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Quali adolescenti per quali servizi

16 Gen 19

Di FRANCESCO BOLLORINO

di
Ilo Rossi,
Direttore D.S.M. Ausl. Ravenna
Flavia Alberoni, Coordinatrice RiSeA (Ricerche e Servizi per l’Adolescenza) D.S M. Ausl. Ravenna

 

INTRODUZIONE

"L’adolescenza è un fenomeno universale: ciò che varia sono i significati e le attese che le differenti culture applicano ai loro giovani membri, man mano che essi avanzano in questo stadio della loro vita"(Calligari Galli, 1989). In tutte le culture che ci hanno preceduto, la società si è sempre preoccupata di proteggere l’adolescenza, formalizzando norme di comportamento e riti di passaggio. Oggi la rete protettiva, che sosteneva i giovani all’ingresso nel mondo degli adulti, si é progressivamente annullata e rischia di esporre gli adolescenti ad un drammatico disorientamento. La nostra società è caratterizzata da un’età infantile che si interrompe più precocemente, mentre é sempre più ritardato l’ingresso nel mondo adulto. L’adolescente rischia in questo modo di entrare in una lunga fase d’apprendistato caratterizzata dalla lunga dipendenza economica dai genitori e dalla pressione degli stimoli contradditori della società, che tendono a creare ed accrescere bisogni e miti effimeri. La condizione psicologica degli adolescenti che ne deriva induce spesso i giovani a costruire confusamente una diversa dimensione della realtà in cui vivono, reinventando in uno stile regressivo i propri investimenti, i propri riti, le proprie leggi. In assenza di stimoli corretti, che inducono a valide identificazioni, si rompe quel delicato equilibrio costituito dall’Io-Ideale e dall’Ideale dell’Io, che garantisce la regolazione dei bisogni narcisistici e oggettuali delle funzioni introiettive e proiettive.

La disfunzionalità indotta dagli stimoli sociali e da quelli intrapsichici può portare, sul piano sintomatologico, ad un’ampia gamma di disagi che si manifestano col ritiro sociale, con comportamenti devianti, con disturbi di personalità e con l’utilizzo di sostanze. Recenti studi epidemiologici (Roth & Fonagy, 1997) indicano, come la sofferenza psichiatrica in bambini ed adolescenti può essere stimata attorno al 10-33%. Nel nostro Paese, alcune ricerche sulla popolazione scolastica, indicano una percentuale d’adolescenti a rischio di oltre il 20% (Muscetta, 1998). I dati provenienti dalle ricerche hanno confermato che gli stessi fattori di rischio capaci di individuare gli adolescenti bisognosi d’intervento sono prognostici di disagio anche nella tarda adolescenza e nell’età adulta (Rutter, 1994).

Gli studi clinici sull’adolescenza pongono l’accento sulla prospettiva evolutiva di questa fase della vita ma, contemporaneamente, la definiscono come un’età critica in cui possono emergere aspetti disadattivi sia in campo psichiatrico, sia sociale. Nell’età giovanile si organizzano importanti processi evolutivi che acquisteranno, in seguito, la forma definitiva. Le tappe evolutive fondamentali per il giovane sono: lo sviluppo dell'identità sessuale al fine di portare a compimento l'entrata dell'individuo nel mondo adulto e il processo d’identificazione-separazione, sperimentato attraverso i movimenti di differenziazione dalle figure genitoriali. Ne consegue che l’adolescenza è la fase decisiva per la costruzione dell'identità e per il consolidamento della personalità. Essa é un momento di maturazione e di cambiamento in campo corporeo, cognitivo e affettivo; tuttavia può trasformarsi in una fase a rischio perché le vulnerabilità evidenziatesi nel corso dell'infanzia possono emergere, sotto la pressione dei nuovi compiti evolutivi, con il rischio di dare origine a rotture nella fase dello sviluppo.

La complessità del percorso evolutivo rende complicato il riconoscimento delle situazioni di rischio: diventa importante, allora, poter distinguere una sofferenza connessa all’ansia d’emancipazione da una sofferenza patologica costituitasi silenziosamente durante le fasi evolutive dell’adolescenza (Ammaniti, 2003). Alla complessità del quadro evolutivo si aggiungono le interazioni degli ambienti in cui il ragazzo si muove: la famiglia, le cui modificazioni interne ed esterne hanno prodotto differenti ruoli e la riduzione dell’autorevolezza dei genitori, i complessi mutamenti della società odierna, la crisi dei compiti educativi e formativi dell’istituzione scolastica che sottraggono all’adolescente un nodo centrale per le operazioni d’identificazione e per la costruzione di un equilibrato senso della realtà.

Nella clinica dell’adolescenza, l’interesse per le influenze dell’ambiente di riferimento, emergono, dalle teorie dello sviluppo di Meltzer e Harris (1986) che hanno individuato alcuni elementi essenziali dello sviluppo adolescenziale nelle dinamiche psicologiche interne alla famiglia, nei ruoli della coppia genitoriale e nelle relazioni che l’adolescente vive con i gruppi significativi durante il suo sviluppo: la scuola, il gruppo dei pari. Gli studi sociologici e le teorie sistemiche hanno introdotto nuove chiavi di lettura sulle interazioni fra individuo ed ambiente ed indicano l’utilità di valutarli come elementi di un unico sistema e di analizzarne le reciprocità delle interazioni.

L’ insieme delle considerazioni esposte suggerisce la necessità di una visione più integrata dell’adolescenza, di una lettura più globale del fenomeno e di una scelta idonea ed efficace dell’intervento, in questa delicata situazione di passaggio.

 

L’ADOLESCENTE ED I SERVIZI SANITARI: ALCUNE CRITICITA’

L’attuale organizzazione sanitaria presenta una varietà di Servizi che offrono programmi, strategie di cura e assistenza dedicate a specifiche patologie. La frammentazione dell’offerta e l’assenza di un reale coordinamento fra i Servizi sanitari, comporta una perdita dell’elaborazione complessiva, atteggiamenti di delega da un settore all’altro e ad un divario fra le metodologie d’intervento ed i processsi formativi (Rossi, 1986): i Servizi, agendo separatamente fra di loro, mostrano lo stesso modo di comportamento intrapsichico con il quale l’adolescente agisce, tenta di espellere o di organizzare le parti di sé.

Oggi, l’adolescenza nel Servizio pubblico rischia di essere considerata come una terra di nessuno, fra la neuropsichiatria infantile e la psichiatria degli adulti, spesso vittima dell’ideologia della maturazione o della crisi di passaggio che favorisce un pericoloso atteggiamento d’attesa. I Servizi di Neuropsichiatria infantile orientati soprattutto alla cura dei disturbi della prima infanzia; il Dipartimento di Salute Mentale e il Servizio per le tossicodipendenze rivolti alla accoglienza di casi gravi e patologie conclamate; nessun luogo in cui sia prevista l’accoglienza del disagio adolescenziale come se, gli stessi Servizi, stentassero ad elaborare quel processo di individuazione e separazione che caratterizza l’adolescente (Rossi & Bastianelli,1988). Rimane esclusa o poco considerata la domanda d’adolescenti non patologici (o non ancora patologici) che soffrono di disagi psicologici, affettivi, di difficoltà familiari e scolastiche e, più in generale, del malessere esistenziale connesso a squilibri che il processo di costituzione dell’identità produce. Manca una cultura e, conseguentemente, uno spazio d’ascolto per il disagio legato all’esperienza adolescenziale, la quale non si adatta ai modelli, ai tempi, all’organizzazione medicalizzata dei Servizi tradizionali. Le caratteristiche della fase di sviluppo rendono i giovani poco compatibili con la presa in carico progettata dai Servizi tradizionali, con setting e tecniche d’intervento la cui efficacia è sperimentata su adulti e bambini. Pertanto, gli adolescenti sviluppano un uso molto selettivo e circoscritto dei Servizi, rendendo manifesta la rigidità che li caratterizza e la mancanza di strategie d’accoglimento a loro adeguate.

Negli ultimi anni, è emersa una maggiore attenzione ai problemi dell’adolescenza, per merito di studi teorici e di ricerche epidemiologiche. Tuttavia nei Servizi pubblici stentano a crescere la sensibilità e la cultura in grado di affrontare le difficoltà di quei giovani che non configurano un rischio sociale o un’esplicita patologia: le problematiche adolescenziali, non riconosciute dall’attuale organizzazione dei Servizi sanitari, risultano di esclusiva competenza di Centri privati; ai Servizi pubblici rimane la competenza e la gestione degli stati patologici attraverso interventi che assumono una funzione di contenimento e di trattamento a lungo termine.

Il Dipartimento di Salute Mentale, i cui obiettivi si devono qualificare nell’ampliamento di collaborazioni con i Servizi limitrofi per attuare progetti rivolti allo sviluppo della salute mentale, può fungere da centro di coordinamento nella costituzione di un servizio dedicato all’adolescenza. Il DSM, attraverso la possibilità di mettere in rete le varie competenze di cui dispone, deve poter proporre un modello di psichiatria di confine tra luoghi d’intervento e saperi diversi. Non ci sembra azzardata l’ipotesi di un centro per gli adolescenti all’interno di un modello dipartimentale, come coordinamento di discipline diverse (NPI, SerT, Pediatri e Medici di base, Ospedale, Servizio sociale, Pediatria di Comunità, Consultori) e come programma-ponte fra il DSM e il Dipartimento delle cure primarie. L’organizzazione interamente pubblica di un programma per i giovani può garantire una forte integrazione fra tutti Servizi, al fine di rispondere ad una domanda molto articolata ma non frazionabile quale è quella giovanile (Rossi & Bastianelli, 1988). La struttura di coordinamento garantisce anche la collaborazione e la formazione comune fra gli operatori, per assicurare che essi possano coprire l’intera gamma delle risposte possibili e garantire la continuità dei progetti.

 

STRATEGIE DI PREVENZIONE PRIMARIA IN ADOLESCENZA

Attivare programmi rivolti all’adolescenza comporta il sapersi confrontare con un bagaglio di conoscenze che spaziano dalla psicologia, alla sociologia, alla psichiatria, all’epidemiologia e con la capacità di poter mettere in campo strategie di prevenzione e di trattamento precoce. Il bagaglio delle conoscenze deve poter servire, non solo come possibilità di attivare interventi tempestivi, ma anche "come un insieme di azioni strategiche nell’ambito di una complessa organizzazione, a livello comunitario, da mettere precocemente in atto al manifestarsi dei primi sintomi di malattia, o meglio anche prima del suo esordio" (McGorry et al., 1995). L’area della prevenzione, la presa in carico precoce dei bisogni che oggi esprimono gli adolescenti, i trattamenti adeguati, sono gli elementi essenziali che possono orientare in senso positivo o negativo il lavoro nell’ambito dei Servizi territoriali.

E’ necessario, per trattare correttamente il tema della prevenzione e del disagio in adolescenza, premettere alcune considerazioni. Lo scopo principale dell’intervento preventivo è quello di favorire il conseguimento degli obiettivi specifici dell’età ed evitare che il processo di maturazione e della costruzione dell’identità sia interrotto. Gli studi di Laufer (1999) ci hanno fatto comprendere le dinamiche dei crolli evolutivi dell’adolescenza e indicano che un trattamento idoneo costituisce un’occasione decisiva in questo periodo della vita, che è caratterizzato dalla plasticità e dalla possibilità di cambiamenti. Laufer indica che gli aspetti patologici risolti in questa fase della vita, hanno minori possibilità di ripresentarsi in epoche successive. Il presupposto della prevenzione primaria è rappresentato dalla possibilità di riconoscere precocemente i fattori che predispongono alla vulnerabilità e al disturbo psichico e, allo stesso tempo, dal poter valorizzare i fattori protettivi che favoriscono l’evoluzione della personalità, in grado di promuovere le capacità potenziali dell’adolescente. Le variazioni dalla normalità, il modo in cui sono vissute le inquietudini, le condotte a rischio di un adolescente ed i suoi meccanismi di difesa sono importanti conoscenze per un’esatta valutazione delle possibilità evolutive del giovane e della sua crisi. Il modo di affrontare la tensione provocata dagli stati di conflitto interni ed esterni e la determinazione di criteri più specifici per la valutazione dei sintomi riesce a prevenire nuove condizioni patologiche e a indicare rimedi ai disagi del mondo giovanile.

Le teorie cliniche più aggiornate mostrano che i criteri d’interpretazione adottati per gli adulti e per i bambini non sono, spesso, sufficienti per comprendere le relazioni oggettuali e intrapsichiche dell’adolescente. Il tentativo di far coincidere le diverse condotte dell’adolescente con i sintomi di entità morbose, così come sono definite nell’ambito della psichiatria infantile o dell’adulto, espone al rischio di stigmatizzare il giovane in categorie fuorvianti. Poter intervenire nei momenti di malessere e di sviluppo di condotte a rischio (fallimenti scolastici, rotture con la famiglia, tentati suicidi, comportamenti devianti) significa affrontare le difficoltà degli adolescenti, senza aspettare che siano presenti patologie conclamate.

Ciò che determina la possibilità dei diversi destini in adolescenza, è definita dalle opportunità formative, educative e terapeutiche che noi adulti sappiamo fornire. L’esperienza del lavoro clinico con gli adolescenti ci segnala che, talvolta, l’operatore si può trovare ad affrontare anche situazioni d’urgenza. L’assistenza offerta, in momenti d’emergenza, permette di intervenire in modo concreto e correttivo nella vita di quegli adolescenti che rischiano gravi crisi di rottura. In tali situazioni é necessario poter approntare anche percorsi di ricovero alternativi con la collaborazione delle Unità ospedaliere di pediatria o di medicina, onde evitare agli adolescenti ricoveri impropri in ambienti psichiatrici. Alle istituzioni sanitarie spetta il compito di organizzare le risorse disponibili per le situazioni giovanili che sembrano senza sbocco. Il fare ricorso ad una separazione concreta dagli ambienti conflittuali permette di impostare un lavoro psicoterapico che ha ancora possibilità evolutive.

L’attenzione alla capacità evolutiva diventa la variabile strategica per predisporre strategie di prevenzione e trattamenti efficaci. Senise (1989) ha posto l’accento su come sia di prioritaria importanza riconoscere precocemente l’origine e la natura della sofferenza nell’adolescente, poiché in questa fase è ancora possibile decondizionare i comportamenti patologici. Ammaniti (2002) propone di prendere in considerazione nella valutazione dei sintomi che mostrano gli adolescenti, le disfunzioni della personalità sottostante, le caratteristiche mentali di questa fase, e "la realtà fluida e mutevole in cui si colloca il disagio giovanile" .

 

CENTRI DI ASCOLTO PER ADOLESCENTI

L'obiettivo iniziale dei "luoghi d'ascolto" specificatamente dedicati ai temi adolescenziali è quello di contenere la fase tumultuosa tipica dell'età giovanile, di organizzare un progetto d’emancipazione, ma soprattutto di realizzare una presa in carico precoce del disturbo psicopatologico. Il centro d’ascolto per adolescenti deve potersi configurare come un luogo non connotato, lontano dai Servizi specialistici di II° livello, di facile accessibilità per i ragazzi, per i quali la possibilità di raggiungere un luogo a loro dedicato può favorire manovre di autonomia, paragonabili al processo di separazione dagli adulti; deve essere gratuito, finalizzato all'accoglienza e all'ascolto e facilitare la richiesta spontanea dei giovani (tutte le informazioni sul Servizio devono essere ottenute con una telefonata ed un appuntamento deve essere garantito in tempi rapidi), dando la possibilità di essere ascoltati anche immediatamente. Il Servizio ha la funzione di offrire una possibilità di mediazione fra l’adolescente e il mondo degli adulti, quando le relazioni si sono deteriorate o sono andate incontro ad un blocco (Marcelli & Bracconier, 1999), sapendo mettere in campo forme adeguate di accoglienza e proponendo un’immagine che inviti l’adolescente a varcarne la porta: i giovani, più degli adulti, si mostrano sospettosi e molto timorosi nel proporre aspetti del proprio disagio personale.

Un aspetto fondamentale riguarda l’accesso diretto: i giovani devono poter entrare al centro, senza appuntamento e in tempi brevi, poiché portano problemi vissuti nella attualità e non riescono ad adeguarsi a periodi d’attesa e a formalità burocratiche. Il servizio offerto deve essere confidenziale, non connotato, flessibile, per consentire all’adolescente di riconoscersi come possibile utente di un luogo da esplorare senza il timore di essere etichettato. Da questo punto di vista una attenzione particolare va posta alla immagine non sanitarizzata del servizio offerto, cosi come sulla sua "esclusività", la sua riservatezza, la volontà a non esercitare alcun controllo. Perché l’adolescente possa accettare di utilizzare liberamente il servizio, è necessario che questo lo riconosca come un soggetto capace di decidere in modo autonomo e di agire con indipendenza.

L’accoglienza si rivela come un momento fondamentale per l’inizio della relazione con il giovane. Ha la funzione fondamentale di costruire una relazione di fiducia ed empatia reciproca e di portare-comprendere la domanda. L’immediatezza e la facilità del contatto, la sollecitazione alla partecipazione attiva del ragazzo, la focalizzazione della relazione nel qui ed ora diventano ingredienti necessari per ottenere il consenso e la fiducia degli adolescenti, gelosi della loro autonomia, timorosi dell’interferenza degli adulti, diffidenti verso le offerte specialistiche, i programmi terapeutici a lungo termine per timore di diventare dipendenti dal terapeuta. Nello spazio d’ascolto, perciò, occorre adottare strumenti d’intervento flessibili, in grado di facilitare una comunicazione che dia rilevanza al giovane come persona e che si possano modulare secondo l’esperienza mobile e transitoria che egli vive in quel dato momento.

La valutazione del funzionamento del giovane, a nostro avviso, può essere effettuata secondo il modello suggerito da Senise, che individua la presa in carico tramite la psicoterapia breve d’individuazione o consultazione breve. Per mezzo di questo modello d’intervento è possibile integrare la fase diagnostica con quella terapeutica. L’obiettivo è quello di poter riconoscere l’uso dei processi di separazione e individuazione dell’adolescente ed i meccanismi di difesa che egli utilizza, per ostacolarli. In molti casi questo primo intervento potrà rivelarsi sufficiente, mentre per casi più gravi è la premessa per un intervento psicoterapico più approfondito o per un invio ai Servizi di II° livello.

Il punto focale nell’approccio relazionale, è l’intero funzionamento dell’adolescente e, insieme a questo, la valutazione del modo in cui egli percepisce il suo mondo interno ed esterno. Con l’attività di consultazione breve, si riconoscono le difficoltà della crisi evolutiva come un momento fisiologico della crescita e se ne sostiene il decorso. Si costituisce, quindi, un intervento che fa del cambiamento il suo oggetto e la sua risorsa e mira a prevenire fasi troppo prolungate di stallo, allontanando il senso d’impotenza e di incapacità del giovane a far fronte alle situazioni problematiche. Questo modello é orientato in senso psicodinamico e si pone come aiuto rivolto all’area di quel disagio caratterizzato dall’incertezza degli obiettivi e dalla precarietà delle soluzioni che riguardano la vita dell’adolescente; sottrae i ragazzi dalla difficoltà sperimentata rispetto alla "presunzione di patologia" che, normalmente, caratterizza l’approccio offerto dai Servizi sanitari; sostituisce alla immagine del giovane paralizzato dalla crisi evolutiva, quella di un adolescente che ha autonomia sufficiente per affrontare i suoi problemi e che può chiedere aiuto a questo scopo. Nell’intervento breve, il terapeuta promuove un’adesione attiva dell’adolescente attraverso l’uso esplicito del setting e della relazione stabilita, per raggiungere uno specifico cambiamento. L’obiettivo è aiutare l’adolescente a sviluppare una migliore comprensione della sua esistenza, a progettare e portare a termine il percorso d’emancipazione. La consultazione richiede, infine, lo sforzo di aiutare il giovane ad affrontare gli aspetti dolorosi della sua vita e ad assumere la piena responsabilità della sua esistenza.

 

CONCLUSIONI

Le teorie dell’adolescenza offrono, oggi, un importante contributo non solo per la prevenzione del disagio giovanile, ma anche nel campo della salute mentale. Nel nostro Paese si fa ancora poco in questa direzione, nonostante oggi sappiamo molto di più sui fattori che influenzano le patologie psichiatriche e sociali. La prospettiva evolutiva dell’età adolescenziale è un elemento chiave per prevenire e trattare i disagi giovanili e, più in generale, per la prevenzione dei disturbi mentali: rappresenta una opportunità per quei Servizi specialistici del Sistema sanitario, per i quali l’attuazione d’interventi precoci sembrerebbe essere di più facile attuazione, avere costi contenuti e ottenere risultati più duraturi. Le opportunità di prevenzione non devono, però, rimanere patrimonio solo dei Servizi sanitari specialistici. Per una reale efficacia di questi programmi è necessaria anche un’effettiva collaborazione ed integrazione di altri Servizi: scolastico, di Medicina generale e Pediatria, Enti Locali. Tutti alleati nel medesimo lavoro di prevenzione.

 

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