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Breve storia dell’ideologia consumista

10 Ago 13

A cura di Luigi D'Elia

È difficile raccontare il consumismo senza incappare nella lettura moralista che oggi prevale tra coloro che lo criticano. Basta pensare alla chiesa cattolica, sempre più a sinistra nella condanna del consumismo come uno dei principali mali della nostra società, ma anche dalla galassia ecologista e da altri settori sociali di ogni tradizione politica giungono severe critiche quasi mai prive di una coloritura nostalgica, antimoderna e anche moralistica.
Non ho nulla contro i moralisti o gli antimoderni, credo solo che un tale approccio rischi di creare inutili polarizzazioni e di indebolire la forza di un’idea o di una critica e ne riduca il suo potenziale trasformativo. Proverò quindi a sfuggire, per quanto mi è possibile, da questa strettoia.

Volendo tracciare una storia in pillole del consumismo elencherò una serie di punti associati ad alcune date, scelte arbitrariamente nel mio archivio mentale, che segnano un altrettanto arbitrario e pretestuoso percorso che però spero risulti sufficientemente descrittivo di ciò che intendo illustrare.
 

  • 1836 John Stuart Mill cita per la prima volta l’homo oeconomicus. Con questa definizione si vuole caratterizzare l’uomo nuovo emergente dalla rivoluzione industriale, capace di perseguire i propri interessi diventando “partner dello scambio” economico nel modo più razionale, pianificato, previsionale possibile, massimizzando il proprio tornaconto personale.
 
  • 1925 Primo accordo segreto a Genova tra le aziende costruttrici di lampadine sull’obsolescenza programmata dei loro prodotti. Le principali aziende del settore decidono di ridurre la consistenza del filamento di tungsteno poiché la tecnologia dell’epoca già consentiva la costruzione di lampadine praticamente eterne. Da allora in poi questa prassi che consente il ricambio rapido e lo smaltimento delle merci sarà comunemente applicata in ogni settore della produzione industriale. (vedi a tal proposito questo documentario RAI)
 
  • 1928 Viene pubblicato il libro simbolo del primo spin doctor della storia, Edward Bernays (nipote americano di Freud), “Propaganda”, nel quale si sostiene che “una manipolazione consapevole e intelligente delle opinioni e delle abitudini delle masse, svolge un ruolo importante in una società democratica”. L’anno dopo viene eletto in USA Herbert Hoover “fu il primo presidente ad articolare l'idea che il consumismo avrebbe dovuto diventare il motore della vita americana. Dopo la sua elezione disse a un gruppo di pubblicitari e addetti alle pubbliche relazioni: ‘Voi avete accettato il compito di creare i desideri delle persone, e di trasformale in macchine della felicità che si muovono continuamente, macchine che sono diventate la chiave del progresso economico’. Quello che cominciava ad emergere negli anni venti era una nuova idea sul come gestire una democrazia di massa centrata sul 'Sé consumatore', che non solo faceva funzionare l'economia, ma era anche felice e docile, e così aiutava a costruire una società stabile”. (http://it.wikipedia.org/wiki/Edward_Bernays)
I libri di Bernays ispireranno direttamente il ministro della propaganda tedesco Goebbels che si riterrà un suo allievo.
 
  • 1945 Termina la seconda guerra mondiale che vincono gli angloamericani. Detto nel linguaggio economico-politico, la seconda guerra mondiale la vince l’efficienza del sistema produttivo capitalistico angloamericano contro un sistema economico ugualmente capitalista, ma centralista, burocratico e solo nominalmente anticapitalista. Anche la guerra fredda ha lo stesso esito, 44 anni dopo, seppure la supremazia in questo caso non fu giocata a suon di armi. Vince dunque il sistema di produzione più efficiente , e con esso si afferma il way of life corrispondente. La ripetuta vittoria della macchina produttiva del capitalismo e dell’ideologia liberale assume dunque una valenza salvifica per l’umanità. Ma dopo la seconda guerra mondiale ci si rende presto conto che tale potenza produttiva necessitava da lì a poco di un nuovo ordine mondiale e di un approccio al consumo nuovo e più spregiudicato, tale da consentire alla macchina capitalistica di rinnovarsi e crescere, e con essa i valori e gli stili di vita da essa portati, in essa inclusi.
 
  • 1955 esce sulla rivista Journal of Retailing l’articolo The Real Meaning of Consumer Demand dell’economista Victor LebowSrive Lebow (traduzione mia) “La nostra economia enormemente produttiva richiede che facciamo del consumo il nostro stile di vita, che convertiamo l’acquisto e l’uso di merci in rituali, che cerchiamo la nostra soddisfazione spirituale, le nostre soddisfazioni egoiche, nei consumi. È il momento di cercare la misura del nostro stato sociale, dell’accettazione sociale, del prestigio, nei nostri modelli di consumo, il senso e il significato della nostra vita espresso in termini di consumo. Più grandi sono le pressioni sull’individuo a conformarsi alle norme di sicurezza e accettazione sociali, tanto più egli tende ad esprimere le sue aspirazioni e la sua individualità in termini di ciò che indossa, guida, mangia, la sua casa, la sua macchina, il suo modo di nutrirsi, il suo hobby. Questi prodotti e servizi devono essere offerti ai consumatori con particolare urgenza. Non abbiamo bisogno solo di un consumo a “tappe forzate”, ma di un consumo costoso. Abbiamo bisogno di merci usate, bruciate, sostituite, e scartate a un ritmo sempre crescente. Abbiamo bisogno che le gente mangi, beva, vesta, guidi, viva, in modo sempre più complicato e, quindi, che renda i consumi costantemente più costosi”.
  • 1965 esce su Economic Journal, l’articolo A Theory of allocation of Time dell’economista della scuola di Chicago Gary Becker (poi premio Nobel). Egli scrive: “il consumatore, nella misura in cui consuma, è un produttore. E che cosa produce? Produce, molto semplicemente, la propria soddisfazione. Si deve pertanto considerare il consumo come un’attività d’impresa attraverso cui l’individuo, a partire dal capitale di cui dispone, produrrà qualcosa che sarà la propria soddisfazione”.
Il salto concettuale che con queste idee fa il liberismo americano ed il suo way of life è enorme e decisivo: si annulla la polarità dialettica produzione/consumo, il consumatore assume completamente le logiche della produzione, diventa egli stesso produttore, in questo caso di felicità (la cui ricerca, come si ricorderà, è per l’uomo occidentale un diritto inalienabile sancito anche dalla costituzione americana), l’homo oeconomicus diventa imprenditore di se stesso. Si realizza una circolarità che diventa l’ossatura della società: economia e stile di vita trovano qui un’ulteriore saldatura e vivono un salto di qualità. Il cortocircuito concettuale produttore-consumatore conduce perciò il consumatore a diventare responsabile dell’andamento stesso della sua economia, psichica e nazionale: la sua ricerca di soddisfazione è la bussola che modella il senso della vita estraendone “verità”. Molto più indottrinante di una nuova religione
 
  • 1967 esce La società dello spettacolo di Guy Debord che oggi definiremmo senza alcun dubbio con un’iperbole “Marx 2.0”, una compiuta analisi della società contemporanea alla luce delle trasformazioni tecnologiche, politiche e sociali intercorse specialmente dal secondo dopoguerra in poi. Libro assolutamente attualissimo nonché profetico.
 
  • 1968-70 escono in successione Il sistema degli oggetti e La società dei consumi di Jean Baudrillard altre due analisi mature sulle conseguenze sociologiche della società dei consumi sulla vita in una fase espansiva postbellica. Dice Baudrillard: “Il consumo, se mai ha un senso, è un’attività di manipolazione sistematica dei segni […].Il consumo è una prassi idealista totale che non ha più nulla a che fare (al di là di un certo limite) con la soddisfazione dei bisogni né col principio di realtà”.
Altrove dirà: “Il consumatore è un lavoratore che non sa di lavorare”.
 
  • 1979 Michel Foucault svolge al Collège de France le sue lezioni sul liberismo dove ripercorre la storia dell’economia politica da Adam Smith al presente. Egli dice: “è il mercato, dal XVII secolo in poi – ma in maniera più penetrante nell’ultimo secolo – l’unico luogo di veridizione, cioè di costruzione della verità”. La lunga ricerca del filosofo francese sui “giochi di verità” in epoca liberista sembra giungere a questo punto.
 
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Da quanto si può evincere da questa schematica ricostruzione, i prerequisiti ideologici e organizzativi dell’ideologia consumistica affondano le loro radici fin dagli inizi dello scorso secolo e filosoficamente anche dal secolo precedente. Non solo, anche le critiche più compiute e mature della cultura consumista sono state già svolte tra gli anni ’60 e ’70 (ricordiamo in Italia Pasolini come il principale critico del consumismo). Tutto, insomma, sembra essere già stato previsto.

Questo itinerario si ferma però volutamente alle soglie degli anni ’80, anni che notoriamente inaugurano l’esplosione del consumismo e la sua applicazione ottimizzata attraverso nuovi e più efficienti e pervasivi sistemi di diffusione globalizzata e di raffinamento di strategie comunicative. Nasce il capitalismo finanziario sempre più slegato dall’economia reale, si afferma in politica (Reagan e Thatcher) una forma di liberismo ancora più spregiudicato e cinico, s’intensifica l’utilizzo dei media pubblicitari e televisivi e, dagli anni '90-2000 in poi, specie con i social network, si diffonde capillarmente internet che renderà ancora più interiorizzata l’espansione delle informazioni e di conseguenza anche della cultura consumista. L’epoca tardo-capitalistica fondata sull’identità consumista è quella che tutt’oggi stiamo vivendo in una nuova fase espansiva ancora più euforica rispetto agli anni ’20 e poi agli anni ’50-’60.

Il processo psico-sociale che da Smith e Stuart Mill giunge ai giorni nostri è un processo graduale e inesorabile di interiorizzazione del codice sorgente sociale. Detto in altri termini, i prerequisiti ideologici qui descritti sono diventati i materiali psichici con i quali ognuno di noi vive, pensa, desidera, agisce, lo strumentario elementare con il quale costruire la propria visione del mondo. Un processo di tipo identitario, inteso nel modo più strutturale possibile.
Difficile cioè oggi eludere intimamente i nessi profondi che legano l’attuale stare al mondo con i bisogni costitutivi dell’economia e le sue regole generali. Sarebbe come pretendere di non respirare l’aria che ci circonda. Oggi assistiamo alla chiusura del cerchio tra regole generali e regole intime soggettive, quindi ad un autocontrollo ottimizzato.
Senza cogliere questo compiuto passaggio introiettivo che rappresenta la vera novità degli ultimi decenni e che è testimoniato dalla lunga incubazione ideologica qui descritta è impossibile comprendere tutto il resto.

Non me ne vogliano coloro che vedono in questa lettura un eccessivo determinismo e un limitato spazio al libero arbitrio e alla libera autodeterminazione soggettiva. In realtà non c’è pessimismo in queste parole, tutt’altro, c’è invece l’idea che solo conoscendo questa storia e questo itinerario che oggi possiamo impostare delle basi nuove per il futuro.

 

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  1. admin

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