "la psichiatria nell'orientamento da noi seguito si propone di cogliere il linguaggio non denotativo, quel linguaggio che è la casa dell'essere. Linguaggio che ovviamente può essere non parola, ma gestuale, mimico o essere silenzio.

Ascoltare il silenzio… "Ti accetto" come sei è la partenza per qualche cosa di ineffabile, lo psichiatra si studia di favorire nel paziente il linguaggio che è, in cui il disvelarsi-nascondersi dell'essere, rende manifesta l'originale assoluta novità e unicità di quella esistenza.

La comprensione è un coesistere che implica una partecipazione totale dell'esistenza dell'operatore, che ha il calore partecipativo del fruitore dell'opera d'arte. Chi è riuscito a realizzare questa comprensione conosce il calore umano che si svolge tutto nell'ambito del rapporto, più apollineo che dionisiaco… Parlare di creatività sui generis non vuol dire una vita segreta interiore. Ciò che cerchiamo di comprendere è tutto nell'essere al mondo del paziente come cogliere la nascosta profondità della superficie".

Ho descritto e commentato solo qualche sparso frammento del lungo

discorso di Barison. Spero che se ne possa ricavare l'impressione del suo tendere verso l'assoluto e che possa rendere una testimonianza della vita e dell'opera, di colui che continuamente ha ricercato quelle radure, quell'apparire e scomparire… mai compiuto, mai finito… e che ora ritrattosi nell'ombra del bosco, ripropone e trasmette ad allievi vecchi e giovani il fascino per l'ineffabile e lo sconosciuto nella consapevolezza in fondo che nessuno va più in là dell'intravedere. Questa in psicopatologia ed in psichiatria clinica è un'etica di ricerca e di rispetto.

 

 

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