Silvio Brambilla, della scuola di Carlo Besta a Milano e membro del gruppo attivo attorno a Luisa Gianferrari (1890-1977) che aveva fondato nel 1940 il Centro studi di genetica umana ed eugenetica di Milano, rende con molta chiarezza le finalità e il senso della ricerca e della “psichiatria coloniale” nell’Impero fascista:
L'organizzazione e la valorizzazione di un vasto e popoloso Impero coloniale come quello di Etiopia necessita la conoscenza non solo delle caratteristiche geografiche e delle riserve economiche dello stesso, ma anche e sopratutto quella del suo elemento uomo. Decine di milioni di uomini rappresentano un patrimonio inestimabile il cui rendimento però è condizionato da un intelligente sfruttamento delle capacità produttive del singolo individuo in un piano di lavoro funzionalmente coordinato. Ciò vuol dire che bisogna intanto venire a conoscere intimamente lo spirito di quel popolo. Non si può 'imporre indifferentemente un regime di vita a uomini che per abitudine secolare, ma più ancora per una struttura particolare della loro personalità, del loro ragionamento, a tale regime non sanno adattarsi per mancanza di adeguati strumenti spirituali. Pena una grave riduzione della sua produttività, non si può trasformare un popolo guerriero in uno di agricoltori o viceversa,. E quindi sopratutto un criterio psicologico quello che deve guidare nella distribuzione del lav·oro.
Non è certamente facile entrare in intimo rapporto ideoaffettivo con un popolo di altra razza.
Occorre […]non arrestarsi alla fenomenologia esteriore dell'anima primitiva, accontentandosi della descrizione dell'atteggiamento del primitivo di fronte alle esigenze della vita, di certe manifestazioni individuali o collettive, solo perché curiose ai nostri occhi, […], ma cercare di penetrare nei più profondi meccanismi psichici che sostengono tale fenomenologia.
La via dell'analisi psicologica dir·etta del primitivo cozza notor·iamente contro alcune difficoltà, le quali, oltre a quelle puramente ambientali, sono rappresentate sopratutto dai suoi mezzi di espr·essione, cioè dalla lingua, e dal car·atteristico atteggiamento che egli assume di fronte ad ogni nostro tentativo di violare quello che è il suo mondo interiore. Per la prima è forse più che altro questione di tempo e di pazienza. Ci sono già esempi di etnologi e psichiatri (Ganz e Travaglino) che seppero impadronirsi anche dei più bassi linguaggi dell'Isola di Giava e sono naturalmente essi che hanno portato il contributo più serio alla psichiatria di razza.
Per quanto riguarda invece la seconda difficoltà, cioè la tendenza del primitivo a trincerarsi dietro una barriera di negativismo difensivo appena lo si inv·iti ad un esame introspettivo, anche il più semplice (per cui solitamente risponde di non sapere ciò che gli si chiede), l'ostacolo che esso f rappone alla analisi i n profondità è tale da richiedere che si battano altre vie indirette, quali sono rappresentate dallo studio delle manifestazioni normali e patologiche del suo spirito. Nel caso delle nostre popolazioni impericole, le quali, secondo criteri etnici e storici non dovrebbero, almeno parzialmente, essere comprese fra le più primitive, bisogna dire che la loro produzione spirituale è veramente povera. Questa gente che ha avuto contatti con popoli ad elevato grado di civilizzazione, ha mantenuto attraverso millenni un carattere di grande primitivismo ed offre oggi l'impressione globale di un vero stato di coartazione dello spirito, senza alcuna tendenza spontanea evolutiva. La loro creazione artistica e letteraria è quasi nulla e quel poco che si trova è di importazione, quindi praticamente poco sf ruttabile ai nostri fini. Ciò che può rappresentare certa mente u n valido aiuto all'esege·si dell'animo primitivo è lo studio delle sue manifestazioni patologiche.
SILVIO BRAMBILLA, Rilievi psicopatologici nelle popolazioni dell' Impero. Pensiero arcaico-primitivo e malattia mentale, « Archivio di antropologia criminale, psichiatria e medicina legale », 1941.
L'organizzazione e la valorizzazione di un vasto e popoloso Impero coloniale come quello di Etiopia necessita la conoscenza non solo delle caratteristiche geografiche e delle riserve economiche dello stesso, ma anche e sopratutto quella del suo elemento uomo. Decine di milioni di uomini rappresentano un patrimonio inestimabile il cui rendimento però è condizionato da un intelligente sfruttamento delle capacità produttive del singolo individuo in un piano di lavoro funzionalmente coordinato. Ciò vuol dire che bisogna intanto venire a conoscere intimamente lo spirito di quel popolo. Non si può 'imporre indifferentemente un regime di vita a uomini che per abitudine secolare, ma più ancora per una struttura particolare della loro personalità, del loro ragionamento, a tale regime non sanno adattarsi per mancanza di adeguati strumenti spirituali. Pena una grave riduzione della sua produttività, non si può trasformare un popolo guerriero in uno di agricoltori o viceversa,. E quindi sopratutto un criterio psicologico quello che deve guidare nella distribuzione del lav·oro.
Non è certamente facile entrare in intimo rapporto ideoaffettivo con un popolo di altra razza.
Occorre […]non arrestarsi alla fenomenologia esteriore dell'anima primitiva, accontentandosi della descrizione dell'atteggiamento del primitivo di fronte alle esigenze della vita, di certe manifestazioni individuali o collettive, solo perché curiose ai nostri occhi, […], ma cercare di penetrare nei più profondi meccanismi psichici che sostengono tale fenomenologia.
La via dell'analisi psicologica dir·etta del primitivo cozza notor·iamente contro alcune difficoltà, le quali, oltre a quelle puramente ambientali, sono rappresentate sopratutto dai suoi mezzi di espr·essione, cioè dalla lingua, e dal car·atteristico atteggiamento che egli assume di fronte ad ogni nostro tentativo di violare quello che è il suo mondo interiore. Per la prima è forse più che altro questione di tempo e di pazienza. Ci sono già esempi di etnologi e psichiatri (Ganz e Travaglino) che seppero impadronirsi anche dei più bassi linguaggi dell'Isola di Giava e sono naturalmente essi che hanno portato il contributo più serio alla psichiatria di razza.
Per quanto riguarda invece la seconda difficoltà, cioè la tendenza del primitivo a trincerarsi dietro una barriera di negativismo difensivo appena lo si inv·iti ad un esame introspettivo, anche il più semplice (per cui solitamente risponde di non sapere ciò che gli si chiede), l'ostacolo che esso f rappone alla analisi i n profondità è tale da richiedere che si battano altre vie indirette, quali sono rappresentate dallo studio delle manifestazioni normali e patologiche del suo spirito. Nel caso delle nostre popolazioni impericole, le quali, secondo criteri etnici e storici non dovrebbero, almeno parzialmente, essere comprese fra le più primitive, bisogna dire che la loro produzione spirituale è veramente povera. Questa gente che ha avuto contatti con popoli ad elevato grado di civilizzazione, ha mantenuto attraverso millenni un carattere di grande primitivismo ed offre oggi l'impressione globale di un vero stato di coartazione dello spirito, senza alcuna tendenza spontanea evolutiva. La loro creazione artistica e letteraria è quasi nulla e quel poco che si trova è di importazione, quindi praticamente poco sf ruttabile ai nostri fini. Ciò che può rappresentare certa mente u n valido aiuto all'esege·si dell'animo primitivo è lo studio delle sue manifestazioni patologiche.
SILVIO BRAMBILLA, Rilievi psicopatologici nelle popolazioni dell' Impero. Pensiero arcaico-primitivo e malattia mentale, « Archivio di antropologia criminale, psichiatria e medicina legale », 1941.
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