"cerco … alimento per le mie visioni
in cui ogni pesantezza viene dissolta"
(Calvino, 1988, 9)
Il film.
(di Eytan Fox, 2004)
Eyad, agente del Mossad, compie una missione ad Istambul dove uccide un alto esponente palestinese davanti alla moglie e al figlio. Torna in Israele dove Iris, sua moglie ha lasciato una lettera prima di morire ingerendo farmaci. I suoi capi lo sentono in difficoltà e gli assegnano un compito minore: dovrà.mettersi sulle tracce di un anziano ufficiale nazista. Fingendosi una guida turistica entra in contatto con Axel, nipote dell'ex ufficiale. Il ragazzo è arrivato in Israele per incontrare sua sorella trasferitasi nel paese da tempo. Il contatto fra i due cambierà le posizioni di entrambi.
La visione.
Cosa voleva dirti Iris in quella lettera prima di morire?
Forse voleva dirti che in quel momento tu eri lontano e che di un oggetto lontano non si conosce il calore. Eyad, in quel momento, era ad Istambul, freddo militante di un odio antico dove l’altro non può differenziarsi dall’appartenenza alla categoria anonima e generica del "nemico". Per mano sua un arabo deve morire. Questa volta accade un grave incidente e, nel panorama freddo del mare, e poi nella quiete anonima e movimentata degli aereoporti delle grandi città di confine, incontra gli occhi di un bambino a cui — forse pensava di non doverlo sapere — ha strappato il padre. Puoi farlo solo se questi oggetti rimangono fuori dal tuo campo e fuori dal tuo campo gli oggetti non hanno calore, e non hanno odore: "L’odore, il bagliore della luce, il rumore della respirazione… sono rimasti verosimilmente dei puri elementi sensoriali" (Botella & Botella, 30). Per questo cerca di eliminarli, perché la loro essenza è un insostenibile peso.
E’ esattamente quello che nel pomeriggio mi aveva raccontato Guglielmo in un suo sogno. "Ero in montagna e stavo sciando con mia cugina, mia madre e i miei due nipoti. C’era molta neve e faceva molto freddo. Scendiamo a valle sciando. Alla fine io non controllo più la discesa ed andiamo tutti a finire in un lago ghiacciato. Il fragile strato di ghiaccio che è alla superficie, per il nostro peso, si rompe ed affondiamo. Mia cugina ed i miei nipoti riescono a staccare gli sci e si mettono in salvo, mentre io non riesco a staccarli e, per il peso affondo. Sento che non ce la farò e che non è possibile resistere in quell’acqua così gelida. Nel sogno ho la certezza che non sopravviverò. Poi, invece riesco a staccare gli sci e risalgo. Mi ritrovo a casa di mia cugina. C’è mia madre ed i miei nipoti e lì fa caldo. Io continuo ad avere freddo e trovo nella stanza un camino col fuoco acceso. Nonostante il camino ho molto freddo per il gelo che dovevo aver preso in tutto il tempo che ero stato nel lago".
Eyad nel film ritorna fiero a Tel Aviv e riceve i complimenti dei suoi compagni e dei superiori del Mossad. Ha dimenticato (forse non ha visto) gli occhi del bambino arabo a cui ha ucciso il padre; si brinda al successo e alla estrema determinazione di Eyad, alla sua freddezza nel compiere le missioni. L’istruttrice del poligono di tiro ne è entusiasta: "bravo, sei in perfetta forma!", ma è l’unica donna di quella organizzazione di maschi votati alla vendetta, ed ha un sospetto — penso — tutto femminile: "Come ti va, Eyad? Tutto bene?". Solo un mese prima c’era stata la lettera di Iris e Eyad l’aveva letta senza riuscire a piangere: "ho una malattia! Si tratta che i miei dotti lacrimali sono secchi e, quindi non ho le lacrime!". Puntualmente, nel film Eyad deve lubrificare gli occhi di lacrime prese a prestito. Come gli occhi del bambino anche la lettera di Iris appartiene forse al conosciuto, che, però, non ha ancora i caratteri del calore e degli affetti (Bollas). Troppo freddo direbbe Guglielmo! Il sogno di Guglielmo appartiene alle categorie topiche dei percorsi analitici: il freddo che cede il posto al calore nella stanza di analisi. Mi colpisce un piccolo particolare che Guglielmo mi vuole sottolineare: "non capisco perché gli sci, dottore! Io non so sciare!". Nella sala cinematografica comincio a sospettare che anche Eyad si occupa di qualcosa che non gli appartiene, dell’odio dei padri trasmesso ai figli: "mia madre era tedesca… era nata a Berlino…A casa mia tutto ciò che era tedesco era bandito. Poi, quando i miei erano sicuri di non essere visti da nessuno, in casa cominciavano a parlare tedesco!" A questo punto il film propone la vicinanza intima verso l’oggetto che fino a quel momento era rimasto lontano e freddo: Eyad è a Berlino con Axel, proprio dove per tutta la vita era sicuro non avrebbe mai messo piede; … è in missione… non deve farsi riconoscere, ma quando ti assalgono dei balordi nella metropolitana, per un attimo acuto cadono le maschere e l’agente del Mossad esplode in tutta la sua fredda competenza, altre volte usata per uccidere. E’ un altro incidente, un incidente imprevisto, ma sono le sole occasioni in cui conosciamo quel vago concetto che usiamo a nostro piacimento e che chiamiamo "autenticità": in questi momenti (alcuni analisti li chiamano "now moment") scopriamo veramente (e semplicemente) come funziona la mente di un altro ed impariamo a capire che la nostra mente non è condannata ad essere particolare o diversa, ma che funziona allo stesso modo (Fonagy). E’ una specularità antica (Winnicott) che forse è alla base di ogni percorso analitico. I contenuti vengono subito dopo.
Gli incidenti inaugurano ed autorizzano la conoscenza: "non sei circonciso!…Posso farti una domanda?… ma se vuoi puoi non rispondermi! Come vi sentite voi tedeschi quando pensate a tutto quello che è successo?" Axel, è il nipote di uno spietato gerarca nazista che Eyad ha il compito di uccidere nonostante, malato, sia giunto alla fine della propria vita: ma l’odio bisogna che arrivi "prima di Dio". Axel è come molti pazienti che incontriamo; appartiene a quell’area della sofferenza di un popolo traumatizzato che ha sospeso (perso?) la capacità di immaginare, figurare, l’evento che ha inciso nella propria storia: " il lavoro di raffigurabilità… svolge il ruolo di riorganizzazione dell’insieme della vita psichica. E’ per questo che ha un valore antitraumatico incontestabile nella cura (Botella & Botella, 51). Se non sono possibili le immagini, per la mente non sono possibili le risposte "No…no… prego! puoi farmi questa domanda! E’ solo che noi sentiamo che quella storia non ci riguarda… io sento che non ho nulla a che fare con quella generazione!"
Axel è omosessuale ed una notte ha amato un palestinese e, per questo Eyad, troppo sicuro di essere protetto dalla propria missione e dalla propria appartenenza ad una organizzazione, accetta di entrare nei territori nemici. Ho pensato che questo sia il vero senso del film: le contaminazioni come felice incontro tra due menti che pensano di incontrarsi per emendare i traumi e il dolore, e per fortuna sono costrette a ripercorrere mille volte il codice elementare della vita: l’incontro fertile fra due elementi così diversi e complementari. Se cominci a sentire che un oggetto ha qualcosa che ti riguarda e che puoi conoscere solo rintracciandolo nell’oggetto, allora ti puoi concedere, bisognoso, all’altro:
"Ma come fate voi…"
"vuoi dire omosessuali?"
"… sì… come fate quando vi incontrate?"
"Ci si capisce subito… non c’è bisogno di tante parole…."
"Ah… che bello potersi incontrare e semplicemente andare a letto con uno…così… Ma come succede?… voglio dire chi è che… non so spiegarmi…"
"Voi uomini etero siete tutti uguali, siete tutti ossessionati dal dover sapere che è che fa flik flik all’altro…"
"Si… vorrei dire… tu… in queste situazioni….". Axel capisce che Eyad si sta occupando di lui… ; vuole sapere. ""A me interessano entrambe le possibilità! E’ meglio avere più opzioni se ne hai la possibilità, Non ti pare? Penso che come prima lezione oggi può bastare, non credi?"
Ma anche Iris nella lettera voleva dirti la tua fragilità nell’avvicinarti ad un oggetto: "tutto quello a cui ti avvicini muore!". Forse sarà l’odio dei padri nel cui solco ti muovi senza saperlo e senza poterne uscire. Forse puoi aver incontrato tante persone e percorso tante situazioni, ma nel freddo del lago, dove la neve non ti appartiene eppure ti avvolge, non hai neanche potuto sentire che da qualche parte poteva esserci calore: "Dottore, un tempo ero un vulcano… gestivo una serie di boutiques… mi occupavo di mio fratello, di mia madre…Chissà perché ho avuto solo uomini che giravano il mondo… che non erano mai fermi in un posto…lei che ne pensa, dottore?… Ci sarà un motivo! Il fatto è che non appena inizia l’inverno, so che comincio a bloccarmi e fino a qualche giorno fa non ero neppure capace di alzarmi dal letto. Mi succede da quando è morto mio padre… circa 10 anni….Ma è strano: io odiavo mio padre!". Intanto questa paziente che da poco tempo sembra destarsi da un grave blocco che lei stessa sembra descrivere come un letargo, sospetta una zona dove ha sospeso la vita: "Dottore, riprenderò la mia vita sessuale?… sono i farmaci, non è vero?"
Solo a questo punto gli occhi di Iris, nella dissolvenza che li sovrappone, diventano le lacrime del bambino arabo a cui Eyad ha strappato il padre. In un certo senso il film può essere visto come il percorso sempre più intimo di questo volto silenzioso e paralizzato dalla scena terribile, solcato da una lacrima, quella che Eyad alla fine del film cerca disperatamente nel grembo di Axel dopo che si è reso conto di non essere capace di uccidere un vecchio moribondo che, però nell’odio dei padri era rimasto un giovane e spietato gerarca nazista colpevole di un atroce sterminio.
Eyad ed Axel, sono gli interpreti, ma Iris e il bambino di Istambul sono i veri protagonisti di questa storia. Gli unici, muti, che non hanno bisogno di parole; accomunati da una sola, la stessa lacrima che ti coglie quando finalmente puoi cominciare a parlare a qualcuno che fino a quel momento ti si avvicinava solo per farti morire. Eyad, che non sarebbe mai andato nella Germania, dove, comunque, è nata sua madre, accetta di essere contaminato proprio da quanto, prima di Iris, gli impediva di risalire il lago ghiacciato e fermarsi al calore: chi è stato a metterci scarponi e sci ai piedi se non sappiamo nemmeno sciare? Ci faranno affondare!. "Axel, ieri ho fatto un sogno: eravamo alla spiaggia… tu che camminavi sull’acqua… io che ti raggiungo, ed anch’io cammino sull’acqua! Tu eri bellissimo ed andavi leggero" (*).
"Il mondo si regge su entità sottilissime"
(Calvino, 1988)
(*) pubblicato anche su www.istitutoricci.it
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