E’ curioso notare che ancora oggi, nel 2015, dichiarare la propria ‘’normale’’ omosessualità susciti tutto questo scalpore. Voglio partire dagli albori quando gia Freud dichiarava che l’omosessualità non può essere classificata come malattia ma solo come ‘’variante della funzione sessuale’’. Il processo di depatologizzazione dell’omosessualità inzia all’incirca nel 1957 quando Evelyn Hoker somministra test psicologici a gruppi omosessuali ed eterosessuali. La valutazione in cieco rispetto all’orientamento sessuale dei partecipanti evidenzia come sia impossibile distinguere i due gruppi e quindi creare degli spunti psicopatologici verso l’omosessualità. Anche l’American Psychiatric Association (APA) elimina dal Manuale dei disturbi mentali (DSM) l’omosessualità egosintonica ed anche poi quella egodistonica ‘’creata’’ dallo stigma sociale. Nel 1922 l’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) pubblicando la decima edizione della Classificazione Internazionale delle Malattie (ICD-10), elimina e ribadisce l’inutilità e l’insensatezza della diagnosi di omosessualità. Se ora sappiamo e siamo convinti che l’omosessualità non è patologica ma è semplicemente una variante normale della sessualità, ci avviciniamo ad un nuovo problema: l’omofobia, ovvero l’avversione e la paura irrazionale per gli omosessuali e le persone con comportamenti non eterosessuali, in associazione a pregiudizi e atti discriminatori nei loro confronti. Voglio ricordare che l’espressione della sessualità, sia essa normale o patologica non dipende assolutamente dall’orientamento sessuale della persona. I professionisti della salute mentale devono essere assolutamente consapevoli dei propri pregiudizi e delle proprie preferenze verso le omosessualità o le eterosessualità in modo da non svalutare o idealizzare l’orientamento sessuale dei propri pazienti. I clinici dovrebbero tenere sempre presente che non vi sono evidenze scientifiche che dimostrano la modificabilità dell’orientamento sessuale attraverso la terapia. Dove non c’è patologia non esiste terapia, anzi, questi trattamenti possono solo risultare dannosi e pericolosi per l’individuo. Voglio porre un ultimo accento sulle ricerche fatte mettendo a confronto la globalità psicologica, fisica e sociale dei bambini di coppie omosessuali rispetto a quelli di coppie eterosessuali. L’orientamento sessuale dei figli di coppie gay e lesbiche è nella maggior parte dei casi eterosessuale rispettando la frequenza presente nella popolazione generale. Come anche non ci sono riscontri empirici sull’ipotesi che figli di genitori omosessuali possano presentare uno sviluppo psicologico deficitario. Le uniche condizioni sfavorevoli legate all’orientamento sessuale dei genitori sono legate alla discriminazione e allo stigma sociale.
Ora l'intervista integrale a Roberto Panzironi, uno sportivo e un ragazzo che non ha mai dovuto nascondere il suo orientamento sessuale ne agli altri ne a se stesso.
-Roberto puoi dirci cosa è ‘’scattato’’ quando hai deciso di fare coming out?
Bella domanda… non credo di aver mai fatto coming out. Non ho mai dovuto dire: “sai sono gay”. È stato tutto molto naturale, sia per me che per la mia famiglia, i miei amici, i miei allenatori e compagni di squadra. Quindi non è scattato nessun tipo di orgoglio gay nel dover dire al mondo che sono gay e uno sportivo.
-Come vivi il tuo orientamento sessuale nello sport a livello professionistico? Come ti rapporti con le discriminazioni e i pregiudizi dell’ignoranza?
Quando gioco a pallavolo penso solo a spaccare il Culo ai miei avversari e i miei compagni fanno lo stesso. Le battute sotto rete e quelle dello spogliatoio fanno parte di ogni sport, non ci fai caso, anzi se non ci fossero non ci sarebbero figli illegittimi e fidanzati cornuti.
Quindi ti dico in tutta sincerità che le provocazioni a sfondo omofobo fanno parte dello sport, hanno solo un colore diverso.
In quegl’istanti devo solo pensare a vincere e più mi rompono le scatole e più io mi incaponisco a doverti battere. Quindi vivo bene ogni stagione e traggo forza dai miei compagni e avversari. Tutti abbiamo difficoltà, ci deprimono ci confondono, ma che c’è di male? Sono sicuro che alcuni ingaggi sono saltati per la mia sessualità, “ma che ce devi fa!” ci sono giocatori che vengono scartati perché sono bassi, altri per la loro mania di protagonismo, altri ancora perché “so delle pippe che manco il padre presidente de sto caxxo riesce a spingerli.”
-Cosa ne pensa la tua famiglia? Hai detto subito a loro della tua omosessualità?
Come ti ho detto prima è stato tutto molto naturale. Con loro la riunione attorno al tavolo è arrivata verso i 16 anni. Quando ho avuto il primo ingaggio fuori Roma mi sono confrontato con la paura di andare a vivere fuori di casa, lo stress degli allenamenti, lo studio, gli amici e il mio fidanzato. Capisci bene da solo che quella parte di me era naturale, loro sono rimasti ammutoliti ma non spaventati, si vedeva che non avevano un’espressione di paura o di delusione, erano più preoccupati per gli altri, che per come avrei affrontato io le conseguenze, non ho mai pensato che sarebbe stato facile, ma ho creduto nelle mie capacita e a volte ho dovuto fare la voce grossa, ho comunque fatto una bella carriera sportiva ed ho un lavoro pazzesco. I miei genitori sono i miei primi tifosi e da ragazzo, se qualche padre o madre mi insultava o mi rompeva le scatole mi proteggevano come ogni padre e madre fa con un figlio.
-Come hai vissuto il tuo orientamento sessuale al di fuori dello sport?
Bene non mi posso lamentare… se proprio la vogliamo dire tutta alcune situazioni mi hanno deluso, ma ero giovane cercavo di piacere a tutti e non capivo ancora che non era possibile, ma quando cresci cambia tutto, cambiano anche le persone che prima non riuscivano ad accettare che io vivessi il tutto in modo normale, invidiavano che il “diverso” potesse avere successo a discapito della loro “normalità”. Io sono stato fortunato, non ho avuto paura di essere quello che sono e non intendo dire gay, ma quello che sono io realmente. Questo ha rafforzato la stima di me stesso, ma sono sicuro che altri hanno vissuto le pene dell’inferno. E’ la mia esperienza, se dovessi pensare al peggio, come capita ad alcuni ragazzi o ragazze perché sono gay, brutti o stranieri, ti racconterei una storia diversa e magari accontenterei le macabre aspettative dei lettori.
-Hai avuto qualche ‘’scontro’’ con l’omofobia?
Fare a botte vale? Sì! Il liceo mi ha insegnato ancora di più ad essere me stesso, ma ero giovane. Ricordiamoci che i bambini sono cattivi e la maturità non arriva a 18 anni, bisogna lavorarci.
-Vuoi aggiungere qualcosa su questo argomento?
L’erba cattiva non muore mai. Delle volte si fa in tempo a tagliarla subito, a volte ci metti un pò di più.
Questo è il mio pensiero: la colpa non è dell’erba ma di chi la cura. Io sono il giardiniere, volevo la mia erba ben tagliata e ci sono riuscito, parole dure, si.
Cosa ne pensi della promiscuità sessuale nello sport professionistico e dello stigma sociale che associa l'omosessualità all'hiv?
Promiscuità? Penso sia colpa degli sponsor e dei molti soldi che girano nello sport professionistico tra cui la nostra pallavolo. Per quanto riguarda l’hiv io non penso ai gay ma penso a tutti quegli uomini e donne che per dare sfogo alla loro sessualità vanno con prostitute o con il primo che incontrano senza protezione. Come vedi, tu hai formulato la domanda pensando ai gay, io ti ho risposto pensando agli etero, sono due facce della stessa medaglia.
I meccanismi di difesa, cioè la modalità con cui vengono affrontati i conflitti emotivi e le fonti interne ed esterne di stress, possono essere connessi all'omofobia interiorizzata. Alti livelli di omofobia interiorizzata possono produrre sentimenti di vergogna e sensi di colpa insostenibili al punto di rendere inaccetabili i desideri e gli affetti omosessuali, a volte con la mobilitazione di difese dissociative.
Gli affetti omosessuali sono varianti normali della sessualità umana e non è dimostrato che i tentativi di modificarli siano efficaci ed esenti da rischi. In definitiva, tanto più il terapeuta sarà condizionato dai bias antiomosessuali, tanto più tenderà al modello ''riparativo''. Gli orientamenti LGB non sono, di per sè, indicatori di psicopatologia o di un arresto nello sviluppo.
Dr. Leano Cetrullo
Caro Roberto, auguri a te,
Caro Roberto, auguri a te, alla tua carriera e al tuo invidiabile fidanzato.
Tu stesso citi la possibilità di narrare elementi macabri contrastandoli con la tua spledida gioia e con i tuoi successi.
Di fatto però il colore del fallimento e dell’omofobia non sono forse così uguale come li vedi tu, per chi, come me, si è confrontato da sportivo amatoriale con ambienti comunque competitivi, dal punto di vista sociale e quindi sessuale.
Credo che il tuo Coming Out aiuterà tantissimo tutti quanti i ragazzi e le ragazze che oggi si devono difendere o hanno paura di essere semplicemente sè stessi, come facciamo tu ed io, ognuno nel suo piccolo spazio esistenziale.
Credo che soprattutto insegni tantissimo ai colleghi psicologi e psichiatri che vogliono per forza cercare il marcio in Danimarca…
Non c’è… e siamo semplicemente tristi e felici come tutti quanti.
Grazie ancora Roberto!