Sai cos'è la bellezza? A questa domanda credo che rispondano "sì" tutti con l'eccezione di qualche filosofo. Ma poi le risposte saranno le più diverse nel contenuto come nella forma.
L'esperienza della bellezza io l'immagino simile al Velcro. Ha la capacità di agganciarsi a immagini, a passare dal mondo esterno a quello interno e viceversa. L'oggetto bello di cui facciamo esperienza può essere il corpo umano, la natura, i fiori, le percezioni di ogni area sensoriale, l'arte, lo spirito, la geometria e la precisione dei numeri, la simmetria, le proporzioni, la bellezza del diavolo; soprattutto l'oggetto d'amore. "Il mio bambino bello" dice la mamma felice e il bambino a sua volta sa che "bellobuono" è una sola parola, già era così in greco antico, come anche bruttocattivo. La nostra esperienza della bellezza inevitabilmente include una forte componente antropomorfa. Siamo uomini o mostri? Voglio dire nell'oggetto bello noi vediamo sempre qualche parte di noi stessi. Anche quella mostruosa, che piace a vari artisti contemporanei. Anche il brutto, mostruoso (mostro è un prodigio che si mostra), diventa a volte degno di ammirazione, e non solo adesso, fin dall'antichità.
Di solito sono preferiti colori, suoni, altre sensazioni quando sono consonanti e si armonizzano, ma non si esclude la bellezza della dissonanza. Ghe xé anca quei che ghe piaze ciuciàre un caenasso (a taluni piace succhiare un catenaccio).
Questa esperienza può nascere sia in sogno, sia in realtà dalla soddisfazione di desideri, da pregiudizi soddisfatti come dalla liberazione da essi, quando è dimessi dalla prigione o da oncologia, quando si scampa a un qualche altro pericolo. Include una parte legata alla specie cui apparteniamo, una soggettiva e arbitraria e una che ci è data dalla cultura che condividiamo.
In questo vasto e affascinante campo ci condurranno i relatori.
Sarà Caterina Virdis Limentani, docente di storia dell'arte e della moda, a fornire i primi stimoli già venerdì sera sul tema della "bellezza pericolosa".
Karl-Siegbert Rehberg, docente di teoria della sociologia, ci mostra come la sociologia e l'arte si possano aiutare a vicenda nella comprensione degli eventi attuali, perché il vero artista rappresenta sempre i fatti salienti del presente e non di rado anticipa il futuro.
La psicoanalista Graziella Magherini è partita anni addietro dall'osservazione di come l'opera d'arte possa avere effetti perturbanti (la Sindrome di Stendhal) perché eccita parti psicotiche della mente, e approda alla comprensione di un modello di fruizione estetica. Prevedo una viva discussione.
Adone Brandalise, docente di teoria della letteratura, osserva la caducità del bello, in accordo con Meltzer che comprendeva la bellezza della caducità, e poeticamente segnala come "è nell'eternità del suo sparire che la parvenza del bello s'impone" a noi che, in confronto alla vera opera d'arte, siamo ancora più caduchi. Cosa bella e mortal passa e non dura. (mi sa che è Petrarca).
Uno psichiatra, Filippo Ferro, parte dal perturbante per incamminarsi per sentieri ove si incontrano "il doppio", il doversi misurare con la natura, la sua rappresentazione, il senso del sublime, da cui si può cadere nel terrore. Come altri relatori, per farci comprendere, si e ci aiuterà con la proiezione di immagini.
Rossana Buono, docente di storia dell'arte contemporanea, ci aiuterà a riflettere sullo spinoso argomento delle avanguardie che scelgono spesso il brutto, il repellente, che però può essere interessante. In effetti possiamo dichiarare che i giorni nostri "sono beitempi?" Ecco che l'artista trova modo di rappresentarli.
Alberto Schön, psicoanalista, indicherà alcune possibilità di arrabbiatura per chi tenta di frequentare l'arte contemporanea e cercherà di capire qualche perché di questa frequente risposta passionale negativa.
Mi aspetto giorni intensi. Se anche il tempo meteorologico non sarà bello, lo trasformeremo noi. Forse il bello è che si può avere il sereno nel mondo interno.
Termino con questa breve riflessione: lo stile (è l'uomo). Uno stile rigoroso e personale, significa tra l'altro avere almeno una cosa da dire che a noi sembra importante. Allora chi non ha stile potrebbe avere da dire più cose contrastanti, e/o non aver ancora trovato come esprimerle. Lo stile dovrebbe servire a far capire meglio la bellezza dei concetti, rivelando ciò che le parole stentano a comunicare. Mi pare un campo in cui è incluso il piacere. Quando sono contento è anche perché sono riuscito a essere coerente col mio stile. Possiamo dire che lo stile è il versante estetico del Sé. Tutte le volte che sono scontento devo attaccare la mia componente di stilista e prendermela con qualcuno, per esempio: "Lo stilista di moda progetta strutture inutili intese a nascondere il vuoto, il niente da dire". L'ostile è l'uomo.
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