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L’autoprescrizione farmacologica: la diagnosi obbligata

20 Lug 13

A cura di Gian Maria Formenti

Mi è capitato, nell'attività ambulatoriale, che qualche paziente mi chiedesse se aveva fatto male ad assumere, di fronte a problematiche d'ansia od insonnia, una compressa del Tavor che aveva in casa perchè già lo prendeva la nonna, la mamma, o comunque qualche parente.
Quasi spontaneamente, mi si è fissata in testa una battuta: un Tavor non lo si nega a nessuno, tanto più che lo prendeva anche mia nonna: più che deprecabile senza ombra di dubbio perchè apre la pericolosa strada  delll'autodiagnosi  e delll'autoterapia. Tra l'altro mia nonna lo assumeva sotto indicazione e controllo di quella figura un tempo autorevole che era il medico di famiglia.
-Psichiatra, non riesco a dormire. Quello che mi danno non serve. Prescrivimi quella pastiglia che fa tanto bene, Seroq…. o qualcosa di simile ad esempio.
-Ma come fai a sapere che fa tanto bene?
-Me ne ha data una il mio concellino (traduzione: compagno di cella)
-In cambio di cosa?
-Di 5 sigarette
Quesito di invio per la consulenza specialistica: richiesta di cambio di terapia in insonnia.
Fatto salvo che l'insonnia è uno dei motivi più frequenti di invio allo psichiatra, e che vada coscienziosamente approfondito quanto sia pregnante la valenza ambientale piuttosto che le problematiche psicopatologiche, la conoscenza degli psicofarmaci, da parte dei detenuti, fa parte del bagaglio culturale dell'istituzione carcere: non necessariamente dall'appartenenza alla popolazione  tossicofila.
Bene di scambio, uno dei pochi, spesso troppo disponibile, il cui valore è determinato da un borsino influenzato da contingenze quali il controllo più o meno a vista dell'assunzione piuttosto che la rigidità nelle prescrizioni.
Problema spesso sottovalutato, si presta a produrre diversi rischi, non ultimo l'accumulo di psicofarmaci in previsione di un loro utilizzo a scopo suicidiario.
Peraltro, a parte criticità estreme, vi è un aspetto non certo secondario da tenere in debito conto.
I detenuti vengono di frequente trasferiti, per i più svariati motivi, da un carcere all'altro: insieme alla cartella clinica.
La notazione di prescrizione di psicofarmaci si presta automaticamente a diagnosticare il detenuto come paziente psichiatrico, delegando allo specialista una funzione non indifferente, in particolare nel rapporto con il personale di custodia, nel dare specifiche indicazioni dove emergano problematiche di conflittualità o rischio: non necessariamente correlate a componenti psicopatologiche.
Consuetudine che non favorisce la risoluzione dell'ambiguità del ruolo della psichiatria all'interno del carcere, sospesa tra la ricerca dell'alleanza terapeutica con il paziente e le richieste dell'amministrazione carceraria.
Funzioni che sarebbe bene venissero svolte da persone differenti, come auspicato anche da insigni psicopatologi forensi quali Ponti e Merzagora.

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