Lo psicoanalista non è forse sempre in fin dei conti alla mercé dello psicoanalizzante, e a maggior ragione in quanto lo psicoanalizzante non può risparmiargli nulla se egli inciampa come psicoanalista, e se non inciampa men che meno? Questo è se non altro quanto ci insegna l'esperienza1.
Da diversi anni, non ha qui adesso importanza definire quanti, la psicoanalisi è scesa dal lettino – come opportunamente titolava un bel libro di qualche anno fa2.
È uscita dalle sue stanze, dai suoi setting, dalle sue ortodossie, dai suoi parametri – forse oggi più che mai andrebbe riletto, non senza un po' di umorismo, il libro nel quale Alberto Semi provava a definire i parametri della psicoanalisi3. Andrebbe riletto, proprio per intendere bene da cosa la psicoanalisi è uscita.
La psicoanalisi è uscita allo scoperto, si è aperta al sociale, alle sue istanze, alle sue istituzioni, ai suoi problemi, alle sue novità – sto qui parlando di un movimento che non si è compiuto e che non può compiersi, ma che da anni sta avvenendo e che non può che vivere in questa condizione, che è appunto quella di starsi sempre per compiere senza potersi mai compiere. In sostanza occorre precisare che la psicoanalisi sta uscendo e non che è uscita, il suo movimento si sta compiendo, non si è compiuto, e tale condizione è strutturale – sanamente strutturale – a questo stesso movimento.
Questa rubrica, che in queste prime righe si inaugura, sarà il tentativo di interrogare questo movimento di apertura al sociale della psicoanalisi. Sarà il tentativo di interrogarne le ragioni, cioè di interrogarsi su come mai la psicoanalisi ha deciso di compiere un tale movimento. Sarà il tentativo di interrogarne il come, cioè di intendere le modalità in cui è avvenuto e avviene tale movimento. Sarà il tentativo di verificarne gli esiti, cioè gli effetti che tale movimento ha prodotto, i luoghi e i problemi che è riuscito e riesce ad affrontare, e quelli sui quali viceversa non trova modo di incidere o che non trova il modo di frequentare. Infine la rubrica sarà il tentativo di interrogare il ritorno di tale movimento di apertura della psicoanalisi. Da un lato il ritorno sulla psicoanalisi stessa – è ancora psicoanalisi? Dall'altro il ritorno sul sociale – il sociale ha avvertito e avverte, foss'anche in minima parte, del movimento della psicoanalisi, della sua decisione di scendere dal lettino?
Chi come il sottoscritto, giovane – mi si conceda l'aggettivo – psicoanalista lacaniano, ha iniziato la sua formazione nei primi anni del ventunesimo secolo è particolarmente sensibile a questo movimento in quanto, appunto, ha visto coincidere l'inizio della propria formazione con il momento storico nel quale il movimento di apertura della psicoanalisi del quale stiamo parlando andava espandendosi velocemente e consolidandosi in diversi luoghi. Personalmente ho frequentato e frequentato una delle “realtà” prodotte da questo movimento – e che a questo movimento ha contribuito. Sto parlando di Jonas Onlus – Centro psicoanalitico per la cura dei nuovi sintomi. Indirettamente, attraverso amici e colleghi intimi, ho conosciuto la realtà, sempre in ambito lacaniano, dei Consultori di Psicoanalisi applicata nonché del Cecli – Centro clinico di psicoterapia e psicoanalisi applicata. Realtà altrettanto importanti si sono formate e affermate anche in ambiti non lacaniani. Penso all'associazione Rifornimento in volo che da anni opera con gli adolescenti – e che per anni ho avuto modo di frequentare direttamente –, o agli amici di Spazio Psicoanalitico, che almeno nel contesto romano hanno dato vita ha (a) molte attività nel territorio.
Questi riferimenti stanno qui non solo come minima presentazione su chi curerà tale rubrica ma anche, e soprattutto, ad annunciare uno dei modi che la caratterizzerà. Il tentativo di interrogare il movimento di apertura al sociale della psicoanalisi verrà portato avanti anche a partire dalle esperienze personali mie e dei colleghi – di formazione lacaniana e non, ai quali non mancherò di cedere la parola attraverso delle conversazioni – di modo che possa emergere nel dettaglio, nel singolare, il come si sta applicando la psicoanalisi nel sociale.
Due considerazioni per concludere questa nota introduttiva alla rubrica. Si può, ed è stato fatto, intendere come populista, nazional-popolare, servile al discorso del capitalismo4, questo movimento della psicoanalisi. Si può, ed è stato fatto, coglierci invece uno “spirito” gramsciano. Si può pensare a ragioni di opportunismo o coglierci un vero desiderio di fare clinica. In sostanza si può interpretare questo movimento in molti modi – e nel corso degli incontri si cercherà di analizzare le varie letture. Un punto fermo però mi pare questo: chiunque può diventare responsabile di quel che gli accade, per questo motivo chiunque può fare un'esperienza di psicoanalisi. La seconda considerazione – altrettanto secca, avremo modo di argomentarla in seguito. Il nostro tempo, che per certi versi è l'epoca della computazione dell'inconscio, è, proprio per questo e non nonostante questo, il tempo della psicoanalisi.
1J. Lacan, Discorso all'École freudienne de Paris, in Altri Scritti, Einaudi, 2013, Torino, p. 269.
2M. Termini (a cura di), Quando la psicoanalisi scende dal lettino, Borla, 2010, Roma.
3A. Semi, Il metodo delle libere associazioni, Raffaello Cortina, 2011, Milano.
4Cfr. G. Deleuze, C. Parnet, Conversazioni, Ombre Corte, 2007, Verona.
Bion, nel suo saggio (di
Bion, nel suo saggio (di fondamentale importanza) “Esperienze nei gruppi” descrive, tra gli altri possibili fenomeni che si possono verificare in un raggruppamento umano, i “gruppi specializzati di lavoro”. La loro funzione è preservare ma, nello stesso tempo, isolare un determinato assunto di base (ma anche, talora, il principio stesso del più evoluto “gruppo di lavoro”) in modo che esso, pur sopravvivendo, non “contamini” le dinamiche del più ampio gruppo di cui essi fanno parte. Il rischio dell’isolamento della Psicoanalisi è proprio questo: che si formi un gruppo di analisti che parlano tra loro con un linguaggio esoterico (incomprensibile ai più), che descrivono esperienze che sono al di fuori della vita ordinaria, che non sono in grado d’incidere sulla mentalità e sul modo di vivere della maggioranza delle persone. Ben venga, quindi, questo avvento di “Psicoanalisti senza divano” (già preannunciato da Racamier), aperti ai nuovi problemi della società (in particolare alle nuove patologie emergenti), molto meno “schizzinosi” nel selezionare i pazienti idonei alla terapia (ossia capaci di modificare la tecnica in rapporto alle esigenze cliniche), capaci di confrontarsi con la Cultura, sia quella attuale, sia quella che ci è stata trasmessa dal passato.