Le persone sanno perché ci si rivolge a uno psicologo?
Potrei rispondere a questa domanda attraverso lo stesso metodo che potreste utilizzare voi lettori, il buon senso, ma spesso è proprio il nostro “buon” senso a trarci in inganno, a farci sottovalutare i problemi e le circostanze in cui ci troviamo, per questo cercherò di rispendere attraverso una ricerca effettuata dall’OMS (Organizzazione Mondiale della Sanità).
Lo studio, denominato ESEMED-WMH (“European Study of the epidemiology of Mental Disorders – World Mental Health), ha coinvolto sei paesi Europei tra cui Italia, Belgio, Francia, Germania, Olanda e Spagna. Per il nostro paese è stato il primo sulla prevalenza dei disturbi mentali.
Tra il gennaio del 2001 e il luglio 2002 sono state condotte 4.712 interviste con un tasso di risposta pari al 71,3%. I risultati della ricerca mostrano che circa una persona su 5 almeno una volta nella propria vita ha sofferto di un disturbo psicologico.
Considerando che la ricerca di cui si parla ha indagato solo alcune classi di disturbi mentali tra cui i disturbi d’ansia (ansia generalizzata, disturbi da attacchi di panico, fobia semplice, fobia sociale, agorafobia, disturbo ossessivo-compulsivo, disturbo post traumatico da stress), i disturbi affettivi (depressione maggiore e distimia) e l’abuso o dipendenza da alcool, sembra che siano molti gli Italiani che avrebbero potuto rivolgersi a uno psicologo almeno una volta nella vita.
A questi numeri aggiungiamo le dipendenze da internet, da slot machine, da gratta e vinci; aggiungiamo la crisi economica e la fragilità che essa genera; pensiamo ai giovani che nonostante titoli e riconoscimenti non riescono ad essere autonomi a chi perde il lavoro o a chi ne ha uno troppo stressante e lo fa magari anche per chi non lo trova.
Chi resta fermo con gli esami, chi si è innamorato e non trova una reciprocità di sentimenti, chi ha scoperto un tradimento, chi sta vivendo un lutto.
Penso a una famiglia che non comunica più, che non ha più momenti di qualità insieme, ai figli che chiedono attenzioni creando problemi sempre più difficili da gestire, penso ai disturbi alimentari e alla loro capacità di radicare nella mente ossessioni e pensieri intrusivi con cui ti svegli e con i quali vai a dormire. Penso alle donne che vivono maltrattamenti psicologici e fisici e non riescono ad uscirne, agli uomini che non riescono a superare la loro timidezza con il gentil sesso, penso a chi non riesce ad amarsi e nemmeno ad amare o a chi ha “deciso” che non lo vuole più fare.
Ma allora, dovremmo andarci tutti, per sempre?
Certo che no, il compito di un professionista della salute mentale non è rendere i suoi pazienti dipendenti ma fornire loro strumenti e risorse anche attraverso l’invio a un altro specialista, che li rendano capaci di affrontare eventuali crisi future.
Così come non tutti hanno necessità di affidarsi alle cure di un esperto in un momento difficile, molti ne avrebbero bisogno ma non lo fanno. Ciò che importa è prendere in considerazione la possibilità di contattare un esperto senza escluderla a priori guidati dal pregiudizio arcaico che solo i “matti” vanno dallo psicologo, perchè stando ai dati di 10 anni fa, lo saremmo in tanti.
Mi auguro che in futuro sia più diffusa la cultura del benessere psicologico non perchè ho scelto questo lavoro, ma perchè prima di sceglierlo sono stata una di quelle persone che ha preso la decisione giusta.
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