"Il noir racconta il peggio dell'uomo: il cinema permette il miracolo di parlare del peggio dell'essere umano per trasformarlo in qualcosa di diverso."
Credo che queste parole, rilasciate dal regista spagnolo, riassumano molto bene il senso di questo lavoro. Infatti il cinema, forse il principale "protagonista" di questo film, viene qui celebrato in tutto il suo potenziale trasformativo: sia all’interno della storia, perché è attraverso il "fare cinema" che si realizza il disvelarsi del mistero del noir, sia per noi che guardiamo, perché ci permette di entrare in contatto e di trasformare al nostro interno emozioni e passioni forti.
Il piccolo grande capolavoro di Almodovar è, a mio parere, quello di essere riuscito a trattare un tema spinoso e tabù nella nostra cultura, come la pedofilia, senza sbavature o cedimenti ma, contemporaneamente, restituendo a questo tema tutta la complessità che merita: sia che si assuma lo sguardo del bambino/vittima, sia dell’adulto/abusante.
Chi cercasse in questo film una chiara distinzione di buoni e cattivi o, più semplicemente, una demarcazione tra il bene ed il male (assoluto) rimarrà deluso. Nemmeno la tesi, della causalità, tra gli abusi subiti da piccoli e lo sviluppo di una personalità omosessuale o transessuale da grandi è, fino in fondo, sostenuta. Semmai, l’"abuso", e in questo senso più completamente la "cattiva educazione", si caratterizza, sembra dire il regista, per non aver favorito, assecondato adeguatamente, lo sviluppo di emozioni, pensieri e relazioni tra questi bambini nella loro scuola, di aver pesantemente interferito tra le loro storie, le loro dinamiche.
La violenza più cruda, sembra sostenere Almodovar, è questa. Mentre l’imbroglio, il ricatto, la minaccia, l’abuso sessuale, peraltro corredati ad uno struggente e, a suo modo, autentico amore del Sacerdote verso il bambino, vengono presentati come un po’ più sullo sfondo.
Come spiega l’autore del film, nella già citata intervista, una parte della storia "è un triangolo amoroso dove c'è un bambino di dieci anni che si oppone ad un professore per amore di un altro bambino", dunque l’incontro omosessuale tra i due piccoli protagonisti è, a suo modo, già in corso. Forse, siamo autorizzati a pensare, è proprio l’interruzione di questo tenero e affettuoso dialogo tra i piccoli Ignacio ed Enrique la cosa più violenta, più drammatica; più ancora dell’abuso fisico. E’ dunque l’interruzione di una relazione frutto, questa si, dell’accecamento perverso e passionale del direttore del Collegio cattolico, in una Spagna anni sessanta ed ancora franchista.
L’innocenza violata, prima ancora che fisica, appare come l’innocenza delle loro relazioni, il coartamento drammatico del naturale rivolgersi da bambini a bambini. Il dover compiacere, anche soltanto con il canto, le brame degli adulti, portati via, solo per questo, senza ancor aver finito di pranzare, dal refettorio e dalla compagnia naturale dei coetanei. Fin qui, lo sguardo dei minori.
Ma il regista della Mancia ci offre anche uno sguardo originale degli adulti. Spesso utilizza una certa caricaturalità emozionale dei transessuali ed anche di certi omosessuali, per raccontarci, con questo espediente, anche quanto di più umano e passionale ci riguarda. Questi soggetti, nel loro modo poco mediato di presentarsi, anche con i loro eccessi, sembrano però essere alla fine i "pennelli" che Almodovar preferisce per dipingere fino in fondo la loro e la nostra umanità e secondo me ci riesce bene.
Anche il cosiddetto "cattivo" del film (anche lui, in una scena di cinema nel cinema, si definirà così) ci viene mostrato con i suoi turbamenti, con le sue contraddizioni, certo, schiavo delle sue passioni, ma anche del suo innamoramento, seppur improprio. Disposto, nella seconda parte del film, quando è ormai solo il Signor Berenguer, a pagare fino in fondo il suo prezzo. Dunque, da un certo punto di vista, anche lui un po’ vittima e non solo carnefice.
Durante la mia attività professionale nonché psicologico forense, ho memoria di un caso che mi appassionò proprio per lo struggente innamoramento di questo adulto/abusante verso una ragazzina di dodici anni. Il suo dirmi, durante un colloquio in carcere, che lui l’avrebbe sposata, ma non tanto per "riparare" ad un misfatto, ma piuttosto preda di una passione e di una erotizzazione del rapporto che, su un piano psicologico, possiamo e dobbiamo studiare come qualcosa di particolare, di disadattivo, ma non certo di in-umano.
Naturalmente, come nell’area sessuale in generale, il confine delle proprie passioni sta proprio nella consapevolezza nell’agirle, di non arrecare danno o sofferenza a qualcuno. Non c’e’ dubbio che il pedofilo, prima di tutto, è questa fondamentale regola che viola, inoltre, questa violazione, appare particolarmente grave e devastante, in quanto agita contro colui che dall’adulto si aspetta invece guida e protezione non avendo ancora maturato, per sé, queste possibilità.
In questo senso il regista non concede nulla, ma al contempo non concede nulla nemmeno ad una sorta di ipersemplificazione manichea dell’animo umano, non rinuncia a parlare della fatica di essere sé stessi. Questo, a mio parere, è il pregio e la peculiarità di questo film. La mala educaciòn, infine, somiglia molto a questo, ossia all’incapacità di essere sé stessi, di insegnare ad essere sé stessi, di usare gli altri impedendo loro di poter diventare sé stessi. Non c’è dubbio, come ha ancora detto l’autore, che "questo non è un film che offre conforto, per dirla come gli americani questo non è il genere di cinema che vai a vedere per sentirti bene". Forse è allora un genere di cinema a cui si espone chi, in qualche modo, accetta il rischio di confrontarsi con le ombre più profonde che l’umanità rappresenta e, in questo modo, accettando implicitamente l’idea che di questa umanità, nel bene e nel male, anche lui partecipa.
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