SIGMUND FREUD DAL CINEMA ALLA TV, DALLA MUSICA AI LIBRI: PER LUI ANCHE UN CRATERE SULLA LUNA…
di Redazione, si24.it, 22 settembre 2014
Ogni volta che facciamo un sogno, oppure quando sentiamo l’esigenza di distenderci su un lettino inevitabilmente la mente si dirige verso la figura di Sigmund Freud, neurologo e psicoanalista austriaco, fondatore della psicoanalisi, morto a Londra il 23 settembre del 1939. Freud è senza dubbio uno degli studiosi più menzionati del ’900. Canzoni, libri, film, serie tv e persino cartoni animati hanno parlato dell’autore dell’Interpretazione dei sogni, parlandone bene, prendendolo in giro e schernendolo affettuosamente.
Cominciamo dalla musica. Alcuni cantanti italiani lo hanno citato nei loro testi come ad esempio Samuele Bersani in Spaccacuore canta “So chi sono io anche se non ho letto Freud. So come sono fatto io ma non riesco a sciogliermi”; Roberto Vecchioni in Voglio una donna dice “Voglio una donna, mi basta che non legga Freud”; mentre Povia inLuca era gay usa la strofa “C’era chi mi diceva è naturale io studiavo Freud non la pensava uguale”. Il regista che più ha “usato” Freud è sicuramente Woody Allen, il quale probabilmente avrebbe giovato da una chiacchierata con lo psicoanalista nel suo studio. Paolo Genovese ha invece intitolato un suo film uscito nelle sale a gennaio 2014 Tutta colpa di Freud; mentre A Dangerous Method è un film biografico del 2011 diretto da David Cronenberg. Ma Freud è stato anche menzionato da I Simpson: nell’episodio Piccolo grande amore Bart e la fidanzata guardano un film horror e uno degli assassini con la motosega è uno psicoanalista con le fattezze di Freud; nell’episodio Chi con fede agisce, con fede guarisce durante la gag del divano Homer è sdraiato e si lamenta dicendo “Oh, dottore sono pazzo” e vicino a lui c’è Freud su una sedia che prende appunti.
Tanti i libri che hanno citato, criticato, adorato, analizzato, sviscerato, Freud. Tanti i saggi, gli interventi, gli scritti, i racconti. Pure troppi. Su Freud di Elvio Fachinelli e Freud. La letteratura e altrodi Mario Lavagetto sono solo due esempi degli ultimi anni. Freud è anche uno dei protagonisti del romanzo di Irvin D. Yalom, Le lacrime di Nietzsche, in cui il padre della psicoanalisi ha il difficile compito di curare il filosofo del nichilismo. Ma su Freud ci sarebbe troppo da dire e troppa strada da fare. Allo studioso è stato intitolato anche il cratere Freud sulla Luna. Serve altro?
http://www.si24.it/2014/09/22/anniversario-morte-sigmund-freud-chi-era-freud-interpretazione-dei-sogni-libri-film-canzoni/66936/
Ogni volta che facciamo un sogno, oppure quando sentiamo l’esigenza di distenderci su un lettino inevitabilmente la mente si dirige verso la figura di Sigmund Freud, neurologo e psicoanalista austriaco, fondatore della psicoanalisi, morto a Londra il 23 settembre del 1939. Freud è senza dubbio uno degli studiosi più menzionati del ’900. Canzoni, libri, film, serie tv e persino cartoni animati hanno parlato dell’autore dell’Interpretazione dei sogni, parlandone bene, prendendolo in giro e schernendolo affettuosamente.
Cominciamo dalla musica. Alcuni cantanti italiani lo hanno citato nei loro testi come ad esempio Samuele Bersani in Spaccacuore canta “So chi sono io anche se non ho letto Freud. So come sono fatto io ma non riesco a sciogliermi”; Roberto Vecchioni in Voglio una donna dice “Voglio una donna, mi basta che non legga Freud”; mentre Povia inLuca era gay usa la strofa “C’era chi mi diceva è naturale io studiavo Freud non la pensava uguale”. Il regista che più ha “usato” Freud è sicuramente Woody Allen, il quale probabilmente avrebbe giovato da una chiacchierata con lo psicoanalista nel suo studio. Paolo Genovese ha invece intitolato un suo film uscito nelle sale a gennaio 2014 Tutta colpa di Freud; mentre A Dangerous Method è un film biografico del 2011 diretto da David Cronenberg. Ma Freud è stato anche menzionato da I Simpson: nell’episodio Piccolo grande amore Bart e la fidanzata guardano un film horror e uno degli assassini con la motosega è uno psicoanalista con le fattezze di Freud; nell’episodio Chi con fede agisce, con fede guarisce durante la gag del divano Homer è sdraiato e si lamenta dicendo “Oh, dottore sono pazzo” e vicino a lui c’è Freud su una sedia che prende appunti.
Tanti i libri che hanno citato, criticato, adorato, analizzato, sviscerato, Freud. Tanti i saggi, gli interventi, gli scritti, i racconti. Pure troppi. Su Freud di Elvio Fachinelli e Freud. La letteratura e altrodi Mario Lavagetto sono solo due esempi degli ultimi anni. Freud è anche uno dei protagonisti del romanzo di Irvin D. Yalom, Le lacrime di Nietzsche, in cui il padre della psicoanalisi ha il difficile compito di curare il filosofo del nichilismo. Ma su Freud ci sarebbe troppo da dire e troppa strada da fare. Allo studioso è stato intitolato anche il cratere Freud sulla Luna. Serve altro?
http://www.si24.it/2014/09/22/anniversario-morte-sigmund-freud-chi-era-freud-interpretazione-dei-sogni-libri-film-canzoni/66936/
PYNCHON, ESPLODE SUL WEB L’11 SETTEMBRE. Frodi e delitti, terrorismo e spionaggio un ritratto feroce dell’America del nuovo Millennio
di Redazione e Thomas Pynchon, lastampa.it, 22 settembre 2014
Thomas Pynchon (1937), avvolto in un mistero pari solo a quello che ha circondato J. D. Salinger è tra i maggiori narratori americani. in italiano sono usciti, «V.», «L’arcobaleno della gravità», «Vineland» «Mason & Dixon», «Contro il giorno» (Rizzoli); e «L’incanto del lotto 49», «Un lento apprendistato», «Vizio di forma», (Einaudi Stile Libero). Pubblichiamo l’incipit del nuovo romanzo, in libreria dal 20 settembre.
È il primo giorno di primavera del 2001 e Maxine Tarnow, anche se qualcuno nel database l’ha ancora sotto Loeffler, sta accompagnando a scuola i suoi figli. Sì, forse non hanno piú l’età per essere accompagnati, forse è Maxine che ancora non vuole rinunciare, sono solo un paio di isolati, e sulla strada per andare al lavoro, e poi le piace, quindi?
Stamattina sembra che lungo le vie ogni pero da fiore sullo Upper West Side sia esploso nottetempo in grappoli di fiori bianchi. Mentre Maxine osserva, il sole si fa strada oltre gli orli dei tetti e le cisterne dell’acqua in fondo all’isolato, fin dentro a un particolare albero che tutto a un tratto è colmato di luce.
– Mami? – Ziggy, di fretta come sempre. – Ehi!
– Ragazzi, lo vedete quell’albero?
Dopo un momento, Otis guarda. – Mitico, ma’.
– Schifo non fa, – ammette Zig. I ragazzi continuano a camminare. Maxine contempla l’albero per mezzo minuto, poi li raggiunge. All’angolo, per riflesso, fa un blocco tipo basket ponendosi tra loro e qualunque automobilista la cui idea di svago sia sbucare all’improvviso e investirti.
Il sole riflesso dalle finestre degli appartamenti esposti a est ha cominciato a mostrarsi in forme confuse sulle facciate dei palazzi di fronte. Autobus a soffietto, nuovi sulle rotte, costeggiano piano gli isolati del centro come insetti giganti. Le saracinesche vengono tirate su, i primi furgoni parcheggiano in doppia fila, c’è fuori gente con la canna dell’acqua a lavare il suo pezzo di marciapiede. I senzatetto dormono sotto i portoni, i frugabidoni coi grossi sacchi di plastica pieni di lattine vuote di birra e di bibite vanno ai mercati a venderle, crocchi di operai aspettano davanti agli edifici che si presenti il caposquadra. I podisti saltellano sul ciglio del marciapiede in attesa che venga il verde. I poliziotti sono nelle tavole calde alle prese con la penuria di bagel. Bambini, genitori e tate, su ruote e a piedi, puntano nelle direzioni di tutte le varie scuole del quartiere. A occhio, metà degli scolari viaggia sui nuovi monopattini Razor: perciò all’elenco delle cose da cui tenersi in guardia aggiungiamo gli agguati dell’alluminio su ruote.
La Otto Kugelblitz School occupa tre palazzine in brownstone attigue tra Amsterdam Avenue e Columbus Avenue, in una traversa dove quelli diLaw & Order sono riusciti a non fare riprese, almeno finora. La scuola prende il nome da un pioniere della psicanalisi espulso dalla cerchia piú intima di Freud per avere elaborato una sua teoria della ricapitolazione. A lui sembrava chiaro che il corso della vita umana attraversi le varietà di disturbi mentali come ai suoi tempi intese – il solipsismo dell’infanzia, le isterie sessuali dell’adolescenza e della prima età adulta, la paranoia degli anni maturi, la demenza senile – tutti diretti verso la morte, che alla fine si rivela come una cosa – sana.
«Proprio il momento giusto per scoprirlo!» Freud, schiccherando contro Kugelblitz la cenere del sigaro mentre gli ordinava di prendere la porta di Berggasse 19 e non tornare piú. Kugelblitz fece spallucce, emigrò negli Stati Uniti, prese casa nello Upper West Side e avviò uno studio, mettendo insieme in breve tempo una rete di Vip che in momenti di dolore o di crisi gli avevano chiesto aiuto. Nel corso degli eventi sociali super sciccosi cui partecipava sempre piú spesso, ogni volta che presentava questi individui tra di loro definendoli suoi «amici», ciascuno riconosceva un’altra mente riattata.
Copyright 2013 Thomas Pynchon; 2014 Giulio Einaudi editore SpA Torino; Published in Agreement with Roberto Santachiara Literary Agency
http://www.lastampa.it/2014/09/22/cultura/tuttolibri/esplode-sul-web-l-settembre-DBbuwWlFOGuJCdhUKQfkuL/pagina.html
È il primo giorno di primavera del 2001 e Maxine Tarnow, anche se qualcuno nel database l’ha ancora sotto Loeffler, sta accompagnando a scuola i suoi figli. Sì, forse non hanno piú l’età per essere accompagnati, forse è Maxine che ancora non vuole rinunciare, sono solo un paio di isolati, e sulla strada per andare al lavoro, e poi le piace, quindi?
Stamattina sembra che lungo le vie ogni pero da fiore sullo Upper West Side sia esploso nottetempo in grappoli di fiori bianchi. Mentre Maxine osserva, il sole si fa strada oltre gli orli dei tetti e le cisterne dell’acqua in fondo all’isolato, fin dentro a un particolare albero che tutto a un tratto è colmato di luce.
– Mami? – Ziggy, di fretta come sempre. – Ehi!
– Ragazzi, lo vedete quell’albero?
Dopo un momento, Otis guarda. – Mitico, ma’.
– Schifo non fa, – ammette Zig. I ragazzi continuano a camminare. Maxine contempla l’albero per mezzo minuto, poi li raggiunge. All’angolo, per riflesso, fa un blocco tipo basket ponendosi tra loro e qualunque automobilista la cui idea di svago sia sbucare all’improvviso e investirti.
Il sole riflesso dalle finestre degli appartamenti esposti a est ha cominciato a mostrarsi in forme confuse sulle facciate dei palazzi di fronte. Autobus a soffietto, nuovi sulle rotte, costeggiano piano gli isolati del centro come insetti giganti. Le saracinesche vengono tirate su, i primi furgoni parcheggiano in doppia fila, c’è fuori gente con la canna dell’acqua a lavare il suo pezzo di marciapiede. I senzatetto dormono sotto i portoni, i frugabidoni coi grossi sacchi di plastica pieni di lattine vuote di birra e di bibite vanno ai mercati a venderle, crocchi di operai aspettano davanti agli edifici che si presenti il caposquadra. I podisti saltellano sul ciglio del marciapiede in attesa che venga il verde. I poliziotti sono nelle tavole calde alle prese con la penuria di bagel. Bambini, genitori e tate, su ruote e a piedi, puntano nelle direzioni di tutte le varie scuole del quartiere. A occhio, metà degli scolari viaggia sui nuovi monopattini Razor: perciò all’elenco delle cose da cui tenersi in guardia aggiungiamo gli agguati dell’alluminio su ruote.
La Otto Kugelblitz School occupa tre palazzine in brownstone attigue tra Amsterdam Avenue e Columbus Avenue, in una traversa dove quelli diLaw & Order sono riusciti a non fare riprese, almeno finora. La scuola prende il nome da un pioniere della psicanalisi espulso dalla cerchia piú intima di Freud per avere elaborato una sua teoria della ricapitolazione. A lui sembrava chiaro che il corso della vita umana attraversi le varietà di disturbi mentali come ai suoi tempi intese – il solipsismo dell’infanzia, le isterie sessuali dell’adolescenza e della prima età adulta, la paranoia degli anni maturi, la demenza senile – tutti diretti verso la morte, che alla fine si rivela come una cosa – sana.
«Proprio il momento giusto per scoprirlo!» Freud, schiccherando contro Kugelblitz la cenere del sigaro mentre gli ordinava di prendere la porta di Berggasse 19 e non tornare piú. Kugelblitz fece spallucce, emigrò negli Stati Uniti, prese casa nello Upper West Side e avviò uno studio, mettendo insieme in breve tempo una rete di Vip che in momenti di dolore o di crisi gli avevano chiesto aiuto. Nel corso degli eventi sociali super sciccosi cui partecipava sempre piú spesso, ogni volta che presentava questi individui tra di loro definendoli suoi «amici», ciascuno riconosceva un’altra mente riattata.
Copyright 2013 Thomas Pynchon; 2014 Giulio Einaudi editore SpA Torino; Published in Agreement with Roberto Santachiara Literary Agency
http://www.lastampa.it/2014/09/22/cultura/tuttolibri/esplode-sul-web-l-settembre-DBbuwWlFOGuJCdhUKQfkuL/pagina.html
SIGMUND FREUD ICONA POP DI VIENNA 75 ANNI DOPO LA MORTE
di Redazione, ilsole24ore.com, 23 settembre 2014
Vienna (TMNews) – Settantacinque anni dopo la sua morte a Londra,il 23 settembre 1939, Sigmund Freud è diventato una sorta di icona pop di Vienna. Qui la sua casa-museo registra 75mila visitatori all’anno, fra curiosi e appassionati dell’interpretazione dei sogni. Gadget e t-shirt con l’effigie del padre della psicanalisi oggi vanno a ruba nella capitale austriaca quasi quanto la Sacher Torte. Ma non è stato sempre un idillio con la città dove Freud è vissuto per 78 anni.”Freud ha dato vita a una rivoluzione culturale ma come accade spesso in casi analoghi, è meno apprezzato in patria che all’estero”, spiega Monika Pessler, direttrice del museo che sorge nella casa di Freud al 19 di Berggasse dove riceveva i pazienti sul suo celebre divano. Ben prima della sua fuga dal nazismo su un Orient Express nel giugno del 1938 Freud e le sue teorie sul sesso e sui sogni avevano diviso Vienna. “Sono venuto fin qui per vedere dove tutto è cominciato”, spiega uno psicologo olandese in vista al museo. Nonostante le premsse, oggi il volto di Sigmund Freud è quello che più rappresenta la capitale austriaca nel mondo.
Per il video:
http://video.ilsole24ore.com/TMNews/2014/20140923_video_12543561/00024765-sigmund-freud-icona-pop-di-vienna-75-anni-dopo-la-morte.php
Per il video:
http://video.ilsole24ore.com/TMNews/2014/20140923_video_12543561/00024765-sigmund-freud-icona-pop-di-vienna-75-anni-dopo-la-morte.php
LA GENITORIALITÀ, UNA MEDAGLIA SENZA BANDIERE
di Vittoria Gentile, statoquotidiano.it, 25 settembre 2014
Probabilmente considerazioni meramente ideologiche possono aver portato la Ministra alla Salute, Beatrice Lorenzin, a dichiarare testualmente, nella puntata di ‘Porta a Porta’ del 17 settembre scorso dal titolo “Mamma e papà non servono più”, che “la letteratura psichiatrica, da Freud in poi, riconosce la necessità per un bambino di avere una figura materna e paterna,visto che questa tesi non è assolutamente supportata da ricerche e fonti scientifiche accreditate””. Lo ha detto il presidente del Consiglio Nazionale dell’Ordine degli Psicologici, Fulvio Giardina, commentando questa dichiarazione.
“Non è certamente la doppia genitorialità a garantire uno sviluppo equilibrato esereno dei bambini, ma la qualità delle relazioni affettive. “Da tempo infatti ‐ spiega Giardina ‐ la letteratura scientifica e le ricerche inquest’ambito sono concordi nell’affermare che il sano e armonioso sviluppo deibambini e delle bambine, all’interno delle famiglie omogenitoriali, non risulta in alcun modo pregiudicato o compromesso.
La valutazione delle capacità genitoriali stesse sono determinate senza pregiudizi rispetto all’orientamento sessuale ed affettivo. Ritengo pertanto ‐ conclude il presidente ‐ che bisogna garantire la tutela dei diritti delle famiglie omogenitoriali al pari di quelle etero, senza discriminazioni e condizionamenti ideologici”. Ancora, Vittorio Lingiardi, ordinario di Psicologia dinamica alla Sapienza di Roma e Roberto Cubelli, presidente dell’Associazione italiana di psicologia, ritengono le parole della ministra “infondate e foriere di pregiudizi, perché disconoscono quanto appurato dalla ricerca scientifica internazionale degli ultimi quarant’anni: i bambini cresciuti da genitori dello stesso sesso si sviluppano come quelli cresciuti da genitori eterosessuali”. Un ministro non può fare disinformazione” dicono. Insomma un titolo televisivo come “Mamma e papà non servono più?” è fuorviante e pregiudiziale, e sicuramente non aiuta la gente comune ad indirizzarsi verso una migliore qualità dell’informazione. Un bimbo ha bisogno di adeguata capacità genitoriale, etero o omogenitoriale che sia. E’ la qualità delle persone il fattore davvero discriminante.
Anche il diritto, come dice il giurista Stefano Rodotà, non può restare statico, ma deve accompagnare la società nelle sue trasformazioni. E se il diritto deve camminare al passo con le trasformazioni sociali, i pregiudizi culturali non possono non venir meno. Il totem simbolico(ancora solidissimo) “Una mamma e un papà” non va abiurato sprezzantemente: voleva dire dell’importanza dei ruoli all’interno dei nuclei familiari; ma aggiorniamolo tenendo conto che i ruoli nei confronti dei figli non periscono semplicemente in funzione di genitori dello stesso sesso. Puntiamo sulla qualità delle relazioni. Se assumiamo come bussola il rispetto dell’altro attraverso il riconoscimento della sua identità e orientamento sessuale, e ne teniamo conto anche giuridicamente dando pari dignità e peso alle sue relazioni, sapremo che il rapporto con eventuali figli minori ha come unico discrimine (come per tutti gli altri) il benessere e l’interesse dei figli stessi. Gli spettri-tabù circa la genitorialità “buona” esclusivamente in quanto tradizionale non possono più vincolarci nelle valutazioni.
Se una ministra della sanità “dimentica” di citare gli sviluppi delle ricerche e dei riscontri scientifici degli ultimi quattro decenni circa, limitandosi a citate l’insigne padre della psicoanalisi e della clinica moderna come potrà orientarsi la pubblica opinione e il senso del comune sentire? Freud è il pilastro senza il quale, tra l’altro, le nostre umane nevrosi non sarebbero assurte a dignità d’essere e mostrarsi, ma Freud è del suo secolo (Il XIX). Noi abbiamo bisogno di proseguire il cammino mettendoci in discussione secondo le pressanti esigenze di una società in trasformazione; che non vuol certo dire anarchia valoriale. La genitorialità non risponde a bandiere ideologiche, è, piuttosto, una medaglia al valore conquistata sul campo; non un proclama politico (di qualunque colore) né un attributo intrinseco dell’identità di genere, nemmeno di quello femminile, o del proprio orientamento sessuale.
http://www.statoquotidiano.it/25/09/2014/genitorialita-medaglia-bandiere/251122/
“Non è certamente la doppia genitorialità a garantire uno sviluppo equilibrato esereno dei bambini, ma la qualità delle relazioni affettive. “Da tempo infatti ‐ spiega Giardina ‐ la letteratura scientifica e le ricerche inquest’ambito sono concordi nell’affermare che il sano e armonioso sviluppo deibambini e delle bambine, all’interno delle famiglie omogenitoriali, non risulta in alcun modo pregiudicato o compromesso.
La valutazione delle capacità genitoriali stesse sono determinate senza pregiudizi rispetto all’orientamento sessuale ed affettivo. Ritengo pertanto ‐ conclude il presidente ‐ che bisogna garantire la tutela dei diritti delle famiglie omogenitoriali al pari di quelle etero, senza discriminazioni e condizionamenti ideologici”. Ancora, Vittorio Lingiardi, ordinario di Psicologia dinamica alla Sapienza di Roma e Roberto Cubelli, presidente dell’Associazione italiana di psicologia, ritengono le parole della ministra “infondate e foriere di pregiudizi, perché disconoscono quanto appurato dalla ricerca scientifica internazionale degli ultimi quarant’anni: i bambini cresciuti da genitori dello stesso sesso si sviluppano come quelli cresciuti da genitori eterosessuali”. Un ministro non può fare disinformazione” dicono. Insomma un titolo televisivo come “Mamma e papà non servono più?” è fuorviante e pregiudiziale, e sicuramente non aiuta la gente comune ad indirizzarsi verso una migliore qualità dell’informazione. Un bimbo ha bisogno di adeguata capacità genitoriale, etero o omogenitoriale che sia. E’ la qualità delle persone il fattore davvero discriminante.
Anche il diritto, come dice il giurista Stefano Rodotà, non può restare statico, ma deve accompagnare la società nelle sue trasformazioni. E se il diritto deve camminare al passo con le trasformazioni sociali, i pregiudizi culturali non possono non venir meno. Il totem simbolico(ancora solidissimo) “Una mamma e un papà” non va abiurato sprezzantemente: voleva dire dell’importanza dei ruoli all’interno dei nuclei familiari; ma aggiorniamolo tenendo conto che i ruoli nei confronti dei figli non periscono semplicemente in funzione di genitori dello stesso sesso. Puntiamo sulla qualità delle relazioni. Se assumiamo come bussola il rispetto dell’altro attraverso il riconoscimento della sua identità e orientamento sessuale, e ne teniamo conto anche giuridicamente dando pari dignità e peso alle sue relazioni, sapremo che il rapporto con eventuali figli minori ha come unico discrimine (come per tutti gli altri) il benessere e l’interesse dei figli stessi. Gli spettri-tabù circa la genitorialità “buona” esclusivamente in quanto tradizionale non possono più vincolarci nelle valutazioni.
Se una ministra della sanità “dimentica” di citare gli sviluppi delle ricerche e dei riscontri scientifici degli ultimi quattro decenni circa, limitandosi a citate l’insigne padre della psicoanalisi e della clinica moderna come potrà orientarsi la pubblica opinione e il senso del comune sentire? Freud è il pilastro senza il quale, tra l’altro, le nostre umane nevrosi non sarebbero assurte a dignità d’essere e mostrarsi, ma Freud è del suo secolo (Il XIX). Noi abbiamo bisogno di proseguire il cammino mettendoci in discussione secondo le pressanti esigenze di una società in trasformazione; che non vuol certo dire anarchia valoriale. La genitorialità non risponde a bandiere ideologiche, è, piuttosto, una medaglia al valore conquistata sul campo; non un proclama politico (di qualunque colore) né un attributo intrinseco dell’identità di genere, nemmeno di quello femminile, o del proprio orientamento sessuale.
http://www.statoquotidiano.it/25/09/2014/genitorialita-medaglia-bandiere/251122/
SALUTI DA VIENNA, O DUCE. Saggi. «Freud e Mussolini. La psicoanalisi in Italia durante il regime fascista» di Roberto Zapperi, per Franco Angeli editore. Il libro ricostruisce il contesto in cui il medico austriaco rispose al dittatore con grande cortesia
di Maddalena Carli, ilmanifesto.info, 25 settembre 2014
A osservarla dal presente, la circolazione culturale dell’entre-deux-guerresnon smette di stupire. Incroci, intrecci, incontri ben più articolati di quanto lascerebbe supporre la divisione ideologica dell’Europa o la nettezza delle sue lotte politiche, e che richiedono una paziente opera di ricostruzione per evitare le semplificazioni delle letture prosopografiche e gli anacronismi di quelle a sfondo polemico e scandalistico.
Tra i nomi che non ci si aspetterebbe di trovare collegati, vi sono quelli di Sigmund Freud e di Benito Mussolini. A unirli, è una dedica che il padre della psicoanalisi appone – prima di inviarla al duce del fascismo – su una copia dell’ultimo libro pubblicato: Warum Krieg? (Perché la guerra?), il carteggio sulla guerra intrattenuto con Albert Einstein su sollecitazione del Comitato permanente delle lettere e delle arti della Società delle Nazioni. «A Benito Mussolini coi rispettosi saluti di un vecchio che nel detentore del potere riconosce l’eroe della civiltà. Vienna, 26 aprile 1933»: una frase impegnativa, che ha occupato i biografi e gli esegeti del medico viennese fin dagli anni cinquanta e che viene periodicamente riproposta dai suoi detrattori come presunta testimonianza di simpatie filofasciste o di un più generico opportunismo (venato di qualunquismo) che ne avrebbe caratterizzato il rapporto con i potenti. L’omaggio di Freud, in realtà, non rappresenta un gesto gratuito. È la risposta a un dono del drammaturgo italiano Giovacchino Forzano, in visita a Vienna con la figlia e il suo psicoanalista Edoardo Weiss, che ha chiesto al maestro una consulenza su alcuni punti controversi della relazione terapeutica con la propria paziente: un esemplare della traduzione tedesca della tragedia Campo di maggio, dedicato dai suoi autori (Forzano e Mussolini) «a Sigmund Freud, che renderà migliore il mondo, con ammirazione e riconoscenza, Vienna, 26 aprile 1933».
Restituito al contesto, il comportamento di Freud risulta meno compromettente che a una lettura estemporanea, come quella condotta con propositi diffamatori da Michel Onfray in Le crépuscule d’un idole. L’affabulation freudienne (Paris, Grasset, 2010). È quanto sostiene Roberto Zapperi (Freud e Mussolini. La psicoanalisi in Italia durante il regime fascista, Milano, Franco Angeli, pp. 140, euro 18), che dello scambio di libri avvenuto nello studio in Berggasse 19 ricompone puntualmente la storia, avanzando preziose riflessioni sulla cultura politica dell’autore dell’Interpretazione dei sogni e, al tempo stesso, sull’attitudine del regime fascista nei confronti della psicoanalisi. La dedica a Mussolini rinvia, in primo luogo, ai limiti e alle incongruenze dell’orientamento liberal-conservatore del suo estensore, oscillante tra la preoccupazione di attenuare il significato pacifista del volumetto scritto assieme a Einstein e l’intenzione di valorizzare la protezione offerta dall’Italia al cancelliere Dolffuss, al cui orientamento antisocialista Freud affida illusoriamente il compito di salvaguardare l’indipendenza del proprio paese natale dalle mire annessionistiche di Adolf Hitler e dai colpi di mano dei nazisti austriaci.
Se messe in relazione con la profonda diffidenza con cui il fascismo guarda al movimento psicoanalitico internazionale e ai suoi esponenti italiani, le parole rivolte al capo del fascismo suonano – in secondo luogo – come un tentativo di non nuocere ai propri discepoli e ai propri colleghi oltre frontiera; tentativo fallimentare, dal momento che non riuscì a evitare né la condanna delle teorie sul modo di essere inconscio della mente né l’ampliamento e l’aggressività del fronte antifreudiano, saldamente capitanato dal gesuita Pietro Tacchi Venturi, né, ancora, l’emissione (all’inizio del 1930, da parte della Questura di Roma) di un vero e proprio mandato di cattura contro Freud, «elemento sospetto da rintracciare e da fermare» in caso di permanenza o di passaggio sul suolo italiano.
Roberto Zapperi ci parla, infine, di un terzo ordine di motivazioni che influiscono sulla postura dello psicoanalista viennese: la potenza e l’ascendente ad ampio raggio del mito di Mussolini, che esercita il proprio potere di fascinazione tra gli intellettuali e gli artisti di tutta Europa e trasversalmente agli schieramenti o alle appartenenze di partito. Il carisma del capo: contrariamente a quanto ci si potrebbe aspettare da un pensatore abituato al linguaggio e alla temporalità del mito, nemmeno Freud ne è immune, pur non nutrendo alcuna simpatia per il progetto politico e per le istituzioni fasciste o la benché minima volontà di trattare, da ebreo, per la propria salvezza o destino individuale.
Personalità lungimirante e rivoluzionaria, egli rimane un uomo profondamente ancorato al proprio tempo; un uomo a cui è possibile imputare una visione conservatrice ed eccessivamente semplificante della politica ma non inclinazioni trasformistiche e collusioni con il totalitarismo fascista, che – in patria come all’estero – ne ha rappresentato un irriducibile avversario e un convinto persecutore.
http://ilmanifesto.info/cordiali-saluti-o-duce/
Tra i nomi che non ci si aspetterebbe di trovare collegati, vi sono quelli di Sigmund Freud e di Benito Mussolini. A unirli, è una dedica che il padre della psicoanalisi appone – prima di inviarla al duce del fascismo – su una copia dell’ultimo libro pubblicato: Warum Krieg? (Perché la guerra?), il carteggio sulla guerra intrattenuto con Albert Einstein su sollecitazione del Comitato permanente delle lettere e delle arti della Società delle Nazioni. «A Benito Mussolini coi rispettosi saluti di un vecchio che nel detentore del potere riconosce l’eroe della civiltà. Vienna, 26 aprile 1933»: una frase impegnativa, che ha occupato i biografi e gli esegeti del medico viennese fin dagli anni cinquanta e che viene periodicamente riproposta dai suoi detrattori come presunta testimonianza di simpatie filofasciste o di un più generico opportunismo (venato di qualunquismo) che ne avrebbe caratterizzato il rapporto con i potenti. L’omaggio di Freud, in realtà, non rappresenta un gesto gratuito. È la risposta a un dono del drammaturgo italiano Giovacchino Forzano, in visita a Vienna con la figlia e il suo psicoanalista Edoardo Weiss, che ha chiesto al maestro una consulenza su alcuni punti controversi della relazione terapeutica con la propria paziente: un esemplare della traduzione tedesca della tragedia Campo di maggio, dedicato dai suoi autori (Forzano e Mussolini) «a Sigmund Freud, che renderà migliore il mondo, con ammirazione e riconoscenza, Vienna, 26 aprile 1933».
Restituito al contesto, il comportamento di Freud risulta meno compromettente che a una lettura estemporanea, come quella condotta con propositi diffamatori da Michel Onfray in Le crépuscule d’un idole. L’affabulation freudienne (Paris, Grasset, 2010). È quanto sostiene Roberto Zapperi (Freud e Mussolini. La psicoanalisi in Italia durante il regime fascista, Milano, Franco Angeli, pp. 140, euro 18), che dello scambio di libri avvenuto nello studio in Berggasse 19 ricompone puntualmente la storia, avanzando preziose riflessioni sulla cultura politica dell’autore dell’Interpretazione dei sogni e, al tempo stesso, sull’attitudine del regime fascista nei confronti della psicoanalisi. La dedica a Mussolini rinvia, in primo luogo, ai limiti e alle incongruenze dell’orientamento liberal-conservatore del suo estensore, oscillante tra la preoccupazione di attenuare il significato pacifista del volumetto scritto assieme a Einstein e l’intenzione di valorizzare la protezione offerta dall’Italia al cancelliere Dolffuss, al cui orientamento antisocialista Freud affida illusoriamente il compito di salvaguardare l’indipendenza del proprio paese natale dalle mire annessionistiche di Adolf Hitler e dai colpi di mano dei nazisti austriaci.
Se messe in relazione con la profonda diffidenza con cui il fascismo guarda al movimento psicoanalitico internazionale e ai suoi esponenti italiani, le parole rivolte al capo del fascismo suonano – in secondo luogo – come un tentativo di non nuocere ai propri discepoli e ai propri colleghi oltre frontiera; tentativo fallimentare, dal momento che non riuscì a evitare né la condanna delle teorie sul modo di essere inconscio della mente né l’ampliamento e l’aggressività del fronte antifreudiano, saldamente capitanato dal gesuita Pietro Tacchi Venturi, né, ancora, l’emissione (all’inizio del 1930, da parte della Questura di Roma) di un vero e proprio mandato di cattura contro Freud, «elemento sospetto da rintracciare e da fermare» in caso di permanenza o di passaggio sul suolo italiano.
Roberto Zapperi ci parla, infine, di un terzo ordine di motivazioni che influiscono sulla postura dello psicoanalista viennese: la potenza e l’ascendente ad ampio raggio del mito di Mussolini, che esercita il proprio potere di fascinazione tra gli intellettuali e gli artisti di tutta Europa e trasversalmente agli schieramenti o alle appartenenze di partito. Il carisma del capo: contrariamente a quanto ci si potrebbe aspettare da un pensatore abituato al linguaggio e alla temporalità del mito, nemmeno Freud ne è immune, pur non nutrendo alcuna simpatia per il progetto politico e per le istituzioni fasciste o la benché minima volontà di trattare, da ebreo, per la propria salvezza o destino individuale.
Personalità lungimirante e rivoluzionaria, egli rimane un uomo profondamente ancorato al proprio tempo; un uomo a cui è possibile imputare una visione conservatrice ed eccessivamente semplificante della politica ma non inclinazioni trasformistiche e collusioni con il totalitarismo fascista, che – in patria come all’estero – ne ha rappresentato un irriducibile avversario e un convinto persecutore.
http://ilmanifesto.info/cordiali-saluti-o-duce/
QUEI GIOVANI UBRIACHI, “PERSI” TRA DIVIETI E FELICITÀ (CHE MANCA)
di Luigi Campagner, ilsussidiario.net, 25 settembre 2014
Nell’antichità Noè era noto come l’uomo più intelligente al mondo. Infatti oltre all’Arca, con la quale salvò la sua vita e quella di altri (animali compresi), gli viene riconosciuto il merito dell’invenzione del vino. Un atto del pensiero, un artefatto nobile dell’intelligenza umana. Nemmeno tra gli astemi si trova chi ne dubiti, anche se quella scoperta a Noè non ha portato fortuna. A ben vedere nel racconto biblico, che riassume in un unico uomo (Noè) le esperienze che molti uomini fecero in molti secoli, troviamo due polarità, una che comprende un’invenzione del gusto, implementabile nei secoli, perché per millenni il prodotto noto come vino doveva essere corretto con zucchero e spezie v arie, tra le quali il finocchio. Da cui l’espressione infinocchiare; segno che quel vino non era un gran che. L’altra polarità la troviamo nel pericolo, quasi invisibile, trattandosi di un prodotto piacevole, l’esperienza del quale, per i più, è gradevole. Salta così uno dei criteri di valutazione più semplici e immediati di cui disponiamo sin da piccoli: se è buono fa bene, se è amaro (cattivo) fa male. Ma per quanto provato, il criterio suddetto non ne esce sconfitto, perché gli effetti di una sbronza sono equivalenti all’indigestione (di questo si tratta), cioè allo star male. E molto.
Per continuare:
http://www.ilsussidiario.net/News/Educazione/2014/9/25/SCUOLA-Quei-giovani-ubriachi-persi-tra-divieti-e-felicita-che-manca-/532851/
Per continuare:
http://www.ilsussidiario.net/News/Educazione/2014/9/25/SCUOLA-Quei-giovani-ubriachi-persi-tra-divieti-e-felicita-che-manca-/532851/
AUGIAS: FREUD E JUNG, FATE LUCE SUGLI ABISSI DI WANDA
di Mirella Serri, lastampa.it, 26 settembre 2014
Corrado Augias armato di bisturi. Obiettivo: aprire Il lato oscuro del cuore come recita il titolo del suo ultimo romanzo. Augias, scrittore, giornalista e animatore di tante trasmissioni televisive, torna a quello che si potrebbe chiamare il primo amore. Approda di nuovo, dopo anni, alla narrativa e lo fa con un racconto molto particolare: un noir filosofico. In un libro che ha l’andamento, i tempi e le cadenze del giallo, in una trama ricchissima di colpi di scena, sviscera e affronta gli anfratti più bui della psiche, esplora i luoghi dell’inconscio e della sottomissione femminile.
Sono Clara e Wanda a essere sottoposte ad analisi e radiografia. Due donne e due stili di vita: la prima è una giovane e raffinata studiosa in cerca di occupazione che presenta curricula a tutto spiano e la seconda è una moglie ingenua e annoiata, irretita in un gioco più grande di lei. Clara, sofisticata e colta psicologa alle prese con i testi di Charcot, Freud, Jung, è fidanzata con Corrado, un bravissimo filologo classico che cerca di ricevere lumi su papiri e affini dall’esimio prof Luciano Canfora. Wanda, invece, ricorda le figure femminili subalterne e frustrate, le isteriche i cui casi clinici sono stati studiati dai grandi maestri otto-novecenteschi. Con tutta la sua fragilità è finita al centro di una storiaccia: suo marito, Ignazio Pantano, guardia giurata che le offre una vita monotona e rapporti amorosi per nulla entusiasmanti, è stato freddato a colpi di pistola mentre usciva dal poligono di tiro.
A Clara che, per anni, si è addentrata solo teoricamente nei meandri della psicologia, tocca il compito di districare la matassa e di sprofondare come una speleologa negli abissi dell’esistenza di Wanda. Deve riuscire a conoscere la verità, fugare paure e incertezze per raccogliere informazioni sui malavitosi che continuano a ricattare e a perseguitare la vedova del povero Ignazio. Il romanzo si muove su più livelli e nel suo andirivieni tra presente e passato, tra i ricordi delle famiglie delle due donne, finisce per abbracciare un ampio arco storico. Diventa così la sinfonica narrazione di più mondi, spesso desolati e di vite perdute in cerca del quattrino facile. La differenza tra il noir e il giallo, è stato detto, è che nel primo genere letterario i personaggi sono più tristi e cupi. Ma Augias si diverte a smentire ogni regola e convenzione: i suoi protagonisti emanano una loro peculiare forza ed energia.
All’inizio della storia, Clara soffre molto perché i suoi sofisticati studi le sembrano inutili e soprattutto assai poco concreti. Tutti quelle pagine divorate e freneticamente compulsate appaiono contenere solo speculazioni inutili. Ma poi nel percorso con Wanda, Clara scoprirà di essersi inoltrata in una personale educazione sentimentale. Scoprirà che proprio il suo studio «è diventato un’indagine e una ricerca di identità». Augias ci offre così non solo un noir avvincente ma anche la testimonianza che la conoscenza, proprio oggi, in un momento tanto difficile può rivelarsi una riserva preziosa nella vita reale. Come avviene per la grintosa Clara.
http://www.lastampa.it/2014/09/26/cultura/tuttolibri/augias-freud-e-jung-fate-luce-sugli-abissi-di-wanda-H6fdDRRcG5VQ3LxOhFG0gO/pagina.html
Sono Clara e Wanda a essere sottoposte ad analisi e radiografia. Due donne e due stili di vita: la prima è una giovane e raffinata studiosa in cerca di occupazione che presenta curricula a tutto spiano e la seconda è una moglie ingenua e annoiata, irretita in un gioco più grande di lei. Clara, sofisticata e colta psicologa alle prese con i testi di Charcot, Freud, Jung, è fidanzata con Corrado, un bravissimo filologo classico che cerca di ricevere lumi su papiri e affini dall’esimio prof Luciano Canfora. Wanda, invece, ricorda le figure femminili subalterne e frustrate, le isteriche i cui casi clinici sono stati studiati dai grandi maestri otto-novecenteschi. Con tutta la sua fragilità è finita al centro di una storiaccia: suo marito, Ignazio Pantano, guardia giurata che le offre una vita monotona e rapporti amorosi per nulla entusiasmanti, è stato freddato a colpi di pistola mentre usciva dal poligono di tiro.
A Clara che, per anni, si è addentrata solo teoricamente nei meandri della psicologia, tocca il compito di districare la matassa e di sprofondare come una speleologa negli abissi dell’esistenza di Wanda. Deve riuscire a conoscere la verità, fugare paure e incertezze per raccogliere informazioni sui malavitosi che continuano a ricattare e a perseguitare la vedova del povero Ignazio. Il romanzo si muove su più livelli e nel suo andirivieni tra presente e passato, tra i ricordi delle famiglie delle due donne, finisce per abbracciare un ampio arco storico. Diventa così la sinfonica narrazione di più mondi, spesso desolati e di vite perdute in cerca del quattrino facile. La differenza tra il noir e il giallo, è stato detto, è che nel primo genere letterario i personaggi sono più tristi e cupi. Ma Augias si diverte a smentire ogni regola e convenzione: i suoi protagonisti emanano una loro peculiare forza ed energia.
All’inizio della storia, Clara soffre molto perché i suoi sofisticati studi le sembrano inutili e soprattutto assai poco concreti. Tutti quelle pagine divorate e freneticamente compulsate appaiono contenere solo speculazioni inutili. Ma poi nel percorso con Wanda, Clara scoprirà di essersi inoltrata in una personale educazione sentimentale. Scoprirà che proprio il suo studio «è diventato un’indagine e una ricerca di identità». Augias ci offre così non solo un noir avvincente ma anche la testimonianza che la conoscenza, proprio oggi, in un momento tanto difficile può rivelarsi una riserva preziosa nella vita reale. Come avviene per la grintosa Clara.
http://www.lastampa.it/2014/09/26/cultura/tuttolibri/augias-freud-e-jung-fate-luce-sugli-abissi-di-wanda-H6fdDRRcG5VQ3LxOhFG0gO/pagina.html
ROCK E PSICOLOGIA, VASCO ROSSI TRA LACAN E SARTRE: IL LIBRO
di Redazione, affaritialiani.it, 26 settembre 2014
Venerdi 26 settembre alle ore 18, presso il Museo del Presente di Rende (Cs), Mario Campanella, giornalista e scrittore, presenta “Essere Vasco Rossi, la lirica ciclotimica tra Lacan e Sartre” editata dalla rivista di psichiatria L’Altro. Un lavoro che proietta la grande rockstar emiliana nel proscenio della cultura italiana. Introdurrà la psicoterapeuta Lucia Nardi. A seguire, sempre al Museo del Presente, la psichiatra pisana Donatella Marazziti, allieva del prof Giovanbattista Cassano, parlerà delle basi neurobiologiche dell’amore, della gelosia e dello stalking.
La prima pubblicazione scientifica su Vasco Rossi – “Essere Vasco Rossi, la lirica ciclotimica tra Lacan e Sartre” è il titolo della pubblicazione edita dalla rivista di psichiatria L’Altro. Nel lavoro, Campanella analizza la caratteristica principale della rockstar emiliana: “La sua produzione musicale tocca vette altissime e contemporaneamente recede in una struggente malinconia, con un’alternanza timica che ricorda le oscillazioni tempestose dell’umore”.
Il paragone all’esistenzialismo sartriano è “nel qui e ora della sua lirica, che riflette una condizione disincarnata dell’Io ma mai edonistica”. L’impronta del grande filosofo francese – scrive Campanella – è una sorta di precondizione nella musica di Vasco, con una notevole assimilazione nell’ateismo che diventa dogmatico ma che è religioso”. Il riferimento a Lacan e alla sua irruenza nell’inconscio freudiano – scrive ancora Mario Campanella nella pubblicazione dedicata al rocker di Zocca – è nella ricomposizione dell’identità che si trova nelle canzoni della sua maturità.
Vasco Rossi – si legge ancora nella pubblicazione – rifugge dal nichilismo e lo considera il nemico mortale da affrontare con un confronto diretto e quotidiano con il proprio es e con una tentata soluzione di privilegio immanente dell’esistenza. “Vasco entra nel mondo della cultura – conclude Mario Campanella – italiana come una sorta di altalenante figura di emozioni, ora vivide e struggenti, ora improvvisamente elevate, alla stregua di una bipolarità musicale che contraddistingue la sua identità musicale”.
http://www.affaritaliani.it/curadise/psicologia-vasco260914.html?refresh_ce
DYLAN DOG IL FUMETTO CHE VISSE DUE VOLTE
La prima pubblicazione scientifica su Vasco Rossi – “Essere Vasco Rossi, la lirica ciclotimica tra Lacan e Sartre” è il titolo della pubblicazione edita dalla rivista di psichiatria L’Altro. Nel lavoro, Campanella analizza la caratteristica principale della rockstar emiliana: “La sua produzione musicale tocca vette altissime e contemporaneamente recede in una struggente malinconia, con un’alternanza timica che ricorda le oscillazioni tempestose dell’umore”.
Il paragone all’esistenzialismo sartriano è “nel qui e ora della sua lirica, che riflette una condizione disincarnata dell’Io ma mai edonistica”. L’impronta del grande filosofo francese – scrive Campanella – è una sorta di precondizione nella musica di Vasco, con una notevole assimilazione nell’ateismo che diventa dogmatico ma che è religioso”. Il riferimento a Lacan e alla sua irruenza nell’inconscio freudiano – scrive ancora Mario Campanella nella pubblicazione dedicata al rocker di Zocca – è nella ricomposizione dell’identità che si trova nelle canzoni della sua maturità.
Vasco Rossi – si legge ancora nella pubblicazione – rifugge dal nichilismo e lo considera il nemico mortale da affrontare con un confronto diretto e quotidiano con il proprio es e con una tentata soluzione di privilegio immanente dell’esistenza. “Vasco entra nel mondo della cultura – conclude Mario Campanella – italiana come una sorta di altalenante figura di emozioni, ora vivide e struggenti, ora improvvisamente elevate, alla stregua di una bipolarità musicale che contraddistingue la sua identità musicale”.
http://www.affaritaliani.it/curadise/psicologia-vasco260914.html?refresh_ce
DYLAN DOG IL FUMETTO CHE VISSE DUE VOLTE
di Luca Valtorta, repubblica.it, 26 settembre 2014
Due mani spuntano da sottoterra, pronte a ghermire il malcapitato che passa dal cimitero illuminato dalla gelida luce della luna. Era il 1986 e nelle edicole usciva il primo albo di Dylan Dog. Molto di più di un semplice fumetto: un evento culturale che sarebbe diventato fenomeno di costume. L’incarnazione perfetta delle teorizzazioni di Umberto Eco inApocalittici e integrati, la sua rivoluzionaria (per i tempi, era il 1964) analisi su cultura “alta” e cultura “bassa”, in cui una sezione fondamentale riguardava il fumetto.
A partire dal fatto che «non è certo immotivato ricercare alla radice di ogni atto di insofferenza verso la cultura di massa una radice aristocratica, un disprezzo che solo apparentemente si rivolge alla cultura di massa, ma in verità si appunta sulle masse». Dylan Dog è l’esempio perfetto e infatti qualche anno dopo Eco non mancherà di sottolinearlo, dal momento che il suo creatore, Tiziano Sclavi, è il primo a inserire criptocitazioni di un immaginario che oggi definiremmo “geek”, in un fumetto appunto di “massa”. Un immaginario capace di mettere insieme Philip Dick e Raymond Chandler, il Ridley Scott di Blade Runner e Marx (Groucho), l’esoterismo ebraico del Golem e Terminator.
Per continuare:
http://www.repubblica.it/cultura/2014/09/26/news/dylan_dog_il_fumetto_che_visse_due_volte-96726193/
IL DIRITTO ALLA PAROLA DEL CORPO
di Marco Belpoliti, La Stampa, 30 settembre 2014
Due mani spuntano da sottoterra, pronte a ghermire il malcapitato che passa dal cimitero illuminato dalla gelida luce della luna. Era il 1986 e nelle edicole usciva il primo albo di Dylan Dog. Molto di più di un semplice fumetto: un evento culturale che sarebbe diventato fenomeno di costume. L’incarnazione perfetta delle teorizzazioni di Umberto Eco inApocalittici e integrati, la sua rivoluzionaria (per i tempi, era il 1964) analisi su cultura “alta” e cultura “bassa”, in cui una sezione fondamentale riguardava il fumetto.
A partire dal fatto che «non è certo immotivato ricercare alla radice di ogni atto di insofferenza verso la cultura di massa una radice aristocratica, un disprezzo che solo apparentemente si rivolge alla cultura di massa, ma in verità si appunta sulle masse». Dylan Dog è l’esempio perfetto e infatti qualche anno dopo Eco non mancherà di sottolinearlo, dal momento che il suo creatore, Tiziano Sclavi, è il primo a inserire criptocitazioni di un immaginario che oggi definiremmo “geek”, in un fumetto appunto di “massa”. Un immaginario capace di mettere insieme Philip Dick e Raymond Chandler, il Ridley Scott di Blade Runner e Marx (Groucho), l’esoterismo ebraico del Golem e Terminator.
Per continuare:
http://www.repubblica.it/cultura/2014/09/26/news/dylan_dog_il_fumetto_che_visse_due_volte-96726193/
IL DIRITTO ALLA PAROLA DEL CORPO
di Marco Belpoliti, La Stampa, 30 settembre 2014
Il corpo parla, non può fare a meno di farlo. Parla attraverso i gesti, le posture, le espressioni del viso, gli abiti. Tutto in noi è linguaggio, che gli altri decifrano mediante i segni intellegibili che appartengono alla cultura comune, condivisa. Di epoca in epoca il linguaggio del corpo si modifica. Settant’anni fa era molto raro vedere in Occidente uomini coperti di tatuaggi. Solo i marinai, i carcerati o i reietti, persone che si trovavano ai margini della società, usavano tatuarsi braccia o il petto. Quasi nessuna donna portava tatuaggi, forse solo le prostitute, ma spesso neppure loro. Poi di colpo, due decenni fa i giovani di ambo i sessi hanno cominciato a coprire il proprio corpo di segni, scritture, oggetti.
Il piercing è diventato una consuetudine, come l’Helix alle orecchie maschili e femminili. Tutto questo non è più un segnale di marginalità, ma un modo per esprimere la propria personalità su quell’interfaccia che è la pelle, confine tra il mondo interno e quello esterno. Come ha spiegato lo psicoanalista francese Didier Anzieu, la pelle è parte della stessa identità psichica degli individui, e perciò ogni azione che si compie su di essa, come l’iscrizione, il taglio o l’attraversamento, diventa un’azione compiuta sulla struttura stessa dell’Io, e manifesta perciò un bisogno di ridefinizione di sé. Un modo per far sapere che sotto non c’è il nulla, bensì «qualcosa».
Per quanto legato a una moda, il tatuaggio ha oggi la prerogativa di mostrare sulla superficie del corpo ciò che è profondo: pensieri, emozioni, traumi, violenze, piaceri. Erdogan, leader massimo della Turchia odierna, proibendo il piercing e il tatuaggio ai ragazzi che frequentano le scuole, e imponendo il velo alle ragazze, agisce su una forma espressiva primaria, cerca di purificare i loro corpi, di allontanare ogni forma di scrittura di sé. Un’azione destinata probabilmente a fallire, come molte delle proibizioni legate all’espressione individuale. Non è meno importante del diritto alla parola, anzi oggi lo è forse lo di più.
http://www.lastampa.it/2014/09/30/cultura/opinioni/editoriali/il-diritto-alla-parola-del-corpo-Hsbk8ePyW50p15Pn82vusK/premium.html
(Fonte: http://rassegnaflp.wordpress.com)
Il piercing è diventato una consuetudine, come l’Helix alle orecchie maschili e femminili. Tutto questo non è più un segnale di marginalità, ma un modo per esprimere la propria personalità su quell’interfaccia che è la pelle, confine tra il mondo interno e quello esterno. Come ha spiegato lo psicoanalista francese Didier Anzieu, la pelle è parte della stessa identità psichica degli individui, e perciò ogni azione che si compie su di essa, come l’iscrizione, il taglio o l’attraversamento, diventa un’azione compiuta sulla struttura stessa dell’Io, e manifesta perciò un bisogno di ridefinizione di sé. Un modo per far sapere che sotto non c’è il nulla, bensì «qualcosa».
Per quanto legato a una moda, il tatuaggio ha oggi la prerogativa di mostrare sulla superficie del corpo ciò che è profondo: pensieri, emozioni, traumi, violenze, piaceri. Erdogan, leader massimo della Turchia odierna, proibendo il piercing e il tatuaggio ai ragazzi che frequentano le scuole, e imponendo il velo alle ragazze, agisce su una forma espressiva primaria, cerca di purificare i loro corpi, di allontanare ogni forma di scrittura di sé. Un’azione destinata probabilmente a fallire, come molte delle proibizioni legate all’espressione individuale. Non è meno importante del diritto alla parola, anzi oggi lo è forse lo di più.
http://www.lastampa.it/2014/09/30/cultura/opinioni/editoriali/il-diritto-alla-parola-del-corpo-Hsbk8ePyW50p15Pn82vusK/premium.html
(Fonte: http://rassegnaflp.wordpress.com)
0 commenti