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L’anziano e il D.S.M.: suggerimenti per un modello operativo public health di G. Boidi

3 Dic 12

Di FRANCESCO BOLLORINO

 

La generazione che nasce ora nelle società industriali od avanzate, vivrà in media 90 anni o più. Oggi un individuo su tre muore oltre gli 85 anni, con una formidabile progressione che ha visto allungarsi l’età alla morte dai 55 anni degli inizi del secolo fino agli attuali 76. Il fatto positivo dell’eccellente situazione dell’Italia in termini di longevità, fa emergere il quadro di una nazione caratterizzata da un importante fenomeno di invecchiamento della popolazione, con molte zone in cui prevale una situazione marcata di bassa natalità che non assicura il ricambio generazionale.

Non è più questione di lunghe vite occasionali destinate a singole persone, come nel passato, ma di longevità collettiva senza paragoni nella storia umana, che produce conseguenze complesse da ogni punto di vista: sociale, psicologico, economico.

Decadono le nozioni convenzionali di età giovane, media, tarda; aumentano gli stadi della vita senza precisi confini e includono prima, seconda, terza, quarta età.

Poiché ogni parametro è destinato a cambiare, s’impone in ogni caso, soggettivamente, di riprogrammare l’esistenza, mentre a livello generale, per quanto riguarda il livello sanitario, occorre interrogarsi sui possibili impatti dell’invecchiamento della popolazione sul sistema di cura.

La conseguenza più vistosa è rappresentata dall’aumento delle persone con patologie degenerative a carico del Sistema Nervoso Centrale, con conseguenti elevati problemi di gestione assistenziale.

Non dobbiamo però dimenticare che una gran parte di pazienti anziani soffre di patologie multiple, mediche o chirurgiche in associazione a problematiche di ordine comportamentale, psichiatrico o psicologico Si tratta di pazienti ad alto costo sanitario, con problemi psicosociali, che se non vengono adeguatamente trattati, rischiano una precoce perdita di autonomia e causano un notevole burden familiare. In mancanza di particolari strategie, i problemi presentati dall’anziano vengono affrontati da diversi servizi che, a causa di un’organizzazione verticale e alla non capacità di collaborazione integrata, tendono a fornire risposte che spesso si giustappongono o si elidono.

E’ quindi necessario porsi il problema di una corretta pianificazione degli interventi, per evitare che l’unica risposta possibile sia l’aumento dei posti residenziali, che finirebbero per drenare tutte le risorse, a scapito di altri bisogni sanitari e sociali.

 

 

 

L’ESPERIENZA DEI SERVIZI PSICHIATRICI

Nel corso di questi anni i servizi psichiatrici sono venuti maggiormente a contatto con i pazienti anziani, sia in ragione della mutata posizione della psichiatria all'interno del circuito sanitario, sia in ragione dei cambiamenti demografici e sociali.

Attualmente l’anziano arriva al Dipartimento di Salute Mentale attraverso diverse porte d’accesso:

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

  • il circuito dell’urgenza: l’anziano con problemi di comportamento o sintomi psichiatrici arriva al Pronto Soccorso e viene ricoverato in SPDC dove per mancanza di strutture alternative spesso occupa impropriamente un letto per lunghi periodi
  • il circuito dell’ordine pubblico: l’anziano potenzialmente "pericoloso" perché confuso o aggressivo viene segnalato, dalle forze dell’Ordine o da vicini, al servizio territoriale psichiatrico, che deve attivarsi, richiedere informazioni al medico di base, informare il Distretto, ecc.
  • il circuito socio-assistenziale: l’anziano abbandonato ed incapace di badare a sé stesso viene segnalato al servizio psichiatrico perché provveda un’assistenza domiciliare
  • il circuito della famiglia o del medico di base: si richiede al servizio una prestazione specialistica, di solito in presenza di sintomi psicotici in demenza.
  • il circuito delle consulenze nei reparti ospedalieri

Questa tipologia di pazienti viene attualmente affrontata, salvo sporadiche eccezioni, come caso a se, con gli strumenti abituali del repertorio psichiatrico, e finisce spesso per diventare, con tutte le frustrazioni che l’accompagnano, una presa in carico obbligata, in mancanza di altre risorse.

Una prima considerazione che dobbiamo fare è quindi quella della necessità di programmare coordinamenti e sinergie multiple (medico di base, servizio geriatrico, distretto sociale) per evitare che il servizio psichiatrico diventi esclusivo collettore di bisogni complessi.

Una seconda considerazione è chiederci se gli anziani che conosciamo nei servizi psichiatrici sono sufficientemente rappresentativi dei bisogni di salute mentale della popolazione anziana.

Come ci ricorda Asioli, sul piano strategico gli psichiatri devono rispondere al quesito se sia compito del Dipartimento di Psichiatria occuparsi della salute mentale di tutta la popolazione o ci si debba limitare a fornire le migliori risposte possibili solo a coloro che accedono ai servizi di psichiatria; inoltre, se le risorse da mettere in campo per il miglioramento della salute mentale della popolazione siano solo quelle dei servizi psichiatrici.

Sempre citando Asioli, i finanziamenti alla sanità sono comunque limitati e la quota assegnata alla psichiatria compete con le risorse destinate all’assistenza generale; è opportuno richiedere risorse aggiuntive sottraendole ad altri settori, con il rischio di portare molti pazienti nel circuito psichiatrico?

Per quanto riguarda gli anziani, gruppo interessato in misura alta da disturbi psichiatrici, è impensabile non costruire strategie di collegamento con gli altri servizi del sistema sanitario, attraverso sistemi organizzati di consultazione e consulenza.

E’ necessario quindi imparare ad operare per cogestire i pazienti con altri servizi ed operare per trasferire competenze psichiatriche ad altri gruppi di curanti.

Si tratta, pertanto, di integrare il tradizionale approccio orientato al singolo attraverso interventi episodici, spesso di costo elevato, con nuove metodologie e sistemi organizzativi dei servizi, che utilizzino un approccio sistemico basato sull’analisi della popolazione sulla quale si intende operare, con particolare attenzione agli aspetti preventivi ed al rapporto costi-benefici. Se mettiamo a confronto (figg.1 e 2) i due tipi di approccio, vediamo che per quanto competenti possano essere gli psichiatri dei servizi a trattare il singolo paziente, esperienza, formazione e motivazione non sono sufficienti ad affrontare i bisogni di salute mentale della popolazione, di cui la percentuale che arriva ai servizi rappresenta spesso solo la parte visibile dell’iceberg.

Fig.1

L’Approccio Individuale

Ha una visione parziale della popolazione Tende ad escludere i fattori di contesto Ha una minor propensione a generare informazioni 
per la prevenzione primaria Considera solo il livello individuale (prev. secondaria e 
terziaria) Ha una visione del servizio in termini di strutture- processi Sono preferiti i curanti individuali La prospettiva del follow up è intermittente/episodica Il costo-efficacia è valutato in termini individuali Ci sono limiti all'accesso per età, diagnosi

Fig.2

L’Approccio Public Health

Ha una visione globale della popolazione Considera il contesto socio-economico dei pazienti Può produrre informazioni sulla prevenzione primaria Ha una visione sistemica del servizio Favorisce l'accesso aperto al servizio E' favorito il lavoro di équipe Considera la malattia in una prospettiva a lungo termine Il costo-efficacia è valutato sulla popolazione

Questo approccio, che supera l’individuale per guardare al generale, ha come vantaggio immediato quello di invertire la tendenza ad aumentare l’utilizzo del servizio psichiatrico come struttura surrogante ogni altro tipo di intervento. Nel medio termine, quello della razionalizzazione delle risorse con diminuzione dei costi, l’aumento delle reciproche competenze, il miglioramento della qualità della vita del paziente.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

COME SI RISPONDE AI BISOGNI DI SALUTE MENTALE DELLA POPOLAZIONE?

Cominciamo a valutare alcuni fatti noti: abbiamo già ricordato che la percentuale di anziani sta aumentando in tutto il mondo; sappiamo anche che alcune malattie mentali sono particolarmente comuni in tarda età mentre altre assumono caratteristiche diverse e presentano particolari problemi di gestione. Nell’anziano i sintomi psichici sono spesso dovuti all’interazione di molteplici cause; sono inoltre comuni difficoltà sociali, multipli problemi fisici e deficit sensoriali.

Oltre a queste generalità, un passo ulteriore è rappresentato da un’attendibile stima del problema, per poter mettere in campo le risorse necessarie.

Se interroghiamo la letteratura in campo epidemiologico, dobbiamo riconoscere che in Italia non esistono studi che permettano un corretto dimensionamento della distribuzione dei problemi mentali degli anziani; dobbiamo quindi tentare delle estrapolazioni, utilizzando i dati dei paesi con politiche sanitarie più avanzate in questo settore.

Gli anziani con disturbi mentali comprendono sia i pazienti psichiatrici che invecchiano che i pazienti che presentano disturbi psichici in età avanzata.

Nel primo gruppo, per citare solo la schizofrenia, sappiamo che il 50% dei pazienti raggiunge l’età avanzata: solo in Italia, quindi, si tratta di 250.000 casi che, invecchiando, presenteranno in prevalenza sintomatologia deficitaria con perdita delle competenze sociali ed avranno multimorbilità per lo scadere delle condizioni fisiche.

Nei confronti di questi pazienti dovremmo sia cercare di aumentare l’aspettativa di vita (ora minore che nella popolazione generale per l’alta frequenza di suicidi e morte prematura) sia mettere in atto interventi sensibili al problema dell’invecchiamento.

Nel secondo gruppo abbiamo i disturbi mentali organici con espressività clinica che raggiungono il 10% della popolazione > di 65 anni, con un numero di circa 900.000 casi; i disturbi d’ansia e dell’umore che, secondo il contesto in cui sono valutati (casa, ospedale, istituto per lungodegenti), vanno dal 5 al 60% della popolazione degli ultrasessantacinquenni con una stima ragionevole di più di due milioni di persone che beneficerebbero di trattamenti specifici. Vanno inoltre ricordati i comportamenti suicidari, tenendo conto che circa il 35% degli agiti letali è compiuto da anziani verso il 15% della popolazione generale. Gli anziani sono il gruppo più consistente di pazienti visitati e occupano un terzo dei posti in ospedale.

Il 25% delle consulenze psichiatriche in ospedale generale è richiesto per pazienti con più di 65 anni e la maggior parte di questi soffre di malattie mediche e chirurgiche in associazione a problemi medici e psichiatrici.

Le malattie mentali dell’anziano, inoltre, non solo coinvolgono il paziente, ma determinano sofferenza a tutto il gruppo familiare, con costi diretti e indiretti non trascurabili.

Non è però sufficiente conoscere la consistenza epidemiologica della nostra popolazione per cominciare a muoverci in una prospettiva allargata di salute pubblica.

Dobbiamo, infatti, aver presenti sia la tendenza all’autoreferenzialità del sistema psichiatrico (ne sono esempio gli scarsi e frammentati rapporti con i medici di base), sia la persistenza di non pochi ostacoli culturali nei confronti di una medicina dell’anziano.

Sussistono, infatti, stereotipi che alimentano condotte poco incisive con gli anziani e che poggiano su concetti ormai superati come quello del "deficit model", secondo cui le malattie sarebbero connaturate all’irreversibile degenerazione del divenire vecchi (senectus ipsa morbus).

Tra la psichiatria e l’anziano vi è poi un rapporto complesso in cui si intrecciano alcuni storici pregiudizi come quello della netta distinzione tra organico e funzionale (i pazienti psico-organici devono essere curati dai Neurologi ?), l’adultocentrismo dei servizi, la ricerca di un limite alla sfera di competenza rispetto alla pressione del contesto esterno a fornire una apparentemente più facile risposta in assenza di altre adeguate risorse.

Se in Italia ci si muove ancora a livello pionieristico in molte regioni, va ricordato che esistono buoni esempi in altri paesi europei e che l’OMS ha pubblicato in anni recenti diversi studi sull’argomento..

Nelle figg. 3 e 4 sono riassunti i suggerimenti dell’OMS e le linee guida psicogeriatriche del servizio sanitario inglese.

In entrambi i casi si sottolinea la necessità di servizi integrati, di strutture a diversa finalità, di cure e assistenza al domicilio con il supporto ai familiari che assistono gli anziani, per preservare il più possibile l’autonomia del paziente.

Fig. 3

Fig. 4

Consensus Statement

WHO 1996

 

 

 

  • Centralità del domicilio e del caregiving familiare con équipe multidisciplinare e attività di consultazione specialistica
  • Progetto terapeutico individuale
  • Disponibilità di strutture ospedaliere, 
    semiresidenziali e residenziali e di gruppi di sostegno
  • Servizi integrati nel sistema sanitario e sociale
  • Verifica della qualità dei servizi

Linee guida del

sistema inglese

 

 

  • Un ben organizzato servizio psichiatrico 
    territoriale per l'anziano per la valutazione e il 
    monitoraggio
  • Possibilità di ricovero o di ospitalità in centri 
    diurni per le situazioni di acuzie
  • Collaborazione fra il servizio sanitario ed i servizi 
    sociali per individuare i bisogni di salute mentale 
    dell'anziano
  • Collaborazione fra psichiatri e geriatri
  • Adeguati servizi che garantiscono la continuità 
    delle cure anche con possibilità di ospitalità per 
    le persone con patologie gravi non gestibili al 
    domicilio
  • Case di riposo
  • Assistenza domiciliare
  • Servizi di consulenza e supporto per i caregivers

 

 

CONCLUSIONI

La psichiatria comincia a porsi il compito di affrontare con strategie più efficaci il problema della salute mentale nella popolazione che invecchia. Il fine dei trattamenti deve essere il miglioramento della salute e della qualità di vita, il preservare l’autonomia e la capacità di rispondere ai bisogni dei caregivers.

Occorre costruire e migliorare servizi, fare adeguata formazione del personale e ricerche sul campo.

Le aree su cui sembra si debbano concentrare più gli sforzi sono le demenze, i disturbi affettivi ed il suicidio, tutte patologie ad alto impatto psicosociale ed elevati costi. È stato di recente calcolato che i soli disturbi affettivi comporterebbero una spesa pari al 4% del costo totale delle spese sanitarie, principalmente imputabili ad un inadeguato trattamento.

Gli obiettivi prioritari prevedono la sensibilizzazione dei medici di Medicina Generale ai problemi mentali degli anziani, un training di tutti gli operatori psichiatrici sugli specifici aspetti delle condizioni psichiatriche e mediche che colpiscono gli anziani, la costituzione di gruppi multidisciplinari con medici di diverse specialità, psicologi, infermieri, assistenti sociali, ben integrati nel sistema sociale e sanitario, che pongano al centro i bisogni e i desideri individuali del paziente.

I gruppi multispecialistici devono disporre di un ampio ventaglio di risorse, che comprendono unità di degenza per acuti, RSA geriatriche (con modulo psichiatrico), day hospital, centri diurni, ambulatori con unità valutative psicogeriatriche, per fornire un approccio specialistico e multidimensionale al paziente.

Se si riesce ad affrontare con migliori strumenti la sofferenza dell’anziano nei suoi vari aspetti, la certezza è che potremo far molto per migliorare la qualità di vita dei pazienti e dei loro familiari.

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