CLINICO CONTEMPORANEO
Attualità clinico teoriche, tra psicoanalisi e psichiatria
Il dottor Semmelweis. Storia di un medico che perse il senno
L’uomo preconizzato da Destouches in queste pagine trova nel dottor Semmelweis le perfette caratteristiche dell’ eroe celiniano. Capace, arguto, libero, inappartenente, dotato di capacità intuitiva, e per questo falciato dalla violenza mediocre di quell’umanità imbelle e sonnacchiosa, e dunque feroce, che Céline conobbe ed esplorò.
Siamo nel 1840. Nella prima divisione della clinica ostetrica dell’Ospedale Generale di Vienna, diretto dal dottor Joann Klein, del quale Ignac fu assistente, la febbre puerperale flagellava le partorienti, portando , nel 1842, la mortalità a toccare punte del 27 per cento, con un picco di 33 donne morte su cento nel mese di Dicembre. Semmelweis nel corso del tempo, e dopo attenta osservazione, dedusse che la morte proveniva dalle stesse mani dei medici i quali, dopo aver dissezionato i cadaveri, dovevano assistere le partorienti. La sua intuizione venne suffragata da un’ evidenza statistica. Costringendo i medici a lavarsi le mani dopo il contatto con i cadaveri, la percentuale calò drasticamente. Ben lungi dall’accogliere la sua scoperta il mondo accademico si chiuse alle sue idee, costruendo attorno a lui un deserto che lo condurrà alla pazzia. Il mediocre medico Klein, direttore della clinica, ‘ aveva appena avuto il tempo di intravedere la verità sulla febbre puerperale che già era ben deciso a soffocare quelal verità con tutti i mezzi, con tutte le influenze delle quali disponeva’ [1]
Allontanatosi da Vienna, tornò nella patria Ungherese. Anche li applicò il medesimo metodo profilattico, ottenendo l’abbassamernto delle morti puerperali. Anche in quel caso, venne isolato e ghettizzato dall’ establishment sanitario
Come avvenne che la verità lo rese folle? La sua parola strozzata in gola e la negazione plurima della realtà scientifica che egli aveva visto e provato da parte del mondo accademico, lo costrinsero in un angolo di vita talmente rarefatto ed isolato da spezzare il suo rapporto con la realtà. Come si rende un uomo delirante a causa delle sue idee? Winston, il protagonista di ‘1984’, sapeva che il Grande Fratello aveva fondato il suo dominio su di una verità artefatta, utilizzando una propaganda cosi’ massiccia da mettere in ombra qualsiasi altra idea che potesse ostacolare la sua presa sulla popolazione. Una posizione dominante che faceva ameno del contraddittorio, tramutando in malattia e psicoreato il principio di realtà.
Quante sono le dita che tengo alzate, Winston?”
“Quattro”.
“E se il Partito dice che le dita non sono quattro ma cinque, quante sono?”
“Quattro”. La parola terminò con un rantolo di dolore.
“Quante dita sono, Winston?”
“Cinque! Cinque! Cinque!”
“No, Winston, è inutile. Tu stai mentendo, tu credi ancora che siano quattro Lo sai per quale motivo portiamo le persone in questo posto?”
“Per farle confessare”.
“No, non è questo il motivo(…) No! Certo non allo scopo banale di estorcerti una confessione o di punirti. Tu sei qui perché vogliamo curarti, per farti riacquistare la ragione! Ma lo vuoi capire, Winston, che nessuno di quelli che cadono in mano nostra esce di qui senza essere stato guarito? L’unica cosa che ci sta a cuore è il pensiero. Noi non ci limitiamo a distruggere i nostri nemici, noi li cambiamo”.
Semmelweis vide la verità, o almeno si convinse che la verità ufficiale poteva essere contraddetta. Era un medico, e come tale capii che il numero abnorme di morti puerperali non era ascrivibile a nessuna delle cause che i baroni della medicina di volta in volta indicavano ( gli studenti stranieri, il freddo, il caldo, la luna) bensi’ alla loro insipienza. Quella verità che oggi ci appare talmente ovvia da non meritare nemmeno una riflessione, poiché fu Pasteur a ‘ rischiarare con una luce piu’ potente , in modo totale ed irrefutabile, la verità microbica’ [2] venne a quel tempo vissuta come un attentato alle verità consolidate, prive di ogni evidenza scientifica, ma utili a mantenere inalterato il gioco dei rapporti di potere tra i cattedratici. Egli oso’ essere medico in un mondo di medici, e per questo venne condannato.
La sua scoperta venne invalidata, le sue prove azzerate o disconosciute. La sua persona isolata e messa in ridicolo. L’ordine della città, per citare Lacan, veniva sovvertito da una verità che, per questo motivo, non poteva trovare posto.
A questo punto, è bene lasciare parlare Céline: ‘ Non c’è fantasia permessa all’infuori di quella che si appoggi all’immaginari granito del buon senso. Se ci si allontana troppo da questa convenzione, nessuna ragione né spirito vi capirà piu’[3] ‘. ‘ Giunse all’apice dell’intollerabilità e dell’inefficacia quando andò ad affliggere lui stesso sui muri della città dei manifesti di cui citeremo un passo ‘ Padre di famiglia, sai tu che cosa vuol dire chiamare al capezzale di tua moglie incinta un medico o una levatrice? Significa che tu le fai correre volontariamente rischi mortali, che si potrebbero evitare cos’ facilmente grazie ai metodi etc..’.’[4] Il suo isolamento scivolò nell’annientamento, ‘Il suo copro si incurvò in una nuova andatura a scatti(…) I suoi tratti s’incrostarono profondamente di malinconia e il suo sguardo, perso l’appoggio delle cose, sembrò perdersi dietro a noi’(….) ‘ Una personalità si squarta non meno crudelmente di un copro quando la follia fa girare la ruota del suo suppliziò [5]. Semmelweis ‘ era evaso dal caldo rifugio della Ragione(..) vagava coi pazzi, nell’assoluto, in quelle glaciali solitudini dove le nostre passioni non risvegliano piu’ echi’.
A questo punto accadde qualcosa, qualcosa che il medico Céline, pur mancando delle basi psicodiagnostiche, illustra magistralmente. Si tratta di quel fenomeno intimamente correlato e temporalmente successivo allo scompenso psicotico chiamato riesperienza. La riesperienza è un evidenza clinica che sto cercando di approfondire, che interessa maggiormente le vittime di traumi profondi, abusi o violenze particolarmente afferrate ( non necessariamente fisiche, quanto psicologiche, anche in ambito psicoterapeutico). Lo psichiatra Daniele Moretti del centro di igiene mentale di Finale Ligure, commentando l’inchiesta del giornalista Ranieri Salvadorini relativa agli effetti dell’attentato di Nassyria sulla psiche dei sopravvissuti [6], descrive la riesperienza come la condanna all’infinito ripetersi dei fatti traumatici nella mente delle vittime.
E’ pura accademia discutere se abbiamo a che fare con una psicosi sottostante slatentizzata dagli venti feroci, o se più propriamente è bene mettere l’accentro sulla possibilità che ciascuno di noi, sottoposto a forzature estreme, possa in ogni momento perdere il lume della ragione. Sta di fatto che Semmelweis impazzì. Producendosi in quelle tristi e ripetitive scene del teatro del paranoico, quando ormai la frattura con la realtà è definitiva. Gli artefici della sua condanna divennero compagni quotidiani della giornata: ‘ Michealis gli apparve sanguinante, carico di rimproveri; Skoda enorme, grossolano, Klin furioso, accusatore, illividito da tutti gli odii di un mondo infernale; Seyfert, e poi Scanzoni. Cose, persone, ancora cose, grevi correnti di terrori innominabili, forme imprecise lo trascinavano , miste a circostanze del suo passato, parallele, intrecciate’[7] . Semmelweis rivive le scene patite, colloquiando con gli antichi carnefici, in una condizione di collasso dello spazio tempo che solo gli psicotici divenuti tali a seguito di un trauma conoscono: ’ In quella stanza proiettata dal pazzo fuori dallo spazio e dal tempo, ritornarono i visitatori fantastici. Con ciascuno di essi riprendeva le controversie di un tempo; discuteva a lungo, a volte logicamente, e spesso fin dopo la loro partenza. Ma quasi sempre quelle allucinazioni sfociavano nella violenza. (…) Non le sentiva forse, subdole, nemiche, complottare alla sue spalle?(…)molto spesso si lanciava ad inseguirle giù per le scale, e fina nella strada. ‘[8] Céline ci scrive che le allucinazioni si attenuarono attorno all’aprile 1865, periodo nel quale perde i suoi residui incarichi universitari. Un pomeriggio primaverile dello stesso anno, ‘ lo videro che si precipitava per le strade, braccato dalla muta dei suoi nemici fittizi[9]’ dirigendosi verso l’ateneo. Tra lo stupore degli studenti e dei colleghi, si accanì’ contro un cadavere, tagliandosi in profondità ed infettandosi. Nel Giugno del 1865 venne internato in manicomio quando era : ‘ a malapena un uomo(..) una forma delirante, corrotta, i cui contorni andavano via via disfacendosi in una purulenza progressiva’[10]. Il 16 agosto la morte pose fine alle sue pene.
Ho avuto modo di trattare diversi pazienti affetti da questa ‘sindrome’, molti dei quali scampati alle spire di sette pseudo religiose, altri congedati dopo azioni militari in scenari bellici, altri ancora reduci da rapporti ‘terapeutici’ con operatori della psiche deragliati. Uomini sottoposti a manipolazioni, isolamento, ricatto, diagnosi strumentali di disturbo di personalità . Tutti prigionieri di un evento traumatico, tramutatosi in un buco nero che ha sospeso la loro vita, condannandoli a rivivere sine die la scena dell’offesa. Mettendo in tensione diverse storie, mi sono domandato perchè alcuni siano piombati in un’ infinita ripetizione del trauma subito, mentre altri ne siano usciti indenni. Forse è necessario collocare in una dimensione diversa quelle parole di Lacan che da tempo tengo sul foglio. ' Non è trauma semplicemente ciò cha ha fatto irruzione a un certo momento e ha incrinato da qualche parte una struttura immaginata totale. Il trauma è dato dal fatto che certi avvenimenti vengono a situarsi in un certo posto di quella struttura. E, occupandolo, vi assumono il valore significante che vi è connesso in un determinato soggetto. Ecco in che cosa consiste il valore traumatico di un avvenimento'. L’ipotesi di lavoro è questa: la condanna alla ripetizione dell’evento traumatico avviene quando il colpo azzera la storia del soggetto, e ne diventa il punto iniziale. Un evento che oscura il passato, definendo una nuova vita psichica che origina da quel momento, divenendo significante primario (S1), dal quale poi l’esistenza del soggetto cambia radicalmente. Penso a quelle donne violentate che rivivono le ingiurie fisiche e psicologiche subite per anni ed anni. O a bambini abusati in tenera età condannati a convivere col carnefice sino all’età adulta perché non creduti. Il trauma diventa l'alba tragica di una nuova vita quando questo si iscrive sopra il punto più debole della struttura del soggetto. Se il trauma colpisce esattamente li, nel punto più debole di ciascuno, nella stanza 101 dei timori , dei bisogni, delle debolezze, da una forma perpetua a ciò che l’individuo lottava per superare. In alcuni casi l’evento traumatico è cosi’ forte e penetrante, da determinarne la ripetizione nell’ inconscio, o sotto forma di allucinazione ( come nel caso di Semmelweis). Penso ad alcuni casi di donne che hanno chiesto aiuto ad un operatore della psiche perché abusate in gioventù, e da lui sono state sessualmente approcciate. Oppure ad ufficiali dell'esercito i quali hanno intrapreso una rigida carriera militare per sfuggire ad ambienti familiari perversi e sregolati, per poi finire nelle prigioni del nemico sottoposti a torture. Questo sarà l’oggetto del prosieguo del tema
Commenti
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