Introduzione
“Tutti noi [giornalisti] eravamo preoccupati, avevamo paura di prendere le difese dei drogati. Per questo sono passate sciocchezze e banalità”.. Ecco quanto dichiara nel 1975 Sandro Curzi, ai tempi direttore di PPaese Sera, in merito alle affermazioni fatte allora dalla stampa italiana sulla diffusione e il consumo di hashish e marijuana.Venticinque anni di distanza e, come cercheremo di mettere in evidenza, i termini generali del dibattito sono immutati. Differenti le sostanze in questione, ma identici il clima evocato, la genericità, i toni passionali, l’assenza di lucidità, la facilità con cui stereotipi e opinioni correnti vengono reiterati a dispetto della volontà di approfondimento o ricerca di riscontri scientifici.Non ci si è mossi di un passo. Il tema della droga, nonostante la sempre maggiore problematicità che lo interessa, legata alla comparsa di nuove sostanze, con mercati sempre più eterogenei ed in continua espansione (nonostante le politiche repressive attuate a livello nazionale ed internazionale), viene affrontato con i modi e gli strumenti di sempre. Ben inserita all’interno dei repertori ideologici, tra “spiegazioni preferite ed escluse” (Hall), sui quotidiani la droga non parla tanto di sé, quanto dei modi in cui deve essere combattuta e sconfitta.E la campagna costruita intorno al “problema ecstasy” non è che l’ennesimo esempio. I giornalisti non solo hanno scelto quando, prendendo in prestito un caso di cronaca per farne un evento eccezionale, ma hanno anche deciso come parlare del problema “selezionando alcuni aspetti e attributi della realtà percepita per renderli più salienti, in modo da promuovere una particolare definizione del problema, una interpretazione causale, una valutazione morale e/o un suggerimento su come affrontare il tema descritto” (Entmann), investendo i loro testi di una lettura preferita funzione del codice egemonico (Hall) che riproduce il punto di vista dominate (la droga, quale che sia, fa male e va combattuta). “Opinioni espresse all’interno di un qualsiasi resoconto giornalistico vengono fatte passare per affermazioni puramente descrittive”. Hall parla, in questo caso, di effetto di realtà in quanto la presenza dell’ideologia nei messaggi dei mass media ha come effetto il suo eclissarsi all’interno di messaggi che appaiono come naturali descrizioni della realtà. Inoltre, come sottolinea McCombs, il risultato del processo di codifica messo in atto dai media “non si limita ad influenzare le nostre rappresentazioni dei temi trattati, ma ha conseguenze anche su atteggiamenti e comportamenti”.Pagine e pagine dedicate alla droga, ma occupate soltanto da articolazioni diverse degli stessi presupposti ideologici, soggiacenti sia al pubblico, come conoscenza quotidiana racchiusa in formule standard, sia ai media, camuffati come competenza specialistica e legittimata “in ragione di una referenzialità pubblica e collettiva”. Un mese di cronaca, la droga “in primo piano”, ma nessun contributo ad una comprensione ulteriore, problematica e approfondita, del fenomeno e delle sue cause. Solo il ripetitivo susseguirsi degli stessi allarmi, delle stesse proposte che un tempo sembrarono illusoriamente andar bene per la marijuana e oggi si spera andranno bene anche per l’ecstasy.
La vicenda
Alle 4.30 di domenica 31 ottobre Jannick Blesio, un giovane operaio di 19 anni di Collebeato (BS) muore all’ospedale di Iseo. Era stato trovato pochi minuti prima accasciato su un’aiuola davanti alla discoteca Number One di Brescia. La morte viene attribuita all’assunzione di una pasticca di ecstasy. La stessa notte, nella stessa discoteca, altri tre ragazzi manifestano sintomi di intossicazione (si scoprirà solo in seguito che l’origine dei malori non era comune, come si sospettava: due di loro avevano ingerito francobolli imbevuti di Lsd). Già la settimana precedente l’ecstasy era stata chiamata in causa (anche se la notizia non era comparsa sui giornali): il caso riguarda una ragazza di 17 anni, ricoverata per un’epatite acuta, insorta qualche giorno dopo aver inghiottito una pastiglia.La concomitanza degli eventi spinge il centro antiveleni dell’ospedale Niguarda di Milano a dare l’allarme: “ci sono in giro pastiglie pericolosissime composte da allucinogeni misti ad una sostanza non nota”.Con questa dichiarazione prende l’avvio il “caso Ecstasy”, che terrà banco per circa un mese, muovendosi tra l’inchiesta condotta sulla morte del ragazzo bresciano, la notizia di morti vecchie e nuove imputate alle droghe sintetiche, arresti e sequestri ai danni di spacciatori grandi o piccoli, botta e risposta degli esponenti politici alla ricerca di un piano efficace per fronteggiare l’ “emergenza”.Il giorno che segue il funerale di Jannick (celebrato mercoledì 3 novembre) vede l’arresto dell’amico che gli aveva venduto le pasticche. Alessandro Zani, 19 anni, anche lui di Collebeato, viene rinchiuso in isolamento con l’accusa di spaccio e omicidio colposo. Due settimane dopo, scarcerato Zani, la procura di Brescia riuscirà a risalire anche ad uno dei grossisti che lo rifornivano: Giuseppe Romanini, 22 anni, militare di leva, viene scoperto con 730 pastiglie di ecstasy, nascoste in un sottoscala della caserma in cui prestava servizio.L’impegno di polizia e carabinieri non si limita al caso di Jannick. Gli interventi sul traffico di droga si inaspriscono e diffondono su tutto il territorio nazionale. I casi più eclatanti risalgono al 4 e al 7 di novembre: 30 mila pastiglie di provenienza olandese sono requisite in casa di un finanziere siciliano in servizio a Udine, mentre a Monza, due sorelle di nazionalità belga vengono trovate in possesso di 56 mila “euro” destinate al mercato lombardo; gli arresti e i sequestri di piccola e media entità ricorrono giornalmente. Anche alcune discoteche sono sottoposte a provvedimenti: del 22 è la notizia della chiusura a tempo indeterminato del “Number One” di Brescia. Numerose, a partire dal 3 novembre, le dichiarazioni dei politici raccolte sulle pagine di tutti i quotidiani. L’opposizione e AN in particolare non perde l’occasione per attaccare aspramente il governo reo di non aver condotto in passato adeguate campagne contro le nuove droghe, se non addirittura d’avere ignorato l’esistenza del problema. Che un ritardo ed una “sottovalutazione del fenomeno” ci siano stati viene ammesso dallo stesso ministro dell’interno Rosa Russo Jervolino. I punti su cui si è maggiormente insistito: necessità di un aggiornamento immediato delle tabelle delle sostanze proibite e dell’intensificazione dei controlli nei luoghi a rischio di spaccio. Soluzioni da pronto intervento, adatte al clima da “allarme rosso” venutosi a creare, che evidenziano il generale allineamento politico su posizioni repressivo-proibizioniste. Sul fronte dell’impegno a lungo termine l’immancabile sventolata della bandiera della prevenzione da attuarsi attraverso campagne informative mirate a fare acquisire ai ragazzi “la consapevolezza degli effetti devastanti di queste sostanze” (Rosi Bindi).A tre mesi dalla morte non sono ancora stati resi noti i risultati dell’autopsia ordinata dal procuratore Giancarlo Tarquini sul cadavere di Jannick
Da un fatto di cronaca a un caso eccezionale[1]
Che di droghe si può morire lo si sapeva già.. Anche di quelle che, consacrate al divertimento, vengono consumate aabitualmente da migliaia di giovani, il sabato notte, all’interno delle discoteche. E se le morti causate direttamente dall’assunzione di queste sostanze sono davvero sporadiche, delle vittime degli incidenti stradali per guida in stato di ubriachezza o ebbrezza sintetica non si riesce davvero a tenere il conto. “Le stragi del sabato sera” sembra quasi il titolo di una rubrica a cui il pubblico si è ormai assuefatto.Perché allora la morte di Jannick esce dai ranghi della cronaca per essere posta al centro dell’attenzione dei cittadini? Perché la pericolosità dell’ecstasy diventerà il tema con cui l’opinione pubblica dovrà confrontarsi per più di un mese? Un’ipotesi di risposta la si può già abbozzare dopo la lettura dei titoli delle prime pagine dei quotidiani: «Ucciso dalla nuova “ecstasy”» titola “la Repubblica” dell’uno novembre; «Allarme per una nuova droga che uccide» si legge su “La Stampa” dello stesso giorno; infine sul “Il Resto del Carlino” «Droga ‘non nota’: primo morto». Le marche di novità, come si vede, sono onnipresenti (nessuno dei principali quotidiani nazionali si differenzia in questo), e attivano una catena di connotazioni negative: ciò che è nuovo e sconosciuto è assai pericoloso, può addirittura uccidere. E non si arresta dopo un morto: il giovane bresciano è solo il “primo”. La sua morte non è un evento in sé concluso, ma si proietta nel futuro come un presagio, funziona da segnalatore del grande rischio che i ragazzi corrono (i giornali, si sa, parlano ai loro genitori). Il caso eccezionale è allora l’arrivo in Italia di una nuova droga supposta letale, Jannick il primo caduto di una guerra pronta a scoppiare[2]. Intanto la stampa fa scattare l’allarme e qualcuno deve fronteggiarlo. La morte di Jannick ha avuto, nella costruzione effettuata dai giornalisti, un forte “valore aggiunto” (fondamentale dal punto di vista della sua “notiziabilità”) per via dell’allarme che ha consentito di innescare. Protagonista è stata da subito la pillola assassina, composta “da allucinogeni misti ad una sostanza non nota”, che, si lasciava immaginare, avrebbe potuto presto mietere un numero consistente di vittime. Sono bastati, però, pochi giorni perché i giornalisti si rendessero conto della debolezza di questa costruzione aumentando di conseguenza il numero di bersagli su cui sparare. Le ragioni di tale debolezza sono essenzialmente due: innanzitutto la misteriosa molecola assassina non passa la verifica dei fatti; una settimana, un ulteriore sabato notte, è stata sufficiente per capire (e con un po’ di buonsenso lo si sarebbe potuto intuire anche subito) che una sola vittima non prova certo la presenza sulla piazza di un fantomatico composto letale anzi, a rigore, la nega drasticamente. È bene notare che di questo i consumatori si sono immediatamente accorti, come evidenziano le parole di una ragazza intervistata al Number One da un giornalista del”l’Unità”: “La pasticca killer? Come fate a crederci? Qua sarebbero tutti morti. Sono tutti impasticcati, anche stasera” (“l’Unità”, 8-7). La seconda ragione è di tipo “ideologico”. Il concentrare l’attenzione su una particolare partita di pasticche di nuova produzione (ma un ragionamento analogo lo si può fare anche per tutte le volte in cui si parla di sostanze mal tagliate o contenenti residui tossici per via di processi di sintesi non accurati) avrebbe potuto suggerire come il vero pericolo risiede in un mercato costretto a rinnovarsi continuamente per la necessità di sfuggire alle classificazioni create dalla legge. Ma non è forse questa, che le morti le provochi il mercato nero, il dovere operare nella clandestinità e in assenza delle tecnologie ottimali, la ragione sostenuta con maggior enfasi dal movimento antiproibizionista quando invoca la vendita controllata delle droghe? E anche di questo qualcuno si è accorto subito spingendo i giornalisti a un progressivo aggiustamento del tiro: “L'aver associato la morte del giovane di Iseo alla presenza di una sostanza “non nota” nella pillola ingerita in discoteca non deve mettere fuoristrada, far pensare cioè che l’ecstasy si può assolvere.” Paola Moro, centro antiveleni dell’ospedale Niguarda (“Il Resto del Carlino”, 2-2).Morti e malori attribuiti all’“ecstasy killer” vengono presto ricontestualizzati all’interno del panorama più ampio dell’uso e abuso di stupefacenti. Il pericolo avvertito per la presenza di sostanze sconosciute e letali viene a fondersi con la “piaga della droga”, problema che può essere compreso e interpretato all’interno di una cornice di riferimento più consueta, in grado di dare significato agli eventi e di offrire in modo acritico[3] orientamenti di valore che, attraverso la genericità diffusa dei discorsi svolti, se non addirittura passando per una serie di falsificazioni, finiscono col ribadire il punto di vista dell’Uomo Qualunque.La stampa quindi, dopo essersi attestata sulla propria dimensione di servizio (“È nostro dovere avvertire l’opinione pubblica e in particolare i giovani del rischio che corrono” – La Stampa, 1-11), se ne allontana progressivamente per avviare una campagna in grado di orientare il problema in senso politico e culturale, avvalendosi di strategie ben precise (anche se spesso involontarie e dipendenti dal carattere routiniero della professione giornalistica) finalizzate a rimarcare all’infinito il medesimo assunto di base, il punto di vista dominante: la droga, quale che sia, fa male e va combattuta.
[1] “Un caso eccezionale, all’interno della produzione informativa, non è solo il semplice evento eccezionale, il puro fatto rottura, ma quel tipo particolare di evento che è anche politicamente rilevante per la dinamica sociale di un determinato paese, in quanto per la sua gravità e/o centralità, coinvolge il problema del controllo sociale, della lotta politica, della legittimazione delle istituzioni, delle identità e delle immagini collettive” (Grossi).
[2] I titoli grondanti retorica guerresca non si fanno attendere: da «Nuove droghe, scatta l’emergenza» (Corriere della sera, 4-11) ad «Ecstasy, guerra totale – una raffica di sequestri» (Repubblica, 7-11), passando per «Prodi: Europa unita contro l’ecstasy» (Corriere della sera, 7-11).
[3] “Il nostro giornale, come altri, ha vissuto una contraddizione molto stridente perché, a livello di analisi sociologica o culturale, il Corriere della sera si mostrava disponibile al discorso critico e considerava quello della droga un discorso da approfondire. Ma, dall'altro lato, ecco le pagine della cronaca chiuse a quest'apertura critica […] il cronista si trova spesso di fronte alla notizia già costruita in questura. Quasi che il giornale sia costruito a compartimenti stagni e fra le varie pagine non vi sia comunicazione: in “terza” e in “settima” si ritiene che il lettore sia persona capace… e meritevole della verifica critica, in cronaca lo si nega.” (Madeo, cit. in Arnao, 1975)
Modalità di costruzione della notizia
Di fronte a un tema critico come quello degli stupefacenti, capace di coinvolgere e radunare gli interessi di più figure collettive, istituzionali o meno (“Sveglia Stato, cittadini, genitori, ragazzi: non si può buttare via così la vita” – “La Stampa”, 1-1), i giornalisti non si sono mai posti in modo neutro, ma hanno sempre elaborato strategie finalizzate a influire sul clima di opinione che un tale argomento tende a suscitare[1]. E il “caso ecstasy”, come cercheremo di dimostrare, non ha costituito un eccezione.
1. Il primo passo nel processo di costruzione delle notizie è stato il lavoro di selezione di informazioni in grado di orientare fin dall’inizio la trattazione del problema. Questa operazione, tuttavia, quando si tratta di stupefacenti, spesso rischia di scadere in un esercizio di censura che “si manifesta nella soppressione delle notizie che sono in contrasto con l’ideologia della «guerra alla droga»” (Arnao, 1975). Il potere di censura viene fatto valere soprattutto nel momento della scelta delle fonti di cui servirsi e alle quali attribuire il diritto di fare opinione. Tale intervento, però, non sempre è spregiudicato e intenzionale. A monte viene già operata una selezione involontaria delle informazioni di cui il sistema dei media può disporre, strettamente dipendente dalle logiche di funzionamento delle redazioni giornalistiche: in casi come quello che ha interessato l’ecstasy, in cui dati e opinioni vengono reperiti solo perché e solo quando un evento imprevedibile scatena uno stato di emergenza, e manca un aggiornamento, un monitoraggio costante del fenomeno, il ventaglio delle fonti a cui riferirsi è destinato a restringersi a quelle più facilmente accessibili, in grado di fornire informazioni in tempi brevi, senza che vi sia la possibilità di effettuare una verifica critica di quanto è stato raccolto. “Gli apparati informativi sono condizionati non solo a leggere la realtà in una certa chiave, ma anche a leggerne soltanto la porzione che le fonti rivelano. Essi registrano di regola soltanto l’«eccezionalità» e la «devianza» che si manifestano all’interno della rete delle fonti: il resto scivola nel silenzio” (Cesareo, 1985)- Primo bersaglio: la letteratura scientifica e gli esperti. I maggiori quotidiani nazionali (ad eccezione del manifesto) non hanno mai fatto menzione né mai sembrano essersi serviti dei numerosi, e imparziali, resoconti di taglio sociologico e medico stilati sull’ecstasy (prima che questa salisse sugli altari della cronaca) e resi disponibili al pubblico. Se di internet si è parlato, lo si è fatto solo per presentarlo come uno dei possibili canali del traffico delle pastiglie[2] o come risorsa per acquisire informazioni utili alla sintesi della sostanza, mentre non è stato fatto alcun cenno ai siti, aggiornati con cadenza mensile, in grado di fornire informazioni dettagliate su caratteristiche, effetti, rischi dell’ecstasy e attuali condizioni del suo mercato. La stampa ha assunto un atteggiamento monolitico e intransigente, proponendosi come unica fonte legittimata a ricoprire il ruolo di mediazione tra sapere tecnico e sapere quotidiano. Il lettore non è mai stato interpellato come individuo in grado di possedere o di acquisire una competenza propria sul tema trattato. L’immagine che i giornalisti sembrano averne è quella di chi non può sottrarsi alle alternative dicotomiche proposte dalla comunicazione di massa, per l’impossibilità di avvicinarsi a fonti o saperi altri.Per quanto riguarda gli esperti chiamati ad esprimersi sulle pagine dei quotidiani, molti di loro o di fatto non lo erano (almeno non in relazione alle sostanze riguardo alle quali erano invitati a fornire il proprio parere), quindi il loro punto di vista, data la genericità delle proprie competenze e del proprio campo di studio, non poteva allontanarsi di molto da quello condiviso dall’opinione pubblica, o svolgevano attività in stretto contatto con le forze di polizia o con l’ambiente legislativo (con i quali condividono la medesima ideologia). Non è stato invece chiesto il parere di chi da anni aveva dedicato il proprio lavoro unicamente allo studio delle sostanze incriminate, le cui affermazioni, presumibilmente più problematiche e non definitive, dati i molti dubbi che animano la comunità scientifica sulla tossicità dell’ecstasy, mal si sarebbero prestate per essere trasformate in slogan ad effetto e dall’impatto immediato.- Uno squilibrio nella scelta delle fonti informative lo si può notare anche nella gestione degli spazi dedicati agli interventi della politica. Durante tutto il mese di novembre (in cui pochissimi sono stati i giorni in cui non si sia parlato di ecstasy e non siano stati i politici a parlarne) le argomentazioni provenienti dalle forze antiproibizioniste o non sono state riferite (“La Stampa”) oppure, nelle rarissime occasioni in cui sono comparse (una, due volte al massimo per ciascuna testata), sono state relegate in scarni trafiletti posizionati a fondo pagina.
2. 2. Un altro strumento impiegato dai giornalisti per orientare il discorso, rendendolo compatibile con i propri schemi ideologici, è il ricorso a strategie di argomentazione e a procedure di definizione della realtà effettuate attraverso precise scelte linguistiche.La strategia argomentativa si concretizza in un percorso stabilito partendo da elementi informativi selezionati, ponderati e ordinati (Lascoumes, Montreau-Capdeville e Vignaux, 1978).L’argomentazione è un’azione su altri che prende a prestito il discorso al fine di stabilirvi delle proporzioni fino allora particolari attribuendo loro lo statuto di evidenze, di generalità, pertanto di vincoli logici per l’opinione collettiva (Lascoumes e Monreau, 1976). – In numerosi articoli, quando viene fatto riferimento agli effetti collaterali dell’ecstasy, questi non vengono collegati ad un uso ‘scorretto’ della sostanza o a particolari circostanze di impiego, ma sono dati per certi e inevitabili (sfociando talvolta nel paradosso: per come viene costruito il discorso può sembrare che siano l’ansia, la psicosi, la schizofrenia, gli effetti ricercati dai giovani nelle pastiglie).Provocano eccitazione, ansia, manie di persecuzione, irritabilità […] ci si cala una pasta e si precipita dal paradiso della techno all’inferno stroboscopico dell’ansia, della palpitazione, della perdita di contatto con la realtà (“La Stampa” 4,11).Entro un mese provocano sonnolenza, ansia, depressione, isolamento e perdita dei rapporti normali con altre persone. Oltre un mese panico, psicosi, depressione, perdita della memoria (“Corriere della Sera”, 7-3)[3].\par Di seguito, invece, alcuni avvertimenti e osservazioni sui pericoli che possono derivare da un cattivo uso dell’ecstasy, tratti da due libri che si sono proposti di approfondire le tematiche sollevate dalle nuove droghe: “Generazione in Ecstasy” di Patrizia Bagozzi (Edizioni Gruppo Abele) e “Le nuove Droghe” di Günter Amendt (Feltrinelli): L’Mdma è pericolosa? […] Se per pericolosità si intende che presenta effetti collaterali, allora la risposta è sì, lo è. Ma se per pericolosità intendiamo la produzione costante e sistematica di danni più o meno pronunciati e più o meno gravi sull’organismo umano, allora la riposta è molto più o complessa. […] Di tutte le droghe, come di tutti i farmaci si può fare un uso corretto e un abuso. Allora si può rispondere che no, l’ecstasy non è pericolosa se la sostanza è pura e se ne viene fatto un uso corretto. È invece pericolosa se di essa si fa un abuso. […] Perché l’ecstasy sia tossica a livello serotoninico, si devono assumere 20 mg per ogni kilogrammo di peso corporeo, che è pura follia (intervista a Gilberto Camilla, psicanalista, vicepresidente della Società italiana per lo studio degli stati di coscienza).Sconsigliamo vivamente di mischiare l’ecstasy con altre droghe. Gli effetti di ogni sostanza si possono sovrapporre l’uno all’altro e potenziarsi, tanto che il trip può prendere una direzione completamente inaspettata. Le combinazioni di droghe pesano sul corpo e sulla mente più che ogni sostanza presa singolarmente. Sui giornali, invece, nessuna distinzione tra l’uso e l’abuso, tra i pericoli della sostanza in sé e quelli procurati dai mix con alcool, eccitanti, calmanti, … Solo la presa d’atto della situazione: “In una sola notte buttano giù di tutto, paste, cocktail, amfetamine, fino a non poterne più” (“Corriere della Sera”, 4-11). Anche in questo caso i quotidiani sembrano sottrarsi dall’offrire un’informazione imparziale (e in qualche modo utile a ridurre i danni), preferendo accusare i consumatori per la loro tendenza all’eccesso anziché avvertirli dei pericoli reali procurati da abitudini scorrette. Ma è anche vero che di un uso improprio la stampa non può parlare, in quanto questo presupporrebbe l’esistenza di un uso “proprio”, normale, non dannoso della sostanza, ipotesi che i media, data la matrice ideologica dei propri discorsi, hanno respinto radicalmente fin dall’inizio.- Ovunque il problema della droga viene descritto come un fenomeno univoco e indivisibile. Nessuna discriminazione è effettuata tra gli effetti concreti dell’uso degli stupefacenti e quelli che derivano dalle conseguenze dell’illegalità: i rischi derivanti dalla clandestinità vengono esibiti come tratti essenziali e inevitabili della sostanza in sé, e, se viene fatto riferimento ai pericoli del mercato nero, viene omesso ogni rapporto di causalità con il tipo di azione politica che ne può determinare l’occorrenza. “Di ecstasy si uccide il fegato, spappolandolo d’epatite perché, per sintetizzare clandestinamente l’anfetaminica «pillola di Adamo», viene spesso usato come reagente il piombo e il rischio di saturnismo è elevato. Di ecstasy si avvelenano i reni perché, al di là del piombo, nelle pillole c’è di tutto: reagenti tossici e solventi cancerogeni. Di ecstasy si può impazzire.” (Guido Vergani, “Corriere della Sera” 2-1)- Anche le scelte di vocabolario contribuiscono in modo determinante a contestualizzare il discorso all’interno di cornici di riferimento ben precise, suggerendo chiavi di lettura e modi privilegiati di interpretazione della notizia. Due esempi.Primo: il ricorso ad un linguaggio tecnico e specialistico che consenta di introdurre una parvenza di scientificità all’interno delle ipotesi avanzate dai giornalisti (“terminazioni nervose di natura serotoninergica” (“Corriere della Sera”, 2-5), “choc neurovegetativi” (“Corriere della Sera”, 3-3), “psicosi croniche di tipo paranoideo e psicosi similschizofreniche” (“Corriere della Sera”, 2-17), “ipotermia maligna” (“la Repubblica” 1-17).Secondo: l’impiego ripetuto, nel corso della campagna, di termini che stigmatizzino il popolo dei consumatori di droga fino a diventare un’etichetta indelebile. In particolare, nel caso di alcune testate, sono state operate scelte precise di vocabolario, poi mantenute nell’arco dell’intera campagna (“sballati” “la Repubblica” e “zombie” il Corriere). Per la coerenza nella continuità dell’uso queste etichette, con tutte le connotazioni negative che evocano, producono un’associazione ancora più forte, nel lettore, tra l’atto di consumare droga e l’effetto che esso produce (secondo la descrizione non neutra che ne danno i giornalisti) nel soggetto dell’azione.
3. Infine, il ricorso a stereotipi in grado di comprendere il caso attuale all’interno di un contesto più ampio e di più facile lettura, anche se incapace di condurre ad una comprensione più approfondita del problema. “La funzione mistificatoria degli stereotipi si concreta in una generalizzazione arbitraria a tutta la complessa casistica dell’uso di droga e a tutti i consumatori. Corollario di tali stereotipi è un atteggiamento ‘monolitico’, che si manifesta nell’ignorare le differenze tra diverse droghe, diverse dosi, diverse frequenze e circostanze d’uso” (Arnao, 1975).Se nei primi giorni i dati sulla diffusione dell’ecstasy e sulle abitudini dei suoi consumatori potevano essere impiegati per delineare i confini di un mercato a rischio solo per la presenza di alcuni prodotti pericolosi al suo interno, nei successivi la marca di pericolosità viene trasferita prima all’ecstasy in generale, e da questa a molte delle sostanze che si suppone circolino all’interno del mercato del divertimento. La lista delle sostanze letali si allunga a dismisura in un continuo mettere in guardia il lettore (da notare come, indebolitosi il clima di allarme inizialmente costruito attorno all’ecstasy, i giornalisti si impegnino nell’alimentarlo ad oltranza):«C’è chi rischia la vita con l’infuso di stramonio» (“Il Resto del Carlino”, 2-2).«Nuova minaccia dalla svizzera» Si chiama Ghb […] Può essere mortale (“Il Resto del Carlino”, 3-2).Nuove droghe – contro le donne «Ecco Ghb, ecstasy da rimorchio. Una bibita corretta, e la vittima non ricorda più nulla. La ricetta è in Internet» In tempi migliori l’approccio amoroso cominciava con la seduzione, ora la poesia dell’incontro fino all’amplesso […] viene spesso[4] sostituita dalla violenza contenuta in una molecola chimica (“il manifesto”, 4-13).«L’ultima tentazione si chiama special K» Il mondo delle droghe sintetiche è in continua evoluzione. […] l’ecstasy non è altro che la punta dell’iceberg (“Il Resto del Carlino”, 2-9).«Spacciava anestetico per cavalli» il giovane, insospettabile, nascondeva nelle tasche venti dosi di Special K, ultima moda dello sballo, a base di ketamina” (“Il Resto del Carlino”, 11-NZ/17) un allucinogeno paragonabile per potenza all’lsd (“Corriere della Sera”, 10-14).L’allarme – «Londra, il cocktail dilaga nelle discoteche». Una miscela che potrebbe essere letale Ecco il “sextasy”, droga a base di Viagra (“la Repubblica”, 6/12-20).L’allarme – «Attenti alla droga ricavata dal rospo». “Sono le nuove e devastanti sostanze stupefacenti […] Presto, così com’è accaduto per l’ecstasy, potrebbero arrivare in Italia. L’allarme parte da Palermo, dallo speciale reparto dei carabinieri […] che sta compiendo un monitoraggio proprio per accertare se le droghe ottenute dal rospo e dal pesce palla siano entrate nel circuito delle organizzazioni criminali.” (la Repubblica, 21-29)«SOS marijuana transgenica» (“La Stampa”, 10-13)La coppia è stata sorpresa con addosso diversi grammi di hashish. La droga è stata portata in laboratorio per essere analizzata perché si teme possa essere stata tagliata con sostanze letali[5] (“Il Resto del Carlino”, 2-2).Da rimarcare il fatto che la maggior parte di queste droghe venga avvicinata all’ecstasy, o dipinta come una delle sue varianti[6], tanto che l’ecstasy arriva a designare non più una molecola o un gruppo di molecole (MDMA, MDA, MDEA, MBDB) ma diventa etichetta che trasferisce a tutte le altre sostanze che le vengono associate le connotazioni negative (pericolosità, danni irreversibili, certi, possibilità di morte) che i giornalisti hanno originariamente costruito per essa.
[1] “Ciò che caratterizza il discorso che si è sviluppato sulla droga negli ultimi anni […] è una mescolanza di passioni, pregiudizi e tabù con giudizi semplicistici e argomentazioni tendenziose che ha contribuito alla creazione di un vero e proprio mito” (UNESCO, Seminar on Youth and the use of Drugs 1973)
[2] “Ogni giorno nascono pillole di tutti i tipi – Per gli acquisti basta solo usare internet” (Il Resto del Carlino, 4-3) Al gustoso titolo non segue nessun riferimento ad internet se non per dire che esistono pillole contrassegnate col logo di alcuni famosi siti come Mortal Kombat (che peraltro non è il nome di un sito ma di una famosissima saga di videogiochi).
[3] Da notare l’assoluta mancanza di condizionali o di altre marche che possano indebolire le affermazioni o mostrarne il carattere eventuale.
[4] Sarebbe interessante sapere quali sono i dati in mano al giornalista che lo portano a una constatazione tanto deprimente.
[5] Non solo le sostanze di sintesi, dunque. C’è sempre qualche giornalista che, approfittando del carico d’emozioni negative già riversate sull’ecstasy, è pronto a sferrare qualche colpo alla cieca su droghe come la marijuana e l’hashish che, dopo alcuni decenni d’aspri dibattiti, godono oggi di una certa accettazione culturale. Non manca neanche chi, basandosi sul vecchio principio (ormai dichiarato inconsistente su qualunque manuale di psicologia generale per studenti delle scuole superiori) secondo cui il passaggio dalle droghe leggere alle pesanti è quasi obbligato, ha il coraggio di scrivere: “Chi abusa troppo di eccitanti prima o poi avrà bisogno di un calmante. Cioè di una sostanza che tranquillizza. Cioè dell’eroina. Così il cerchio criminale si chiude […]” (la Repubblica 2-31) O, ancora, l’immancabile Muccioli: “Sono convinto […] che molti esponenti dell’attuale maggioranza hanno fatto uso di droghe e continuano a farlo […] Questi signori hanno sempre detto apertamente che fumare uno spinello non ha mai ammazzato nessuno. Lo vadano a dire alle madri di quei ragazzini che dal fumo sono passati all’eroina, dall’ecstasy al cimitero. Una cosa è farsi una canna comodamente seduti nei salotti radicalchic, un’altra sono le migliaia di 14enni che si distruggono la vita il sabato sera.” (Il Resto del Carlino, 7-3)
[6] “Il Consiglio superiore della sanità” ha inserito “nella tabella I delle sostanze pericolose l’ecstasy e i suoi quattro derivati” (il manifesto, 11-12). Anche il manifesto, che fra i quotidiani consultati è il più corretto dal punto di vista della validità scientifica delle informazioni riportate, commette dunque l’errore fuorviante di usare il termine ecstasy in modo generico. Per precisione: le quattro sostanze incriminate sono la 4-mta (“la superecstasy”) e il 2-cb (“un’ecstasy più allucinogeno”) che, come l’ecstasy, sono delle fenetilamine dagli effetti peraltro differenti rispetto a quelli dell’ecstasy; il ghb (“ecstasy liquido”) e il gbl (che è un precursore da cui è facilmente ottenibile il ghb) che, da un punto di vista chimico (e degli effetti prodotti), con l’ecstasy non hanno nulla a che fare. Non può sfuggire come nel descrivere ciascuna di queste quattro sostanze i giornalisti non rinuncino all’etichetta “ecstasy”. Un esempio estremo, in tal senso, ce lo fornisce un giornalista della Stampa: «Comincia l’era delle pillole Frankenstein» “paura dopo il sequestro in Argentina di marijuana manipolata con un potere allucinogeno cinque volte superiore allo standard. […]” (La stampa, 11-11). Il titolo fa presagire che nell’articolo si parlerà di ecstasy invece, poi, alle nuovissime pillole dell’”era post-ecstasy”, neanche un accenno. L’accostamento genetica-ecstasy, peraltro, è già di per sé risibile: anche un bambino sa che la genetica ha a che fare con il codice della vita e che una pasticca di ecstasy viva non è.
Il ricorso agli esperti
Un peso rilevante, nella strategia di costruzione dell’evento, lo ha avuto il continuo ricorso all’esperto di turno, sia come fonte legittimante a cui rimandare[1] sia come autorità da interpellare direttamente per conferire uno statuto di verità ad affermazioni che, private di questa parvenza di scientificità, svelerebbero, con maggiore evidenza, il loro essere animate solo da presupposti ideologici. Alla fondatezza di quanto si scrive, o al rendere almeno conto dell’esistenza del controverso dibattito che anima la comunità dei ricercatori in merito alla presunta tossicità dell’ecstasy, si preferisce semplicemente fare e selezionare dichiarazioni che non contravvengano alle aspettative della gran parte dei lettori e che valgano anzi a rafforzarle. Riportiamo qui di seguito alcune delle “rivelazioni” più interessanti e rappresentative tra quelle pubblicate[2]:
Come conseguenza estrema, portano alla distruzione delle cellule muscolari con febbre alta e grave insufficienza renale. Assisi, centro antiveleni Niguarda (“la Repubblica”, 1-17)
Il consumo frequente di questi “acidi” nel corso del tempo provoca danni irreversibili al sistema nervoso centrale. Tempesta, neurofarmacologo e psichiatra Università cattolica di Roma (“La Stampa”, 3-12)
Le lesioni causate dell’ecstasy sono irreversibili e i giovani che ne fanno uso diventano handicappati a vita. Caruso, direttore Parco scientifico biomedico di Roma (“La Stampa”, 15-7)
Queste sostanze inibiscono quella sorta di relè presente nel nostro organismo che scatta quando una persona arriva al limite… è la pericolosità intrinseca delle amfetamine e dei suoi derivati che uccide, non le sostanze da taglio. L’E è più un allucinogeno che uno stimolante. Agisce sul sistema nervoso e sui neuroni distruggendoli. Si va dall’ipertensione ai collassi, dalla perdita di memoria alle aritmie con rischio d’infarto fino alle lesioni al fegato e febbre a 43 gradi, con conseguenti lesioni interne inarrestabili. Lopez, tossicologa forense Università La Sapienza Roma (“La Stampa”, 4-11)
I danni, permanenti, si evidenziano anche dopo 4 o 5 anni dal termine dell’assunzione delle pasticche. Fabrizio Schifano (“la Repubblica”, 5-21)
Il 20% dei giovani non possiede un enzima, chiamato P450, che permette di metabolizzare l’ecstasy; un ragazzo su cinque, insomma, è ad altissimo rischio di collasso. Mashi, direttore agenzia per le tossicodipendenze (“la Repubblica”, 13-24)
«Allarme dei medici: in Italia i primi casi di Parkinson da ecstasy» “Ragazzi colpiti da danni cerebrali irreversibili che provocano il parkinsonismo. I primi casi sono stati segnalati anche in Italia: giovani di 14-18 anni con degenerazioni al cervello tipiche della terza età. Assenza di mimica facciale, fissità dello sguardo, andatura ondeggiante, ecco le caratteristiche di questa patologia, facilitata dalla contemporanea assunzione di alcool o altre droghe.”[3] Caruso, direttore Parco scientifico biomedico di Roma (“Corriere della Sera” della Sera, 14-1)Queste affermazioni, per la totale mancanza di riferimenti a risultati di ricerche specifiche, a un sapere verificabile, per l’assolutezza, la monoliticità, l’eccesso stilistico con cui vengono costruite, valgono più come presentazioni non problematizzate di un punto di vista personale, che come informazioni di natura scientifica.Appare superfluo opporre a ciascuna di esse un sapere altro[4]; basti invece rimarcare come l’appartenenza ad una data categoria professionale, di per sé autoritaria, non sia garanzia di verità delle dichiarazioni fatte dai cosiddetti esperti. Per una verifica di questo, peraltro semplice, principio è istruttivo l’accostamento delle citazioni precedentemente fatte con ciò che veniva scritto negli anni ’70 riguardo ai danni che allora si presumeva erroneamente venissero provocati dal consumo di hashish e marijuana. Dichiarazioni tanto folkloristiche che nessuno oggi avrebbe più il coraggio di sottoscrivere: I dediti alla marijuana […] diventano dei Filottete, l'eroe greco che […] portava una piaga putrida di odore acre; anche i dediti alla marijuana hanno un odore acre. Essi si svirilizzano, il testosterone […] nello spazio di sei mesi si riduce alla metà, gli spermatozoi si alterano nel 30% dei casi, e la totale impotenza compare nel 10%. Diventano anche dei deciduofobi, incapaci alle scelte […] i costituzionalmente depressi diventano dei disperati, gli euforici folli […] sono più facili alle malattie infettive e tumorali… con il lungo uso si è notata anche una riduzione volumetrica del cervello.Professor Carlo Sirtori, direttore dell'istituto Gaslini di Genova e presidente della fondazione Carlo erba: “Analisi biologica e sociale delle droghe” L'assuefazione si fa rapidamente. L'uso continuato della sostanza porta prima ad un pervertimento, poi ad un decadimento intellettivo ed infine ad una demenza profonda.” (La cit. fatta da Arnao in “Rapporto sulla droga” è tratta da un importante trattato di psichiatria forense) Al congresso sulle tossicomanie promosso dall'Ordine dei medici (Roma, novembre 1973) è stato citato in tutta serietà il caso di un individuo che, dopo essersi iniettato 180 grammi di hashish per via endovenosa, entra in coma (“il manifesto” 27/11/1973), la cui attendibilità si può valutare ricordando che la dose media consumata è di un grammo o meno e che l'uso di hashish per via endovenosa è farmacologicamente irrealizzabile (Cit. fatta da Arnao in “Rapporto sulla droga”).Eppure va notato come questa strategia di legittimazione non sia messa in atto indistintamente da tutti i quotidiani. L’Unita ad esempio non sente mai il bisogno di rivolgersi agli esperti se non attraverso un’intervista rilasciata ad Anna Morelli dal tossicologo Mario Santi direttore del Dipartimento di Firenze che raggruppa dodici Sert e consulente della presidenza del consiglio sulle nuove droghe (“l’Unità”, 9-9). Alla domanda “Ma dal punto di vista tecnico quali sono i danni reali?” segue questa risposta: “Anche qui, come per l’eroina, si sono aperte due scuole di pensiero. Fino a ieri l’ecstasy non faceva nulla oggi brucerebbe il cervello. Sono due posizioni estreme che non rendono affatto conto della realtà. Quali danni produce l’ecstasy? Dipende da chi sei, quante volte lo usi, il livello di continuità d’uso.” Una dichiarazione più pacata, dunque, onesta, priva delle accensioni che caratterizzano le precedenti.«Fa più danni l’ecstasy o l’imbecillità?» “Intervista all’esperto: parla Vasco Rossi […]”. Titola così “il manifesto” del 12 novembre. La ‘qualifica’ attribuita alla rock-star nell’occhiello non è priva di implicazioni: in primo luogo, considerata unitamente all’osservazione di come i giornalisti del manifesto (analogamente a quelli del”l’Unità”) abbiano preferito non interpellare dei presunti esperti[5] affinché aggiungessero allarmismi agli allarmismi già creati, elencando i “danni devastanti” e ‘certi’ provocati dall’ecstasy, sembra contenere una critica sottintesa al modo i cui i colleghi di altre testate si sono serviti dei vari strumenti di legittimazione della propria ideologia a dispetto dell’obiettività che il proprio ruolo richiederebbe. In secondo luogo, ed è una questione fondamentale, si tratta dell’unico tentativo di ‘far passare’ il punto di vista di un consumatore, con attribuzione d’importanza alle valutazioni che questi può fare in merito alla sostanza e al dibattito che essa ha suscitato.Non è vero, a nostro parere, che i ragazzi, i consumatori, animati solo da una generica “voglia di sballarsi”[6] non sappiano niente di ciò mettono in bocca (e non ci riferiamo evidentemente alla composizione chimica della specifica pasticca che ingoiano); è vero semmai il contrario: hanno in ogni caso, sempre disponibile, un considerevole bagaglio di informazioni su cui basare le loro opinioni: l’esperienza personale (propria o derivata dal contatto con i propri coetanei). È l’esperienza personale che porta all’accettazione o al rigetto di quanto viene raccontato loro, che ne orienta, in ultimo, il comportamento. Ed è nel non comprendere questo che risiede la debolezza intrinseca delle strategie comunicative adottate dalla maggior parte dei quotidiani. Non tenendo conto che i consumatori hanno, sempre disponibile, l’esperienza personale di cui fidarsi (e a volte anche accesso a fonti d’informazione alternative), i giornalisti inviano dei messaggi che finiscono col produrre dissonanza cognitiva (Festinger, 1957) rispetto all’informazione già posseduta dal consumatore, al quale (anche per via dei forti vincoli emotivi[7] con le sostanze consumate e la pratica stessa del consumo) risulta più facile la squalifica dell’emittente piuttosto che rivedere le proprie convinzioni.Per dare una cornice teorica alla questione sollevata ci si può riferire alla problematica della decodifica aberrante (Eco e Fabbri, 1978). Saremmo qui nel caso del rifiuto del messaggio per delegittimazione dell’emittente che si verifica appunto “quando il sistema di credenze o le pressioni circostanziali del destinatario sono particolarmente forti e in contrasto con quelle attribuite all’emittente” (Giovanni Manetti, 1992) e finiscono col portare a un volontario rifiuto non solo di un particolare messaggio (o una sua parte) che risulti dissonante ma con tutti i messaggi che verranno trasmessi da quella data emittente.Il pericolo è allora che anche avvertimenti corretti, che dovrebbero attivare auspicabili cautele, stretti fra gli eccessi, le insensatezze, scritti o riportati dai giornalisti, finiscano con l’essere rifiutati dai consumatori senza venire neanche presi in considerazione. Al rifiuto corrisponderebbe, peraltro, una rabbiosa chiusura, un rinsaldamento a oltranza di un’esperienza comunque parziale[8].Tutto questo decreta il fallimento inevitabile degli obiettivi impliciti che animano la campagna: informare per orientare il comportamento appunto, e nella fattispecie per dissuadere da una pratica ritenuta pericolosa. Come se non bastasse i giornalisti non sembrano rendersi conto della ragione di questo fallimento (l’incapacità di adattare contenuti e stile comunicativo all’uditorio dei consumatori di cui non si comprendono i modelli interpretativi) risultando sorpresi e “sconcertati” nel constatare come già dalla settimana successiva alla morte di Jannick “il popolo dell’ecstasy”, per nulla allarmato, abbia ripreso immancabilmente a officiare i propri riti.
[1] Negli articoli di carattere “tecnico” che non si avvalgano direttamente delle parole di medici o psichiatri per fornire informazioni riguardo agli stupefacenti, è comune il ricorso a locuzioni del tipo “gli esperti di cono che…”, “la letteratura scientifica parla di…”, “è stato accertato”, “secondo gli studi più avanzati”, “gli studi più recenti hanno confermato che…”, ecc. impiegate per conferire una parvenza di scientificità ad argomentazioni spesso deboli e imprecise (anzi tanto più il discorso si dimostra fragile quanto più frequenti si fanno tali “stratagemmi”). Un esempio: “È stato dimostrato che [l’ecstasy] distrugge le terminazioni nervose di natura serotoninergica. Provoca nell’uomo lesioni al cervello di natura irreversibile, che persistono, secondo gli studi più avanzati, almeno fino a sette anni dall’interruzione del consumo” (Corriere della sera della Sera, 2-5). (Da notare la contraddizione tra il modo in cui i danni provocati dalla sostanza vengano definiti allo stesso tempo come permanenti e temporanei)
[2] Dichiarazioni del genere non sono state reperite né sull’Unita né sul manifesto.
[3] Il 14 novembre, sulla stessa testata: «I casi di Parkinson da droghe sintetiche aumenteranno» “Chissà quanti altri ne arriveranno di ragazzi zombie. […] il Parkinson, di cui si cominciano a segnalare i primi casi italiani, è solo una delle conseguenze dirompenti sul cervello dell’ecstasy […]” (Manfredi, professore di Neurologia all’Università «la Sapienza» di Roma). L’infondatezza scientifica di queste dichiarazioni è causa di polemica sulle pagine di altri quotidiani: “Di sicuro, le pastiglie alterano il sistema ideativo, impoverisce il cervello e i nostri trasmettitori. Uno stato che ha fatto parlare di effetto simil-Parkinson. Ma questo non vuol dire che l’ecstasy provochi il morbo, stiamo attenti” (Pierini, professore di tossicologia forense Università di Bologna – Il Resto del Carlino, 18-NZ/19). In modo ancor più diretto, su Repubblica, si legge: “È una notizia falsa […] sono quarant’anni che si studiano gli effetti delle anfetamine, ma nessuno ha mai dimostrato relazioni tra l’assunzione di tali sostanze e il morbo di Parkinson.” “Ieri, sul Corriere della sera, il dottor Carlo Caruso […] annunciava: «Sappiamo che in alcuni ospedali sono ricoverati ragazzi in queste condizioni». Quanti giovani e in quali strutture sanitarie non ci è dato sapere.” (Luigi Cancrini – la Repubblica, 15-18)
[4] Per la consultazione di una selezione di articoli, tratta soprattutto da riviste specialistiche americane, con una sezione consistente dedicata agli studi sull’ancora non dimostrata neurotossicità dell’ecstasy si rimanda al sito internet http://www.ecstasy.org
[5] L’unica dichiarazione di un medico, lo psichiatra andrea Masini, registrata sulle pagine del giornale in tutto il mese è del 7 novembre: “bisogna far sapere che per certe domande esistenziali tipiche di un’età inquieta «la risposta giusta non è il farmaco e non è la droga: ma l’affettività e l’amore»” e, come si legge, non riguarda le conseguenze mediche dell’assunzione. È vero d’altro canto che il numero di articoli dedicati dal manifesto all’ecstasy è nettamente inferiore a quello degli altri quotidiani (il che è già indicativo di una volontà precisa di tenersi al di fuori del clima d’emergenza creato dalla stampa) e che raccogliere dichiarazioni di esperti, politici e quant’altro serve anche ai giornalisti a rendere più vari e ‘dinamici’ articoli che altrimenti rischierebbero di risultare assai monotoni.
[6] “[…] chi usa droga, lo fa essenzialmente perché gli dà piacere […] per procurarsela va blandita, cercata, desiderata” (Enrico Brizzi – il Corriere della sera, 6-11) e il desiderio, le motivazioni (in termini antropologici, psicologici e sociologici), che portano un così ampio numero di ragazzi a drogarsi (i dati dell’Ue sono, in tal senso, un invito alla riflessione) andrebbero approfonditamente indagati.
[7] Si evita qui volutamente di parlare di “dipendenza psicologica” (la “fisica” per le sostanze in esame è comunque esclusa) per evitare associazioni svianti che portino a letture del fenomeno in termini di bisogno incoercibile o, peggio, di una schiavitù da cui i consumatori, incapaci di riconoscere la propria condizione, vadano comunque liberati negando ogni loro diritto all’esercizio del libero arbitrio (presupposto, questo, che produce pericolose tendenze repressive).
[8] È importante qui ripetere quanto appena detto: l’esperienza personale di consumo da sola non è sufficiente. Ha un qualche fondamento l’obiezione sollevabile che le capacità di valutazione del proprio stato psico-fisico siano, nei consumatori, distorte proprio dalla sostanza consumata che potrebbe portare al diniego di pensare ai rischi derivanti.
I politici
Durante il “caso ecstasy” tra il sistema dei media e il sistema politico si sono instaurati rapporti complessi, di continuo rimando, con l’attivazione di procedure di negoziazione sui termini, i modi, i tempi con i quali il tema doveva essere trattato.La stampa, attraverso l’amplificazione dell’allarme lanciato dai medici, ha esercitato il proprio potere di agenda sui politici[1], obbligandoli ad elaborare in tempi brevi una risposta istituzionale adatta a fronteggiare l’emergenza. Da qui in avanti il caso si è trasformato in variabile dipendente delle attività, degli interventi e delle dichiarazioni della politica, impegnata a recuperare e a pubblicizzare la sua capacità di controllo della situazione. Dopo lo shock provocato dalla morte del ragazzo bresciano gli spazi occupati in origine delle notizie sull’ecstasy killer vengono progressivamente ceduti agli interventi politici.La risposta immediata non poteva che essere un’intensificazione dei controlli nei luoghi di divertimento per i giovani, discoteche in primis, ritenuti a rischio di spaccio («clima da coprifuoco nelle discoteche italiane» – “la Repubblica”, 7-6): numerosi gli arresti, tutti ben pubblicizzati dalla stampa, anche se spesso non legati al mercato delle droghe sintetiche. Com’è ovvio un controllo capillare del territorio non è possibile e le droghe, di tutti i tipi, non hanno smesso di circolare[2]. La possibilità di continuare ad acquistare droga anche di fronte al Number One è stata un buon pretesto per duri attacchi al governo: «Finché c’è Rosa ci sarà ecstasy» s’intitola l’editoriale di Vittorio Feltri pubblicato sul “Il Resto del Carlino” di Domenica 7: “Jervolino o non Jervolino se ti vuoi fare non hai che da chiedere per essere soddisfatto.”Un altro punto su cui si è insistito da subito è stata la necessità di aggiornare (cosa avvenuta il 10 novembre) “la tabella delle sostanze proibite” (Jervolino – “l’Unità”, 7-10), la famigerata tabella I che raccoglie “tutti i composti di nessuno impiego terapeutico e socialmente dannosi”, che essendo aggiornata al 1990 non includeva le ‘nuove’ droghe sintetiche: 4-mta, 2cb, ghb e gbl. Molta confusione hanno generato i giornalisti attorno alla presunta legalità dell’ecstasy (termine con cui, come si è già ricordato, si intende la classe di molecole comprendente MDMA, MDA, MDEA, MBDB) in Italia. Alcune citazioni a titolo d’esempio: «Al bando l’ecstasy e le nuove droghe» (“La Stampa”, 11-11)[…] si scopre infatti che l’ecstasy e le sue componenti chimiche non sono considerate droghe illegali (“La Stampa”, 3-12).[…] se non è illegale per le tabelle, non è droga, quindi non può essere sequestrata. L’allarme viene dai carabinieri di Milano che si riferiscono in particolare a un quantitativo abbastanza consistente di pastiglie di MDA, una sostanza molto simile all’ecstasy, ritrovata a Genova senza poter essere sequestrata.Ecstasy che per legge non è ecstasy: le nostre tabelle non comprendono i derivati dalle amfetamine e da altri prodotti chimici. Basta che un buon chimico che ci lavori sopra ed ecco che aggira l’ostacolo[3] (“Corriere della Sera” della Sera, 2-4).Vediamo di fare un po’ di chiarezza a riguardo. L’ecstasy è fuorilegge in Italia dal 1988 e alcuni giornalisti mostrano anche di saperlo: “In questi anni solo [alcune] sostanze sono finite nelle tabelle: MDMA (ecstasy), MDEA (Eve); MBDB (Tnt), MDA (Love Drug). Il resto è lecito” (“la Repubblica”, 5-21); “L’ecstasy è in circolazione dai primi anni 80, ed è incluso nella tabella I, che comprende tutte le sostanze di tipo anfetaminico (e se così non fosse non si capirebbe come siano avvenuti centinaia di sequestri e di processi per possesso di ecstasy)” (Arnao – Fuoriluogo, inserto mensile de “il manifesto” 30). Vale la pena riportare un altro breve stralcio di questo articolo: “Inoltre, il fatto di essere inserita in una tabella non può magicamente determinare la sparizione di una sostanza dal mercato: dopo tutto le altre droghe sono nella tabella da quasi un secolo e il loro mercato è tuttora in espansione, anche in un paese come gli Usa dove la repressione è severissima” [4].Per quanto concerne gli interventi di più ampio respiro, stabiliti a seguito del vertice interministeriale (interno, giustizia, sanità, solidarietà sociale, pubblica istruzione) tenutosi a Palazzo Chigi Mercoledì 10 novembre, essi si articolano su tre linee principali. Diverso l’ordine (e dunque l’enfasi posta su ciascuna, soffermandosi di più sul polo della repressione o su quello della prevenzione) con cui i quotidiani le hanno riportate, ma tutto sommato, tranne nel caso de «La Stampa», è stato fatto con una certa conformità.La prima: un deciso, drastico, durissimo, contrasto al traffico delle droghe sintetiche, chiedendo la collaborazione dei paesi dell’Ue[5] e in particolare dell’Olanda da cui proviene gran parte delle pasticche che circolano in Italia. Sul piano della repressione anche il già citato decreto che ha portato all’inserimento nella tabella I di altre quattro sostanze (con la richiesta di rivedere il meccanismo di aggiornamento della tabella per consentire risposte immediate alla rapida evoluzione del mercato) nonché una sollecitazione ai prefetti a inviare al ministero il resoconto sulle azioni di contrasto svolte e ai sindaci a vigilare sugli orari e i livelli acustici delle discoteche.La seconda: uno stretto rapporto tra governo, regione e gestori di discoteche per giungere ad avere locali da ballo di qualità, con l’istituzione di un “Albo delle discoteche sicure”, una sorta di autocertificazione che comporta l’impegno dei gestori su più fronti: dall’incentivare, attraverso una riduzione dei prezzi, la vendita di bevande analcoliche, ai concerti dal vivo per favorire un’affluenza nei locali fin da prima della mezzanotte e consentire una chiusura leggermente anticipata che andrebbe inoltre resa omogenea fra le varie discoteche per evitare il “pendolarismo notturno” e ancora formazione di personale qualificato anche a prestare il primo soccorso a chi ne avesse bisogno e piena collaborazione con le forze dell’ordine. La promessa del governo a chi rispetterà questo impegno è una serie di sgravi fiscali.La terza: una massiccia campagna per un dialogo con i giovani attraverso il coinvolgimento delle scuole, perché bisogna puntare non tanto e non solo sulla repressione quanto sulla prevenzione. Le campagne informative dovrebbero avvalersi di spot con l’impiego di testimonial scelti fra “gli idoli dei giovani” al fine di rendere più efficace la comunicazione[6].Dalle dichiarazioni fatte dai politici, quasi sempre omologhe a quelle suggerite dai giornalisti e dagli ‘esperti’, è facile capire quale sia il loro modo di intendere lo scopo di queste campagne informative e quali ne saranno i contenuti, necessariamente piegati agli scopi suddetti. Riportiamo alcuni interventi esemplificativi della posizione condivisa quasi all’unanimità dai politici in merito all’ecstasy[7] e che costituisce l’assunto di base sul quale verrà costruita la campagna di comunicazione:
Difendetevi da ciò che minaccia la vostra vita e distrugge il vostro cervello. D’Alema (“l’Unità”, 10-10)
Ragazzi non serve l’aiuto delle droghe: reagite alle angosce della vita solo con le vostre forze. Ciampi (“Corriere della Sera” della sera, 8,14)Mi ha fatto impressione che la sera dopo il morto, nella stessa discoteca già facevano uso di pasticche. I giovani non si rendono conto della pericolosità di queste sostanze. Anche le famiglie sanno poco. È benemerita l’informazione dei mass media di questi giorni. Bindi (“La Stampa”, 11-11)Ancora una volta ogni riferimento a un sapere scientifico imparziale viene accuratamente evitato. L’ecstasy fa male, malissimo. È una certezza: questo il punto di partenza dei politici. Essi mostrano allora di avere (e di conseguenza presentano) un’immagine del proprio ruolo come di chi dovesse proteggere i ragazzi, metterli a conoscenza di una ‘verità’ che ignorano al fine di tenerli lontani dalla sostanza. Un paternalismo senza nessuna distinzione tra uso e abuso, nessuna capacità di assumere il punto di vista dell’altro (il consumatore, con tutta la complessità e variabilità delle motivazioni che lo portano a consumare), nessuna comprensione dell’inefficacia di allarmismi e mistificazioni che vanno a confrontarsi con un’esperienza personale di consumo che porta inevitabilmente a squalificarli come assurdi. In quest’ottica è facile comprendere le polemiche che si sono accese attorno a pubblicazioni come l’opuscolo stampato dalla Lila (lega italiana per la lotta contro l’aids) e fatto circolare nelle scuole, di cui Fini ha chiesto il ritiro[8], per il solo fatto che descrive gli effetti dell’ecstasy. L’obiettività funzionerebbe da “istigazione” al consumo, “soprattutto nei confronti dei ragazzini”. Nell’opuscolo, definito dal professor Ferdinando Aiuti “allucinante più della stessa ecstasy” (“Il Resto del Carlino”, 12-9), si può leggere: “I consumatori riportano sensazioni di sicurezza interiore, pace e comunione col mondo” (cit. in “Il Resto del Carlino”, 12-9) e ancora “Assumere l’ecstasy preferibilmente con persone conosciute e in una situazione in cui ci si sente bene con se stessi e con gli altri; mantenersi continuamente idratati, bere acqua, circa mezzo litro ogni ora, a piccoli sorsi” (cit. in “La Stampa”, 5-13). Niente di diverso dunque da quello che si può leggere su pubblicazioni importanti (edite entrambe da Feltrinelli) come “E come ecstasy” di Nicholas Saunders (in cui è presente un intero capitolo dedicato ai “consigli per la prima volta” poco dopo quello su “i pericoli dell’ecstasy”) o “Le nuove droghe” del sociologo tedesco Günter Amendt che ad apertura del capitolo “rischi e pericoli dell’ecstasy” scrive: “Noi non ci prestiamo alla campagna di demonizzazione delle droghe. Vogliamo invece chiarire e trasmettere tutto quello che sulle droghe sappiamo. Non metteremo sotto silenzio le esperienze positive con l’ecstasy che i consumatori raccontano. […] Per riuscire a spostare la bilancia del consumo di droghe dal piatto dei rischi e dei danni a quello dei benefici, occorre molta informazione.” Sono questi “benefici”, quelli sperimentati da ciascun consumatore[9], bramati tanto da far dimenticare le indispensabili precauzioni, che i politici o i ‘comunicatori’ che si occuperanno di progettare le campagne informative dovrebbero tenere ben presenti prima di impegnarsi in cieche e sorde crociate destinate in partenza al fallimento.
[1] È la modalità di trattazione della notizia scelta dalla stampa (i toni allarmistici del caso eccezionale) che ha obbligato i politici a confrontarsi con un’opinione pubblica bisognosa di essere rassicurata. In passato si erano già verificati (e i giornalisti ne avevano scritto) altri casi di morte per ecstasy o cocktail di droghe: «Ucciso da ecstasy dopo 14 ore di musica» (la Repubblica 12/5/1196); la notizia riguarda uno studente di 18 anni accasciatosi sulla pista da ballo di una discoteca di perugina e morto poco dopo in ospedale per “arresto cardiaco”.. Sorte analoga, qualche mese dopo, era toccata a un diciannovenne, in pprovincia di Livorno, morto per “arresto cardiocircolatorio dovuto a intossicazione da sostanze stupefacenti, pare per un intruglio di pasticche sintetiche e Special K”, sostanza riscoperta da poco da giornalisti smemorati ma evidentemente non nuova per il mercato italiano (la Stampa 18/6/1996). Queste notizie di circa quattro anni fa, essendo state trattate come semplici fatti di cronaca (relegate a pag. 22 e pag. 15 dei rispettivi giornali), non avevano generato alcuna reazione di tipo politico.
[2] «Droghe in circolazione nonostante i controlli del Sabato sera: spacciatore arrestato nella discoteca dove morì Jannick» (Corriere della sera, 8-1). Simili i titoli degli altri giornali con sorpresa e disgusto da parte dei giornalisti nel constatare l’ovvio (poliziotti e cani antidroga non servono a molto): “sarà anche per questo, per la sfacciataggine del male, ma la nausea monta dentro a vederselo davanti [un giovane spacciatore di coca], spigliato e saltellante.” (il Il Resto del Carlino, 7-3) E ancora, nello stesso articolo: “Un «assassino per caso», forse. In questo momento mentre mi allunga la coca tra un saltello e l’altro, si sta prendendo gioco di tutti. Delle tv […] Dei giornalisti […] E di tutti i fotografi.” Nello scrivere questo la giornalista dimostra di non comprendere l’impossibilità che funzioni la strategia comunicativa praticata dal sistema dei media, volta a orientare il comportamento di un segmento sociale (che vorrebbe dissuadere da talune pratiche ingenerando paura, [la paura di divenire degli “zombie” come pure la paura d’essere arrestati]) e che è invece incapace di raggiungere.
[3] Durante tutta la campagna è stato spesso fatto riferimento alle centinaia di varianti di ecstasy disponibili sul mercato che, a causa della propria struttura chimica, non possono essere fatte rientrare tra le droghe illegali. Tuttavia, le stime comparse sui giornali in merito ai “derivati dell’ecstasy” sintetizzati per sfuggire alla legge risultano il più delle volte incongrue, non solo tra un quotidiano e l’altro, ma anche da un giorno all’atro su una stessa testata, e inoltre tradiscono la tendenza a gonfiare i numeri lungo il corso della campagna (da 179 a 280 – la Repubblica 5-21, 13-24; da 150 a 500 – Corriere della Sera 5-3 e 8-5). Eppure guardando alle analisi delle sostanze disponibili sul mercato (rispettivamente svizzero e americano) pubblicate puntualmente sui siti internet “Eve & Rave” (http://www.eve-rave.ch) e “DanceSafe” (http://www.dancesafe.org) si può riscontrare come la maggioranza delle pillole contengano esclusivamente ecstasy pura (MDMA in una quantità variabile tra i 60 e i 150mg); alcune contengono eccitanti quali anfetamina, efedrina o caffeina, altre sono dei semplici placebo. Delle varianti a cui giornalisti ed esperti si sono riferiti nessuna traccia.
[4] “In America consumi dimezzati, i prodotti troveranno nuove strade – Negli Stati Uniti, i consumatori di stupefacenti sono calati dai 25 milioni del 1979 ai 14 milioni di oggi, grazie alla «guerra totale»” (Corriere della sera della Sera, 9-14). A questi dati, che testimonierebbero l’incontestabile successo della politica repressiva statunitense, vorremmo opporne altri, più pacati, su altri effetti e risultati del proibizionismo in Usa (tratti dalla testimonianza di David Boaz, del Cato Institute, alla sottocommissione per la giustizia penale, la tossicodipendenza e le risorse umane, presso il Congresso degli Stati Uniti – 16 giugno 1999): “Il governo federale spende $16 miliardi ogni anno per attuare la legislazione anti-droga […] Oltre l’80% dell’incremento della popolazione carceraria fra il 1985 e il 1995 è imputabile alle condanne legate alla droga […] Nel 1996 i detenuti per crimini di droga erano il 59,6 per cento del totale federale […] Tuttavia, tutti gli arresti e le carcerazioni non sono servite a frenare l’uso di droga, né il traffico di droga, né i crimini connessi con il contrabbando. L’offerta di cocaina e di eroina è addirittura aumentata. La stessa Janet Crist del Dipartimento delle politiche contro la droga, dopo aver elencato alcuni dei successi ottenuti dal pentagono, ha dovuto ammettere che «non si è registrato alcun effetto diretto sui prezzi o sulla disponibilità della cocaina sulle nostre strade»”
[5] Prodi a parlato a Bruxelles di un “mercato comune della droga”, insistendo sulla necessità di “non permettere che delle regole diverse finiscano per esser applicate in tutti paesi dell'unione, con la circolazione delle droghe sintetiche che percorrono senza alcun controllo la comunità.” (l’Unità 11 – 7)
[6] Come si è accennato il modo in cui «la Stampa» riferisce queste tre linee d’intervento è unico: “Primo, santa alleanza tra istituzioni e discoteche […] per contrastare lo spaccio […] Secondo, adeguamento delle leggi […] serve una modifica al macchinoso sistema delle tabelle […] Terzo, imponente campagna di repressione da parte della polizia per contrastare i nuovi spacciatori.” (la Stampa, 11-11) Nessun accenno alla prevenzione, dunque, a quel “dialogo con i giovani” indicato da «la Repubblica» come “la parola d’ordine che si è data il governo” (la Repubblica, 11-10)
[7] Le uniche a distinguersi davvero sono le posizioni marcatamente antiproibizioniste che sulla stampa hanno trovato pochissimo spazio: “La psicosi terroristica e di stampo fondamentalista che si sta tentando di creare in Italia, a proposito dell'ecstasy, è indegna di un paese con qualche pretesa di dignità civile. La verità è che di ecstasy non si muore, poiché la scienza conosce si e no una decina di casi in molti anni. Si muore semmai, di mercato nero come durante il proibizionismo americano si moriva di vino estratto dal legno.” Pannella (Il Resto del Carlino, 14 – 7); “Si crei un posto dove il vero ecstasy viene venduto e non contiene additivi velenosi. Si avverta chi lo acquista dei rischi dell’assunzione. […] Alla fine è la responsabilità personale che va affermata […]” Taradash (la Stampa, 30-10); “Serve […] tanta tanta informazione. Un’informazione continua, equilibrata. Costante. Gli allarmismi a ‘singhiozzo’ fanno solo danni. […] La mia convinzione, in realtà, è che sulla droga […] si giochi una partita di fondo. Una sfida tra due modelli politici e culturali opposti. Un confronto tra due società da costruire. […] rimane l’evidenza […] di capire quanto siano inutili i tentativi di dichiarare guerra alla droga.” (Emma Bonino, Corriere della sera, 9-5);
[8] La denuncia di AN si è fatta ancora più dura per via della presenza sull’opuscolo del logo del ministero della sanità complice di “fornire istruzioni all’uso della droga […] stimolando i giovani a provare la droga piuttosto che dissuaderli” (Il Resto del Carlino, 12-9). La risposta di Rosi Bindi è stata immediata: “Non abbiamo mai acconsentito ad apporre il nostro logo. Lo hanno fatto senza consultarci e si sono già scusati per questo.” (Corriere della sera della sera, 7-9) Immediata anche la replica di Vittorio Agnolotto, presidente della Lila: “Per far fronte alla diffusione del fenomeno, accanto ad una dura repressione per traffico e spaccio, occorre attuare una politica di riduzione del danno e fare come in Olanda, dove unità mobili con piccoli laboratori chimici girano tra discoteche rave e party analizzando in tempo reale le pasticche e mettendo in guardia i ragazzi dai rischi. Bisogna impedire la morte di chi consuma pasticche […] Informando i giovani sugli effetti e sui rischi. Ad una ragazzo, dopo avergli sconsigliato di farne uso, diciamo: se tu comunque ne prendi, sappi che questi sono i rischi e che in questa maniera puoi evitare di aumentarli. Ma se sosteniamo soltanto che starà male e lui vede invece un amico sui giri, capace di agganciare la ragazza, a chi pensate che crederà?” (la Stampa, 7-5. Si tratta dell’unico giornale ad aver dato la parola ad un rappresentante della Lila)
[9] Senza considerare le possibilità di impiego in ambito psicoterapeutico che, prima di essere bloccate da violente ondate proibizioniste, avevano fatto ben sperare psicologi e psichiatri di mezzo mondo. “Al di fuori di ogni ideologia, rimane una vergogna che sia impedito alla ricerca sia teorica sia pratica l’impiego di sostanze che potrebbero essere molto utili sia nel campo della comprensione della genesi delle patologie dei problemi mentali e psichici sia nel trattamento psicoterapeutico” (Gilberto Camilla in Bagozzi, 1996. Per un buon resoconto delle esperienze di psicologi e psichiatri europei e americani vedi anche Saunders, 1995)
0 commenti