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Si può esercitare come psicoanalisti senza essere nè medici nè psicologi?

10 Giu 19

A cura di Rolando Ciofi

Riprendo oggi un mio articolo di qualche anno fa per ritornare, anche alla luce degli avvenimenti ordinamentali e giurisprudenziali degli ultimi anni, sul tema della psicoanalisi laica.

La questione rimane molto controversa ma, dovendo sintetizzare, la risposta oggi è diventata, sul piano della giurisprudenza, negativa: non si può esercitare come psicanalisti (o psicoanalisti) senza essere psicologi o medici autorizzati dal proprio Ordine Professionale all'esercizio della psicoterapia..

Infatti la giurisprudenza, attraverso una recente sentenza di Cassazione (n. 14408  el 11 aprile 2011), ha cambiato corso e se sino a qualche anno fa in diverse sentenze la psicoanalisi veniva considerata una professione non regolamentata per l'esercizio della quale lo Stato nulla avrebbe potuto imporre, oggi non è più così. Afferma infatti in sostanza la Cassazione che la psicoanalisi è una psicoterapia, una delle molte possibili.

Ecco le parole precise della Cassazione:

Né può ritenersi che il metodo "del colloquio" non rientri in una vera e propria forma di terapia, tipico atto della professione medica, di guisa che non v'è dubbio che tale metodica, collegata funzionalmente alla cennata psicoanalisi, rappresenti un'attività diretta alla guarigione da vere e proprie malattie (ad es. l'anoressia) il che la inquadra nella professione medica.

Personalmente continuo a non essere d'accordo e con me moltissimi colleghi che in sedi le più disparate (da quelle giudiziarie, a quelle mediatiche, a quelle accademiche e culturali) stanno assumendo iniziative per contrastare tale orientamento giurisprudenziale.

Ricordo  che se lo Stato avesse voluto regolamentare la psicoanalisi attraverso la legge 56/89 che disciplina la professione di psicologo, lo avrebbe fatto espressamente. Vi è invece negli atti parlamentari dell'epoca una ricca documentazione che attesta esattamente l'opposto. Lo Stato non si è "dimenticato" di regolamentare la psicoanalisi ma ha fatto la scelta (dietro pressione delle maggiori società psicoanalitiche dell'epoca) di non regolamentarla.

E questa era l'interpretazione molto compatta della magistratura (una mezza dozzina di sentenze che giungevano alla stessa conclusione emesse da vari tribunali) sino alla smentita della Cassazione.

Resto dell'avviso che esista la psicoanalisi come percorso di conoscenza non regolamentato nè regolamentabile  e che esista parallelamente una psicoterapia di orientamento psicoanalitico ovviamente riservata a chi è psicoterapeuta.

Ci si può legittimamente chiedere quale sia la differenza sostanziale tra l'esercitare la professione di psicoanalista o quella di psicoterapeuta ad orientamento psicoanalitico e la risposta non è affatto semplice.

Sul piano meramente giuridico tutto si giocherà sulla chiarezza del contratto tra il professionista ed il suo cliente (il cliente dello psicoanalista "laico" cioè, non dovrà in alcun modo essere indotto a pensare di avere di fronte uno psicoterapeuta sia pure di indirizzo psicoanalitico).

Sul piano scientifico culturale c'è chi sostiene, ed io appartengo a questa corrente di pensiero, che la differenza sta nella totale assunzione di responsabilità da parte dei due partecipanti (il professionista ed il suo cliente) al lavoro psicoanalitico.

Mi spiego meglio, nella relazione che si instaura in assenza di regolamentazione non ci sono garanzie esterne (se non quelle generiche dei codici civile e penale che valgono per tutti allo stesso modo), nella relazione che si instaura all'interno di una professione regolamentata vi è invece, per entrambe i partecipanti, un "paracadute" (la garanzia dei titoli posseduti dal professionista, il codice deontologico, la vigilanza dei colleghi del professionista sul suo operato etc.). Lo psicoterapeuta non potrà neppure volendo rinunciare a tale "paracadute" così come il suo cliente non potrà far finta di non sapere che tale garanzia esiste. La relazione psicoterapeutica dunque è in qualche modo protetta da terzi (lo Stato, la comunità professionale, la deontologia di tale comunità…), quella psicoanalitica "laica" è invece più spiccatamente "duale", in certo senso più "pericolosa".

Non vi è alcun dubbio sul fatto che una psicologia scientifica debba privilegiare le garanzie che la psicoterapia offre ai suoi utenti. Anche lo Stato ha interesse a che, in qualunque rapporto professionale, specie se asimmetrico, il cittadino sia fortemente tutelato. Ma non esistono solo la psicologia scientifica e le regole per un buon funzionamento del mercato professionale.

Esiste anche una psicologia "filosofica", la speculazione sui casi unici dell'essere, la libertà delle relazioni umane. Esistono le potenzialità insite non nel seguire una tecnica ma nel costruire un'inedito discorso, un personale discorso che poco vuol sapere di diagnosi e cure e che invece si concentra su introspezione, ricerca interiore, relazione con l'altro, mutamento di prospettive. E che soprattutto vuole essere libero anche solo dal sospetto di copioni già scritti. Fantasie impossibili, certo. Utopie pericolose, certo. Ma pur sempre oggetti archetipici appartenenti agli esseri umani.

Credo infine che se dobbiamo considerare oggi la psicoanalisi come una professione regolamentata certo non abbiamo risolto il problema centrale. Esisterà sempre uno spazio "altro" di relazione e ricerca che andrà a coprire le esigenze sopra descritte. E tale spazio inevitabilmente sarà coperto da figure professionali "altre" che magari si chiameranno in "altro" modo (counselor? filosofi pratici?…etc)

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