Tra i film in concorso a Venezia quest’anno, e’ gia’ in programmazione nei cinema italiani uno che, per la sua particolarita’, possiamo a pieno titolo citare in questa rubrica. Si tratta di "Magdalene" ("The Magdalene sisters") dell’irlandese Peter Mullan.
E’ un film bellissimo e straziante, perfettamente ambientato e, sembra, ben documentato. Narra la scabrosa e non molto nota (perlomeno, al grande pubblico) vicenda dei cosiddetti conventi Magdalene – dal nome di Maddalena, prima fra tutte e da sempre simbolo delle peccatrici terrene — istituzioni religiose diffuse in Irlanda, Irlanda del Nord e Scozia fino a non molti anni fa (la stessa didascalia del film informa che l’ultimo convento e’ stato chiuso nel 1996).
Nei conventi Magdalene venivano rinchiuse giovani donne, anche poco piu’ che adolescenti, che nella cattolicissima Irlanda avevano in qualche modo trasgredito la legge del Signore: o rimanendo incinte al di fuori del matrimonio, o semplicemente avevano ‘civettato’ con qualche ragazzo, o erano state, all’opposto, vittime di violenza e poi ripudiate. Con la connivenza delle famiglie, che si liberavano cosi’ di un figlio illeggittimo e di una povera ragazza scomoda, le suore della catena Magdaleneinfoltivano le loro schiere di una nuova annessa ai lavori pressoche’ forzati delle lavanderie (il termine ‘catena" non sarebbe oggi improprio, trattandosi in sostanza di conventi-lavanderia che hanno finito col chiudere, in definitiva, con l’avvento delle lavatrici).
La storia prende spunto dalle vicende di quattro ragazze (Margaret, Rose, Crispina e Patricia), che un bel giorno finiscono portate brutalmente al convento, a loro insaputa, per essere state oggetto delle situazioni descritte sopra, tra la vergogna e lo sdegno generale (una di queste, addirittura, aveva solo chiaccherato con i ragazzi di una scuola vicina!). Intorno a loro, e alle loro povere esistenze, si orchestra la vita ritualistica, isolata e chiusa del convento, una sorta di prigione sadica a meta’ tra un Alcatraz femminile ed un lager nazista, dove il dissenso, o anche la sola parola (nelle Magdalene non si puo’ parlare: e’ peccato), e’ punito con frustrate e pene corporali, dove non c’e’ sosta e non c’e’ guadagno ad uno stremante lavoro fisico, dove tutto e’ desolazione, pena infinita, assenza di senso ed umiliazione.
Si ripropongono i temi e le atmosfere delle istituzioni totali – che siano carceri, o manicomi, o campi di concentramento o qualunque habitat che riproduca il sadismo dell’uomo sull’uomo: l’atemporalita’ (passano gli anni cosi’, attraverso giorni tutti uguali, fino alla morte delle vecchie che un giorno sono entrate e non piu’ uscite); l’abbruttimento morale, per cui anche tra le vittime manca la solidarieta’ (una ragazza ruba ad un’altra una catenina che e’ quanto di piu’ caro abbia al mondo); l’identificazione con l’aggressore per cui O’ona, che tenta la fuga e viene rasata a zero, aderira’ poi’ lei stessa all’ordine delle sorelle; la paura della liberta’, per cui di fronte ad un cancello rimasto per errore aperto, Margaret si paralizza e non riesce a fuggire. E cosi’ via.
Pur essendo un film tutto al femminile, evoca ricordi cinematografici che si rifanno al filone carcerario, della guerra, dello sterminio degli ebrei, senza nulla concedere alla complicita’ tra donne, al riscatto dell’amicizia sull’umiliazione, alla speranza di amore futuro. Le ragazze del Magdalene non hanno futuro, sono come mosche in una stanza chiusa, imprigionate in un presente esiliato dal mondo, folle come lo sono le istituzioni totali, dove si perdono i confini del tempo, del Se’ e dell’altro, e diventa lecito quello che normalmente e’ abominevole. Reminescenze che scorrono tra Primo Levi e il Salo’ di Pasolini, sono quelle che mi hanno attraversato la mente, anche se questo e’ un film per nulla disgustoso, ben sceneggiato e ben recitato, dove le ragazze sono belle e fiere anche nel degrado cui sono sottoposte.
Sembra che la Chiesa cattolica si sia risentita di questo film-denuncia, ma neanche piu’ di tanto. A parte qualche voce isolata, il film e’ visibile a tutti.
La Chiesa cattolica ha altri problemi, e non mancano nella sua storia altri scempi. Quello che per noi e’ di grande interesse, pero’, sta proprio nel fatto che si tratta di un pezzo di storia tutto al femminile. Sono donne le suore, sono donne le ragazze. Gli uomini compaiono marginalmente, quasi a testimoniare la loro stessa vigliaccheria: il prete che si fa masturbare da una delle ragazze che, per aver detto la verita’, finira’ poi in manicomio; il garzone cui Rose chiede aiuto per fuggire e che scappa lasciandola sola; l’uomo della scena iniziale che violenta Margaret……. Sporadiche comparse in una farsa tutta femminile, dove si dimostra che il sadismo non e’ legato al genere, ma al ruolo: e’ chi ha il potere sull’altro che puo’ deciderne la vita o la morte, puo’ internarlo in manicomio o renderlo folle, puo’ umiliarne il corpo e lo spirito. E’ il ruolo che fa il potere, non il genere.
E’ l’istituzione totale quando e’ connivente con i poteri alti, che distrugge le persone, uomini o donne che siano. L’essere donne, semmai, rappresenta in certi contesti sociali o in certi momenti storici un fattore favorente l’emarginazione.
Sembra il Medioevo, ed e’un Paese europeo vent’anni fa.
Tre delle quattro donne attraverso cui si snoda la storia sono ancora vive; una, Crispina, quella finita in manicomio per avere urlato che il prete a cui faceva sesso "non era un uomo di Dio", e’ morta pochi anni dopo in manicomio. Come altre, aveva messo al mondo un bambino che non le era concesso di vedere.
Due, il cui spirito rimase indomito, dopo quattro anni sono fuggite; una sola e’ stata recuperata dal fratello, che venne a prenderla.
Si calcola che 30.000 donne siano passate per i conventi Magdalene.
La Chiesa cattolica ha ammesso fra i denti che puo’ esserci stato qualche abuso. Sono stati chiusi, sembra, quando le lavanderie a mano erano desuete e non servivano piu’.
Non sono mai abbastanza gli atti di denuncia verso i crimini che vengono perpetrati, sempre e in ogni epoca, verso un’umanita’ che non puo’ difendersi.
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